Negli ultimi tempi se n’è discusso soprattutto per le restrizioni all’impiego delle munizioni in piombo, ma le zone umide hanno un ruolo cruciale per la salvaguardia della biodiversità.
Nonostante quanto previsto dalla Convenzione internazionale di Ramsar, per ricordare la cui firma (1971) il 2 febbraio si festeggia la relativa Giornata mondiale, in Italia «il ripristino delle zone umide distrutte o degradate non appare una priorità; e in molti siti la gestione non è correttamente indirizzata ad aumentare gli uccelli acquatici».
Di quest’impegno, nota la Federcaccia, s’è fatta carico quasi esclusivamente la comunità dei cacciatori: basta osservare quanto accade sia nelle aziende faunistico-venatorie dell’alto Adriatico e delle zone interne dell’Italia settentrionale, sia nei laghi di caccia. Nella sola laguna di Venezia svernano infatti più di 700.000 uccelli acquatici, più della metà dei quali nelle aziende faunistico-venatorie vallive.
In Italia i cacciatori gestiscono perlomeno 25.000 ettari d’aree umide, «con risultati importanti [in termini] di presenze autunno-invernali e di nidificazione», e a fronte d’un prelievo sostenibile svolto per soli quattro mesi l’anno danno, «a proprie spese, un contributo insostituibile alla conservazione degli uccelli acquatici; lo confermano i dati scientifici».
La Federcaccia auspica dunque che la politica favorisca i cacciatori nella creazione e nella gestione delle aree umide, «nelle quali l’interesse venatorio rende possibile la corretta conservazione d’un bene prezioso per tutta la società».
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