La selezione del setter inglese e i suoi adattamenti alla caccia attuale: quando sono utili e quando dannosi?
L’amore per questa razza miscelato a una smodata passione per la caccia mi hanno motivato ad analizzare in modo critico il setter inglese, per individuare eventuali “nei” della razza e i “nei” di chi la utilizza.
Gli adattamenti sono la principale causa che innesca tutto ciò e saranno la base di ogni valutazione che andrò a fare sullo stato attuale della razza, rapportato alla caccia e in particolare a quella alla beccaccia.
Setter inglese: il più amato dagli italiani
È indubbio che il setter inglese sia tra i cani da caccia più amati e allevati nel Belpaese, così come è indubbio che nel corso del tempo la selezione ha imposto sostanziali adattamenti riguardo il suo utilizzo e le sue peculiarità. Di conseguenza sorgono spontanee alcune domande. E’ migliore il setter attuale o quello di un secolo fa? È possibile migliorare e rendere efficienti le qualità di un setter da caccia? Esiste un modo corretto per gestire un setter nel bosco?
Prima di rispondere, vorrei fare una breve premessa sui caratteri principali di questo straordinario ausiliare, che hanno contribuito a portarlo ai massimi livelli nell’utilizzo venatorio. Tra tutti i cani da caccia, a mio avviso, è difficile trovarne uno più utile, bello, resistente e con maggior olfatto del setter. Il suo temperamento forte come la sua passione, la capacità di adattarsi ai terreni, alle temperature e a diverse specie di selvaggina, le sue eccellenti doti di recupero, la sua intelligenza, la sua generosità lo rendono unico dal punto di vista venatorio. E il suo carattere dolce fa sì che si innamori del suo padrone e che si integri perfettamente nella vita di famiglia.
Tutto questo è il frutto di una selezione oculata, condotta attraverso i secoli, che ha trasformato il setter nel cane da ferma per eccellenza, ponendo sempre l’olfatto, dote naturale, come punto di riferimento al quale la velocità si deve umilmente sottomettere.
La selezione di di Laverack
Per rispondere ai quesiti sopra posti, vorrei partire dai famosi setter Laverack, frutto della passione di quello che è ritenuto il padre moderno del setter inglese, Sir Edward Laverack. Morfologicamente differenti dall’attuale, questi cani erano selezionati esclusivamente per la caccia e i migliori soggetti erano quelli che venivano presentati poi nei field trial primaverili. La caccia era il riferimento e tutti gli aggiustamenti necessari o imposti prendevano esclusivamente corpo da valutazioni fatte praticando questa disciplina.
Questo ha salvaguardato per almeno due secoli una selezione che si faceva sempre più incisiva e mirata a migliorare l’attitudine all’esercizio venatorio. Ed è proprio nel corso di questa selezione che il setter è stato affinato per adattarlo al meglio, fino a diventare la razza più utilizzata, soprattutto in Italia, su alcune specie di selvaggina che erano per lo più cacciate con ausiliari che presentavano caratteristiche profondamente diverse rispetto al setter. Ovviamente tra queste rientra la beccaccia.
La specializzazione del setter sulla beccaccia
Seppur già ai tempi di Laverack le beccacce erano cacciate con il setter, è soprattutto in Italia che è avvenuta una specializzazione quasi ossessiva su questa tipologia di caccia. Caccia che nel nostro Paese si svolge in ambienti con cui il setter ha dovuto familiarizzare visto che, come il pointer, è una razza selezionata per la caccia in spazi aperti e che ha una particolare attitudine a lavorare sul vento con la sua tipica velocità.
Tutto questo nel bosco è spesso impossibile sia per la conformazione del terreno sia per il comportamento delle beccacce, che risulta profondamente diverso da quello delle starne, selvatico per eccellenza sul quale è stata operata la selezione. In questi adattamenti l’inglese è stato salvato grazie all’olfatto potente e all’intelligenza che lo hanno reso efficace pur dovendo rinunciare ad alcune delle sue peculiarità, tra cui la velocità.
