Si è aperto il sipario su una nuova stagione di caccia alla beccaccia. Riflessioni sulla caccia a una specie simbolo della biodiversità e di una rivoluzione culturale all’interno del mondo venatorio.
Finalmente ci siamo. E’ iniziata una nuova stagione di caccia alla beccaccia. Si torna nel bosco sempre (e nonostante tutto) con rinnovato entusiamo. Ma anche con un bagaglio di esperienze più ricco, completato dal bilancio di quanto vissuto la stagione precedente. E i bilanci sono sempre difficili da fare, perché ci ritroviamo a ragionare incamminandoci su strade parallele. Da una parte i fatti, che dovrebbero essere oggettivi, dall’altra il cuore che batte per la nostra passione.
I fondamenti di una caccia sostenibile
Già i fatti, ossia i dati, gli studi che dovrebbero essere il pilastro su cui si fonda una caccia sostenibile (per specie e habitat). Fatti che a ben vedere non sono poi così solidi, almeno per quanto riguarda i dati relativi ai prelievi. Si parla di tre, quattro milioni di beccacce (già balla un milione, non è proprio cosa da poco) prelevate ogni anno in Europa in attività di caccia, di cui poco più del 90% in Francia, Italia e Grecia. Questo dato è ripetuto uguale da anni, come fosse congelato.
Allo stesso modo è congelato anche il dato sui prelievi annuali in Italia, stimato intorno al milione di individui (Spanò 2001 e Aradis et al. 2006). È vero anche che Francia, Italia e Spagna producono con costanza studi sulla Scolopax rusticola, che però principalmente illustrano situazioni circoscritte, relegate ai singoli Paesi.
E sappiamo che l’areale di distribuzione della beccaccia è ben più grande di quello dell’Europa politica e ciò complica non poco le cose quando si tratta di tirare le somme e di attuare modalità e tempi di caccia condivisi in tutto il Paleartico occidentale. Sta di fatto che è praticamente impossibile ragionare su numeri solidi e questo perché di fatto non ci sono.
La beccaccia resiste: ma per quanto?
Non tutti i Paesi dove è praticata la caccia alla beccaccia hanno i dati annuali dei prelievi (né si preoccupano di averli o di diffonderli) e sono incalcolabili gli abbattimenti illeciti, se non aleatoriamente utilizzando statistiche percentuali.
È quindi evidente che non ovunque il prelievo della beccaccia è commisurato alle reali dimensioni delle popolazioni cacciate e in alcune regioni risulta distante dai principi di sostenibilità. Per ora la specie resiste (la Lista rossa di Bird Life la classifica come Lc – minor preoccupazione), ma cominciano a palesarsi alcune criticità, soprattutto negli areali di riproduzione europei, che sarebbe bene non trascurare.
Caccia alla beccaccia e il suo futuro
Un fatto è però certo: la pressione venatoria sulla specie non è diminuita, anzi. Sono sì diminuiti i cacciatori in generale, ma l’interesse per questa caccia è decisamente aumentato e rispetto a un tempo sono di più gli appassionati di Diana che la praticano, tra l’altro con mezzi più efficaci (fucili e cartucce ottimizzati, beeper e gps al collo dei cani). Fare un bilancio basandoci sui dati di prelievo (almeno su quelli che abbiamo disponibili) lascia un po’ il tempo che trova.
Incamminandoci sulla strada del cuore ogni tipo di bilancio è lecito, anche se confinabile esclusivamente nella propria sfera esperienziale ed emozionale. L’emotività ci spinge a sognare tempi e modi diversi di andare a caccia diversi da quelli attualmente in essere, che però ogni cacciatore consapevole sa essere solo chimere. Perché il tempo ci ha insegnato che una caccia libera (dove per libertà si intende fare come e quando si vuole) non è una caccia giusta. E soprattutto perché, piaccia o no, oggi siamo meno soli dentro al bosco.
