Ottica ed elettronica. Abbiamo provato fianco a fianco i top di gamma di Swarovski. Da una parte il dS, un cannocchiale in cui i contenuti elettronici cambiano l’esperienza venatoria. Dall’altra lo Z8, un’ottica evoluta ma pur sempre tradizionale. Queste sono le nostre impressioni
Uno contro l’altro. Sono i due prodotti di punta di casa Swarovski e rappresentano il vertice qualitativo raggiunto dalla tecnologia del produttore austriaco. Da una parte un’ottica tradizionale con le sue belle torrette, eventualmente sostituibili con una torretta balistica o una personalizzata. Dall’altra un cannocchiale avveniristico, digitale e iper connesso, in cui l’elettronica la fa da padrona e fornisce all’utilizzatore una serie di benefit aggiuntivi. Strumenti concettualmente differenti e destinati a platee differenti di cacciatori. Senza voler dire quale sia meglio e quale sia peggio – esercizio inutile proprio per la differente destinazione che è loro propria – li ho provati fianco a fianco e per capirne fino in fondo potenzialità e utilità.
Lo Z8, il tradizionale
Del top di gamma Swarovski ho parlato in più occasioni. E spesso l’ho portato a caccia. Si tratta di un’ottima ottica tradizionale, con lenti di qualità superlativa, una costruzione precisa al limite del maniacale, che fornisce accessori opzionali in grado di esaltarne le qualità. Mi riferisco in particolare alla torretta BTF, un dispositivo semplice quanto intuitivo per tenere memoria delle correzioni da apportare per compensare la caduta del proiettile a differenti distanze. Nel caso dello Z8 provato, la torretta balistica era addirittura sostituita da un dispositivo dedicato al calibro adottato. Praticamente il top.
Il dS, quello rivoluzionario
Il nuovo dS, lanciato in occasione di IWA 2017, è invece un’ottica che di tradizionale non conserva molto. Fornita di un’importante componente elettronica, di un telemetro interno e di sensori in grado di misurare pressione atmosferica, temperatura e inclinazione, rappresenta un sistema in grado di stravolgere l’esperienza di caccia per come l’abbiamo finora intesa. L’accoppiamento a un dispositivo smart – mediante Bluetooth e l’applicazione proprietaria dS Configurator – permette di inserire le performance balistiche di calibro e munizione impiegata. Et voilà, il dispositivo fornisce – alla pressione di un bottone, quello che attiva il telemetro – il corretto punto d’impatto spostando il punto rosso lungo l’asse verticale del reticolo. Ma pure ai suoi lati se abbiamo inserito le indicazioni riferite al vento laterale. Così, con il dS non è più necessario sfruttare un telemetro esterno per valutare la distanza del selvatico e apportare le modifiche all’alzo in base alla curva balistica che, se siamo previdenti, ci portiamo sempre dietro. Il dS fa tutto da solo.
Una breve descrizione
Il nuovo cannocchiale Swarovski si distingue anche esteticamente dalla tradizione. È un po’ più lungo e pesante del normale e riporta al centro due sole torrette. Una per la regolazione della parallasse, la seconda per contenere l’ingombrante batteria CR123, una chiave a brugola e la ghiera amovibile da utilizzare per la regolazione micrometrica del punto d’impatto. I registri per l’azzeramento sono posti sulla campana dell’obiettivo, assicurati al corpo dell’ottica da un grano con testa esagonale (a cui è destinata la chiave esagonale). Per apportare le modifiche è indispensabile utilizzare la ghiera contenuta nella torretta. Una volta azzerato il reticolo alla distanza preferita, si può serenamente chiudere le torrette, riporre ghiera e chiave e dimenticarsene.
Il resto dei comandi è collocato sull’oculare. Un comando gommato permette di selezionare l’ingrandimento preferito nell’ampio range proposto (il fattore di zoom è pari a 5x). I due tasti laterali provvedono alla regolazione della luminosità del punto rosso e delle altre informazioni presentate nel display interno. Il bottone centrale sovrintende all’accensione del dispositivo e alla misurazione telemetrica.
Una volta che si sia proceduto all’azzeramento, il secondo step di configurazione dell’ottica prevede l’accoppiamento tra il dS e il dispositivo smart e la successiva impostazione di tutti i parametri soggettivi (distanza di azzeramento, distanza dell’asse dell’ottica da quello della canna, calibro, munizione impiegata, eventuale velocità del vento laterale) mediante l’applicazione fornita gratuitamente e costantemente aggiornata dal produttore. Operazione semplicissima, a prova di errori. L’app ha un database molto esteso e consente l’inserimento di parametri individuali da parte di chi spari munizionamento ricaricato o intenda rielaborare la tabella standard del proprio proiettile in relazione alla prestazione che effettivamente produce con la specifica arma impiegata. Non mi stancherò mai di ripeterlo: spesso tra i valori standard e quelli reali ci sono differenze che già a 200 metri possono mettere in discussione l’abbattimento.
A questo punto la configurazione è conclusa e, alla semplice pressione del bottone di attivazione, il sistema evidenzierà nel campo inquadrato la distanza del selvatico, il punto di mira in relazione a tutti i parametri impostati e, dettaglio molto interessante, l’energia cinetica residua del proiettile alla distanza d’impatto.
