Decisamente più di uno sguardo i dati sulla tipica alpina raccolti dalla Commissione tecnica avifauna di Uncza, coordinata da Ivano Artuso.
Undici anni d’indagine (2006-2016) sulla tipica alpina, galliformi alpini e lepre bianca. Si tratta dello studio condotto dall’Unione cacciatori Zona Alpi, la settoriale della Federcaccia che si occupa di caccia alpina e dei cacciatori di montagna. E questa è una delle due ricerche (l’altra è sugli ungulati delle nostre Alpi) pubblicate nel secondo quaderno “Studi e ricerche”, la serie di volumi che raccolgono i resoconti del lavoro di ricerca e di indagine faunistica portato avanti dalle commissioni tecniche che operano all’interno di Uncza.
«Perché la ricerca scientifica e la conoscenza in generale – afferma il presidente dell’Uncza Sandro Flaim – devono essere base imprescindibile per una corretta pianificazione del prelievo venatorio. Questo non sembra però essere così scontato nel nostro Paese che investe poco in questo campo, delegando agli enti locali che spesso operano in modo autonomo e con differenze applicative da zona a zona, con il risultato assurdo di normative diverse per affrontare temi simili, a tutto discapito del corretto perseguimento degli obiettivi. E in questo senso è sempre andata l’attività dell’Uncza e dei suoi soci, in gran parte volenterosi e preparati protagonisti proprio di quei progetti volti a migliorare e a diffondere il sapere su questo habitat e i suoi abitanti».
La montagna è cambiata
Il paesaggio culturale della montagna alpina è un bene prezioso, ma non immobile, nasce e si modifica seguendo gli anelli della catena che lega la naturale evoluzione dell’ambiente e le esigenze dell’uomo. «E alcune specie faunistiche tipiche delle aree alpine – prosegue Flaim – hanno risentito in maniera sostanziale della modificazione degli ambienti di antica origine antropica ai quali erano legati. Modificazione causata soprattutto dai mutamenti profondi avvenuti nel campo dell’economia agricola di montagna. Ossia con l’abbandono di gran parte delle malghe, e nei fondivalle con il mutamento dei modelli di uso del suolo attraverso la sostituzione di un’agricoltura estensiva, la cui conduzione estensiva con l’agricoltura intensiva della monocoltura. Si è assistito, quindi, a una riduzione del mosaico paesaggistico della montagna a favore del bosco, un processo che sta incidendo in maniera significativa sulle dinamiche di popolazione della fauna alpina, con riduzioni sensibili in alcune aree di certe specie».
Di contro, l’intervento dell’uomo ha comunque continuato a sottrarre territorio alla montagna, imponendo la sua presenza soprattutto con la creazione di stazioni turistiche e impianti sportivi in alcune aree che fino a poco tempo fa erano il regno magico e inviolato dei tetraonidi. «Una serie di cause di modificazione ambientale – spiega il presidente di Uncza – che negli ultimi decenni hanno sicuramente inciso sulle dinamiche delle specie faunistiche alpine ma che, in alcuni casi, non sembrano da sole dare comunque risposte esaustive, soprattutto nel caso nel decremento di alcune specie che non sembra così decisamente collidente con le dinamiche descritte. Un’alea di mistero ancora avvolge la vita di alcuni tipici abitanti selvatici dell’orizzonte alpino, come nel caso della pernice bianca; e forse, proprio per questo, sembrano così affascinanti ai nostri occhi.
«I cacciatori alpini sono fra i principali interessati (ma lo dovrebbe essere per la verità la società tutta) allo sforzo di ricerca che viene portato avanti – conclude Flaim – e sono convinto che, sulla base di questo impegno, vadano perseguite forme di attenta tutela di animali e territori, dove lo sfruttamento parsimonioso delle risorse ambientali sia fondato su moderni protocolli di approccio alla gestione venatoria».
