Nella lunga lettera al consiglio nazionale si apprende il motivo delle dimissioni di Piergiorgio Fassini da presidente Arcicaccia.
Le questioni amministrative, residui delle gestioni precedenti, hanno un peso elevato, ma dietro le dimissioni di Piergiorgio Fassini da presidente Arcicaccia c’è anche la difficoltà di gestire un’associazione che forse “quando mi ha eletto aveva l’idea di darmi [un incarico formale]” e di lasciare il potere ad altri. Se è andata così, scrive Fassini al consiglio nazionale, “abbiamo sbagliato. Ho sbagliato io a non averlo capito, o quantomeno a non averlo capito subito; ha sbagliato il consiglio nazionale” perché ha scelto uno che non sarebbe mai stato “un presidente fantoccio”.
Sembra di vedere in controluce la fine della segreteria Zingaretti, le maledizioni della sinistra, l’Arcicaccia come il Pd: un minuto dopo averlo eletto, la comunità (i dirigenti? alcuni dirigenti, quelli che però dirigono più di altri?) comincia a chiedersi come fare a meno del nuovo leader. “Quando una squadra non funziona, in genere si cambia allenatore” scrive ancora Fassini. “Ma se si cambiano due allenatori in breve tempo e le questioni restano sul campo, è probabile che i problemi siano da ricercare altrove. Magari in chi vuole ancora rivestire un ruolo di capitano non giocatore”.
Troppe resistenze interne
Le resistenze interne, denuncia Fassini, hanno ostacolato il suo biennio al vertice dell’Arcicaccia. Evidentemente “la mia volontà di sanare la situazione non coincideva e non ha coinciso con la volontà di chi pensava a un presidente marginale, che servisse solo a scalzare un presidente prima proposto e poi non gradito (Sergio Sorrentino, ndr) consentendo il ripristino di titolarità precedenti al congresso di Fiuggi”.
Fassini non nasconde poi il proprio disagio per le mosse di Osvaldo Veneziano, ex presidente transitato alla direzione generale (“e il suo pensionamento era stato definito già nei giorni del congresso”). “Veneziano mi ha convinto ad accettare l’incarico di presidente nazionale; per tale motivo lo consideravo un uomo che mi avrebbe supportato nel percorso che mi attendeva. Purtroppo così non è stato”. In più occasioni Fassini si è sentito scavalcato da Veneziano, che ha assunto iniziative politiche “senza nessuna condivisione con me e forse neanche con altri”. La sua esperienza al vertice dell’associazione e le relazioni che inevitabilmente si porta dietro non giustificano “iniziative e decisioni che [sarebbero spettate] ad altri e [il mancato] coinvolgimento di chi rappresenta formalmente l’associazione. Forse coinvolgeva altri, ma di certo non era un modello per il nostro mondo associativo”. Così si rischia una gestione “personalistica, oserei dire quasi padronale”.
Una serie di problemi gestionali
Oltre che per tutto questo e per le continue critiche sul suo operato (“che hanno minato i rapporti di fiducia e prodotto delle lacerazioni, se non veri e propri strappi, nei rapporti politici interni”), Fassini si è dimesso perché si è accorto che l’Arcicaccia non aveva intenzione di affrontare alcune delicate questioni gestionali, su tutte i 65.000 euro di Imu da versare al Comune per la proprietà dei Lagoni nel Pistoiese.
Fassini se ne va lasciando il bilancio in attivo per oltre 75.000 euro (e ciò anche se “non è stato possibile computare il contributo di 80.000 euro versato dal broker nel 2020”; era infatti stato già inserito nel bilancio dell’anno precedente, “così come era stato fatto da quando il broker ha cominciato a corrispondere” questi soldi) e rivolgendo una domanda alla sua comunità. Dal congresso di Fiuggi l’Arcicaccia è passata da 40.000 a poco meno di 30.000 associati; nel 2019 i soci ultraottantenni erano più di 2.000, oltre il 6% del totale. Siamo sicuri che vada tutto bene?
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