Il confronto
Il confronto tra questi due strumenti è reso difficile dalle differenze concettuali che li animano. Per cercare di ridurre al minimo le variabili soggettive, ho scelto come termine di paragone l’allestimento 2,3-18×56 del cannocchiale Z8. Quello che maggiormente si avvicina al dS in termini di fruibilità. Avrei potuto scegliere in alternativa l’allestimento 5-30×50 dello Z6i così come i variabili 5-25x, rispettivamente con campana da 56 e 52 mm, dello X5i e dello Z5. Scegliendo questo Z8 ho ritenuto di mettere a confronto il top delle rispettive gamme.
Partiamo da qualche considerazione a scatola chiusa. Le differenze dimensionali e ponderali tra i due strumenti sono evidenti. Quattro centimetri in lunghezza e tre etti e mezzo di massa non sono tanti a livello assoluto ma neppure pochi in termini di differenziale. E non va dimenticato che, mentre lo Z8 sfrutta un classico tubo da 30 mm, il dS necessita di uno di addirittura 40 millimetri. L’arma che monta il dS risulta inevitabilmente più ingombrante e meno brandeggiabile anche se bisogna dire che questo prodotto non nasce esattamente per la caccia nel bosco. Semmai per la cerca, in contesti ambientali che, anche senza voler volare fino all’Asia centrale, mi immagino quantomeno alpini.
Guardando al complesso ottico che equipaggia i due cannocchiali, proprio alla scheda tecnica, c’è un elemento che balza agli occhi, la differenza considerevole in termini di trasmissione luminosa tra i due sistemi. All’apice della tecnologia disponibile per lo Z8 (93%), di ben 10 punti percentuali in meno per il dS, sicuramente penalizzato dalla quantità di elettronica e dalla complessità del reticolo che lo equipaggia. Qui si nota una prima sostanziale differenza. Se si caccia in condizioni d’illuminazione critiche, magari il capriolo all’imbrunire, lo Z8 è più performante. Se si caccia di giorno, le differenze si annullano, perché le lenti del dS sono comunque all’altezza della fama del produttore, quindi senza aberrazioni evidenti o distorsioni.
La vera competizione tra i due strumenti si accende al capitolo che dedico alla facilità d’impiego. Qui non c’è storia. Con il dS, alla pressione di un pulsante il cacciatore ha tutte le informazioni di cui necessita. Archiviando la pratica forse in un secondo. Lo Z8 – come tutte le ottiche tradizionali – richiede invece una certa manualità, di conoscenza, di approssimazione e pure di freddezza. Si tratta di telemetrare la distanza del selvatico con uno strumento esterno, calcolare la caduta del proiettile nelle condizioni reali (nel caso migliore utilizzando la torretta BTF, altrimenti rapportando la caduta ai click) e infine ingaggiare il bersaglio. Un cacciatore esperto e con una certa manualità fa tutto in pochi secondi, è vero, ma è costretto a destreggiarsi tra due strumenti e in calcoli non sempre banali. E in termini di facilità d’impostazione? La regolazione del dS, grazie all’applicazione che gli è dedicata, è banale. Lo ripeto, banale. Immediato è l’accoppiamento con lo smartphone (operazione che deve essere eseguita una volta, solo in fase di programmazione) e semplice l’inserimento dei parametri richiesti.
A margine di queste note si apre semmai il tema della liceità etica di strumenti questo genere. Come afferma Swarovski nella sua comunicazione, il dS è stato pensato per aiutare il cacciatore a concentrarsi sugli aspetti essenziali della caccia. E permettergli di non pensare ad altro se non alla cerca e a piazzare il colpo. Spogliandolo, in sostanza, di parte delle sue competenze. Un tema intrigante, che si apre a mille considerazioni e, in fin dei conti, mette a confronto scelte di vita venatoria tra loro molto differenti.
In breve
Ho effettuato il confronto tra queste due ottiche presso l’Afv La Selva, nel modenese, in una giornata molto ventosa, con tiri su bersagli di carta posti a 100 e 300 metri. E poi su gong fino a 550 metri. Lo Z8 – montato su una bolt action Sako Carbon Light 7 mm RM – lo conoscevo bene e, anche grazie alla presenza dell’anello dedicato, le sue performance sono risultate perfettamente in linea con le aspettative. Per il dS – montato invece su una Kelbly Atlas Hunter in .300 Dakota – si trattava di una prima assoluta verso cui nutrivo grande curiosità. Tarato a 100 metri, a 300 metri ho ottenuto un risultato coerente con quanto dichiarato dal produttore. L’acquisizione è stata ultra rapida e il colpo è andato lì dove doveva. Lo stesso è accaduto sui gong. Mi sono forse sentito un po’ deresponsabilizzato, dirò di più, svuotato di un’abilità a cui tengo molto, ma in effetti ho sparato in grande scioltezza e sicurezza. Con la certezza psicologica che nessun errore umano in termini di regolazione dell’ottica avrebbe compromesso la mia prestazione.
Prova passata a pieni voti, quindi. Con una raccomandazione da rivolgere obbligatoriamente a chi deciderà di affidarsi al dS a caccia. È uno strumento potentissimo che non autorizza a spegnere il cervello né a tentare di oltrepassare i propri limiti. L’etica, quella, non cambia. Non è situazionista, come si dice oggi. Si tratta come sempre di darsi un limite e di rispettarlo.