Il lavoro sul campo
Pochi “eletti” in Italia possono praticare la caccia alla tipica alpina, attività che richiede a cani e cacciatori un impegno fisico notevole e una profonda preparazione venatoria. Non ci si improvvisa cacciatori di montagna e non tutti possono diventarlo. E, infatti, la caccia ai galliformi alpini, praticata col cane da ferma, è tra le forme più ambite, apprezzate e radicate nella nostra tradizione venatoria. Per questa indagine, coordinata da Ivano Artuso, sono stati raccolti dati per un decennio in tutte le province collocate in Zona Alpi, comprese anche quelle più estreme, Imperia-Savona e Gorizia-Trieste, su fagiano di monte, coturnice, pernice bianca, lepre bianca. E non sono state trascurate ovviamente le due specie di avifauna stanziale alpina protette, cedrone e francolino di monte. Un impegno titanico che ha richiesto la collaborazione di molti referenti provinciali e di tanti volontari per la raccolta dei dati, la cui elaborazione rappresenta un importante lavoro di ricerca scientifica al servizio della gestione faunistica e ambientale.
Tipica alpina: numeri in calo, ma stabili
Il lavoro di ricerca, coordinato da Artuso per Uncza, evidenzia che le specie forcello, coturnice, pernice bianca e lepre bianca sono distribuite su praticamente tutto l’arco alpino italiano, dove l’habitat e le quote offrono un idoneo ambiente di vita.
Francolino e cedrone, le due specie non cacciabili, hanno invece subìto negli anni una forte contrazione del loro habitat, relegato ormai quasi solo ai settori alpini centro-orientali.
Tendenzialmente si può affermare che nelle nostre Alpi la presenza di queste specie abbia subìto un decremento dal dopoguerra in poi a causa, soprattutto, dello spopolamento delle montagne e della conseguente perdita di valori paesaggistici e ambientali fondamentali per la loro sopravvivenza. Il tutto condito da un’attenzione verso questi problemi sorta solo negli ultimi decenni.
Una tendenza negativa che sembra però essersi stabilizzata negli ultimi anni, anche se su valori modesti rispetto ai contingenti presenti alcune decine di anni fa.
Alcuni dati relativi ai prelievi
Nel 2016 il forcello è la specie con una maggiore distribuzione degli abbattimenti, seguita nell’ordine da coturnice, lepre bianca e pernice bianca. Per forcello e coturnice è concessa la caccia in quasi tutte le province dove sono presenti. Il prelievo a queste specie è consentito nei mesi di ottobre e novembre (in provincia di Bolzano fino al 15 dicembre), ma generalmente il piano di abbattimento viene completato entro ottobre. Va evidenziato, inoltre, che i giorni di caccia (effettivi) variano, anche di molto, tra le diverse province (e nell’ambito dei diversi Comprensori alpini). Per il forcello, ad esempio, si va dai 3-18 giorni in provincia di Torino ai 60 circa in provincia di Bolzano. Significativo il dato anche per quanto riguarda la pernice bianca: un solo giorno di caccia in provincia di Brescia fino a 45 giorni circa sempre in provincia di Bolzano.
Davvero dettagliata e interessante è l’analisi della serie storica dei dati dei prelievi (sono prese in considerazione, in ordine quantitativo di prelievo, le prime tre province), anche se non sempre confrontabili tra loro relativamente alle entità territoriali, in quanto variano le superfici, il territorio vocato e quello cacciabile tra province e regioni. Vanno quindi considerati come valori “assoluti”. Inoltre per il forcello si tenga presente che si può cacciare esclusivamente il maschio, mentre per le altre specie anche la femmina.
Forcello, coturnice, pernice bianca e lepre bianca
Dal 2006 al 2016, il maggior numero di forcelli è stato abbattuto nella provincia di Bolzano (3.472, il 18,62% del totale), 3.287 galli sono stati prelevati nella provincia di Trento e 2.258 nella provincia di Sondrio. In tutto 9.017 animali, il 48,36% del totale. La media del periodo è di 888 maschi/anno su tutte le Alpi.
Il maggior numero di abbattimenti di coturnice è stato registrato in provincia di Torino (1.240, il 15,05% del totale). Seguono le province di Sondrio (1.188) e Cuneo (1.162); 3.590 animali, il 43,57% del totale. La media del periodo è di 458 capi/anno su tutte le Alpi.
Per quanto riguarda la pernice bianca è ancora al primo posto la provincia di Bolzano che registra 3.236 animali abbattuti (il 64,26% del totale), cui seguono quelle di Sondrio (822) e Torino (311). In tutto 4.369 bianche, il 86,75% del totale. La media del periodo è di 504 capi/anno su tutte le Alpi.