Questo trend è oramai irreversibile e ne è prova anche il recente ddl (3156-B) approvato dal parlamento che introduce nella Costituzione la tutela della biodiversità e dell’ambiente, testimonianza di nuovi e crescenti interessi verso territorio e fauna. In futuro quindi, siamo destinati a condividere uno spazio in natura con un pubblico sempre più ampio e con sensibilità spesso diverse dalle nostre. Prima ne prendiamo atto, meglio è.
Che cosa serve
Ma allora, se da una parte i dati ci supportano fino a un certo punto e se dall’altra non possiamo pensare che la nostra esperienza sia un fatto assoluto, come possiamo tirare le somme per capire quale direzione percorrere perché la nostra caccia si incammini sulla strada giusta ad assicurarle un brillante futuro?
Prendere le distanze da quella parte del mondo venatorio vecchia (e non intendo anagraficamente) e anacronistica, spesso anche disinformata.
Imparare a comunicare le nostre ragioni usando un linguaggio educato e non aggressivo.
Non sputare “sentenze scientifiche” solo perché si sono letti qua e là alcuni dati buttati lì a caso, squalificando così anche il reale e importante contributo che i cacciatori portano alla stessa ricerca (e non è poco). E informaci dalle giuste fonti.
Abbandonare gli slogan ridondanti e vuoti che ridicolizzano il mondo venatorio agli occhi di molti. Ecco, forse tutto ciò potrebbe aiutare il cammino della caccia verso un futuro positivo.
E i beccacciai contribuiscono non poco a questa rivoluzione culturale all’interno del mondo venatorio. La loro attenzione sulla specie è alta e il loro apporto alla ricerca scientifica concreto, come dimostra, ad esempio, il percorso fatto da Fanbpo (Federazione delle associazioni nazionali dei beccacciai del Paleartico Occidentale) che dal 2017 a oggi ha organizzato in Italia un ciclo di conferenze internazionali con lo scopo di informare i cacciatori e tutti portatori di interesse sull’attività venatoria rivolta alla beccaccia e sullo status della specie in tutto l’areale interessato dalla sua presenza.
Il valore della propria esperienza
Poi, certo, al di là dei dati oggettivi, è fuor di dubbio che ognuno riflette sul proprio vissuto a caccia, che è un fatto intimo, assolutamente soggettivo, basato sulla propria soddisfazione personale. È uno di quei momenti un po’ romantici che fanno parte della cultura della caccia, cui nessuno rinuncia.
E ora che la stagione a beccacce ha aperto i battenti desidero condividere con voi il mio personalissimo bilancio su quella passata. Ho avuto come sempre il privilegio di accodarmi ai soliti amici, dedicandomi da fine novembre a dopo l’Epifania esclusivamente alla caccia alla beccaccia in Appennino centrale. Per quanto mi riguarda la stagione 2021-2022 è stata molto generosa di incontri e io non ne avevo mai vissuta una così prima.
Il lavoro dei cani (tre spinoni) è stato esaltante: uno in stato di grazia, il vecchio tredicenne che ancora non mollava facendomi fin commuovere per la passione e la dedizione che ha dimostrato, e un cucciolone con buone qualità che aveva tutto un mondo da scoprire. Tanta fatica, ma tanta gioia per ogni giorno conquistato nel bosco e per le cose nuove che, anche dopo tanti anni, ho avuto modo di aggiungere al mio bagaglio di esperienze.
A gennaio si chiude
Come ogni stagione, a metà gennaio i miei amici hanno praticamente appeso il fucile al chiodo. Coscienti che a gennaio il prelievo pesa perlopiù su beccacce adulte svernanti e, comunque, su uccelli le cui possibilità di fare ritorno ai siti di nidificazione aumentano in modo esponenziale giorno dopo giorno. Fino alla fine del primo dell’anno allora, le uscite sono state sostanzialmente finalizzate a fai incontrare i cani senza alcuna velleità di prelievo.
Così mi hanno insegnato, così sento che è giusto, così ho trascorso un’altra stagione, migliore di tante altre in termini di incontri ma non in termini di soddisfazioni. Almeno per me. Mi auguro e vi auguro che anche questa stagione possa poi entrare nel cassetto dei migliori ricordi di ciascuno di noi.
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