Di nuovo nella provincia di Bolzano si è prelevato il maggior numero di lepri bianche (4.375, il 50,70% del totale); seguono le province di Trento (1.677) e Sondrio (707): 6.759 animali, il 78,32% del totale. La media del periodo è di 719 capi/anno su tutte le Alpi.
I dati sulla tipica alpina in breve
Prendendo, quindi, in considerazione tutte le quattro specie cacciabili, la provincia dove è stato prelevato il maggior numero di animali è quella di Bolzano (29,40% del totale), seguita da quelle di Trento (12,78% del totale) e di Sondrio (12,27% del totale). Tutte e tre insieme contano il 54,45% degli abbattimenti effettuati su tutto l’arco alpino italiano.
Passando dalle province alle regioni, considerando tutte le quattro specie cacciabili e il medesimo arco temporale, la regione dove è stato prelevato il maggior numero di animali è il Trentino-Alto Adige (19.547, il 48,20%), seguita dalla Lombardia (10.918) e dal Piemonte (8.223). In queste tre regioni, rispetto agli abbattimenti effettuati su tutto l’arco alpino italiano, sono stati prelevati 38.688 animali, il 95,41% del totale.
Considerando infine tutte le Alpi italiane, il forcello è la specie che ha permesso il maggior numero di prelievi con 18.644 animali nel periodo 2006-2016 (il 45,98%); è seguito dalla lepre bianca con 8.629 soggetti, dalla coturnice con 8.238 e dalla pernice bianca con 5.036 animali.
Una fotografia generale
Il prelievo totale di tipica alpina (galliformi alpini e lepre bianca) negli 11 anni considerati (2006-2016) è di 40.547 animali e dai dati analizzati sull’andamento nel tempo dei prelievi la “tendenza” va verso una diminuzione degli abbattimenti. In quasi tutte le province dove il forcello è presente è anche concessa la caccia, questo rapporto per quanto riguarda la coturnice cala ed è ancora più evidente nelle altre due specie cacciabili.
I censimenti (primaverili e/o estivi) si svolgono su quasi tutto l’arco alpino italiano. Per le tre specie cacciabili di galliformi alpini (forcello, coturnice e pernice bianca), il successo riproduttivo rilevato nel 2015 varia, anche di molto, tra provincia e provincia ed è il migliore dell’arco temporale considerato (2010-2016). Purtroppo non si sono potuti rilevare dati relativi al successo riproduttivo per gli altri due galliformi alpini non oggetto di caccia (cedrone e francolino di monte) e per la lepre bianca.
I cacciatori al servizio della comunità scientifica
La mole di dati raccolta, commentata e presentata in questa ricerca, che rappresenta uno degli studi più aggiornati e completi sulla tipica alpina presente sulle nostre Alpi, è stata possibile soprattutto grazie alla collaborazione di molti cacciatori. È evidente quindi che «caccia e conoscenza – sottolinea Massimo Buconi, presidente di Federcaccia nazionale – possono e devono essere compagne di strada, perché l’aspetto ludico-ricreativo dell’attività venatoria non può più prescindere dall’avere anche un ruolo primario nelle discipline scientifiche a questa attinenti. Come detto più volte, nessuno chiede che i cacciatori si trasformino in ricercatori, ma la loro pratica, l’esperienza di anni trascorsi in mezzo ai boschi e sulle montagne, lo spirito di osservazione sempre sostenuto da quella genuina curiosità per la natura che è la prima molla di ogni seguace di Diana sono senza dubbio positivi elementi che devono essere messi al servizio della comunità scientifica e della società».
In quest’ottica Uncza ha siglato già da tempo un accordo con Ispra, impegnandosi a fornire dati utili per la Banca dati sui Galliformi e con quanto presentato nel secondo quaderno “Studi e ricerche” ha voluto dare il suo concreto contributo. L’accordo, esteso anche alla Fondazione Edmund Mach (Fem) di San Michele all’Adige, prevede inoltre la raccolta di campioni per analisi genetiche e di altra natura per la creazione della più completa banca di campioni organici a livello nazionale.
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