Ma con la minuziosa opera dell’uomo, accoppiando i soggetti migliori in questa forma di caccia, si è arrivati ai giorni nostri in cui alcuni setter riescono il più delle volte a fare la differenza nel bosco, compensando la diminuzione di selvaggina e l’inasprimento di alcuni habitat naturali.
Mentalità e collegamento
Oggi molti degli adattamenti operati sul setter a beccacce si concentrano sull’annosa questione della mentalità e del collegamento. Tanto che gli interventi, spesso dannosi, tendono a limitarne l’eccessiva passione e quindi l’iniziativa a vantaggio di una cerca più ristretta. Dal mio punto di vista prediligo quel soggetto che sa osare e non strafare, mantenendo il giusto collegamento con il conduttore.
Se “affinare” il setter sulle beccacce ha avuto e ha tuttora i suoi risvolti positivi, sia per la razza sia per il cacciatore (perché per questo lavoro ci si basa sull’attività venatoria), altri adattamenti lo hanno snaturato, ponendo in secondo piano le sue qualità naturali e l’attitudine venatoria. La generosità, l’ardore e la passione non sono la velocità esasperata tipica di alcuni trialer. Sono quel qualcosa che spinge l’inglese a un galoppo spigliato e veloce, ma efficace e teso a coprire più terreno possibile per reperire la selvaggina, rimanendo sempre fedele all’olfatto.
Il setter tra caccia e prove
Alcuni cinofili hanno trasformato quel galoppo spigliato e veloce in ritmo teso a sublimare i suoi occhi con aperture rapide e profonde, coronate da arresti mozzafiato, snaturando il concetto di velocità. Ragion per cui non ritengo il setter attuale migliore nel complesso rispetto a quello del secolo scorso.
La moda sfrenata di ricercare il trialer e il soggetto di ritmo per contrapporlo sui terreni dei field trial al cugino pointer ha portato a una spettacolarizzazione delle prove. La prestazione conta e gratifica più del lavoro, snaturando la psiche del setter e portandolo più a confrontarsi sul terreno dell’audacia invece che su quello della prudenza.
E così ci siamo ritrovati un setter moderno assai diverso da quello definito dallo standard e che molti cacciatori e cinofili d’altri tempi hanno amato e preservato. Mentre la cerca ampia e la velocità avevano il senso di coprire più terreno e risparmiare fatica al cacciatore, oggi sono state rivolte essenzialmente a spettacolarizzare l’azione. Per questo ritengo certi adattamenti la fonte principale che ha alimentato alcuni “nei” della razza. E con questi oggi molti cacciatori devono fare i conti ogni qualvolta si avvicinano a famosi soggetti provenienti dalle prove.
Fortuna ha voluto che sapienti allevatori e qualche “illuminato” cacciatore abbiano saputo salvaguardare certe peculiarità, che riescono a imporsi ogni volta che una femmina, eccelsa cacciatrice, convola a nozze con il trialer del momento.
La caccia deve essere il punto di riferimento per la selezione
Il setter deve essere attaccato al naso senza eccessi, ma non deve essere mai indotto alla ferma o forzato a non accertare. Tutto ciò che è stato fatto nel corso degli ultimi anni ha portato alcune linee di sangue a discostarsi troppo dallo scopo principale per cui la razza è stata selezionata. La caccia, a mio avviso, deve e dovrà rimanere il punto di riferimento attraverso il quale operare la selezione e cercare gli adattamenti utili a essa.
Spesso una selezione operata sul ritmo sostenuto da mantenere in un turno di prova ha portato a mettere in secondo piano le doti naturali che un setter valido deve mostrare nell’approccio all’attività venatoria. Questa spettacolarizzazione del setter inglese ha indotto molti cacciatori ad accoppiare i propri soggetti con il campione del momento. Ciò ha portato nel giro di una o due generazioni a cacciare con soggetti difficili da gestire e spesso impossibili da adattare all’attività venatoria. Si è così innescata la necessità dell’intervento utile a correggere alcuni difetti o a piegare il soggetto a specifiche esigenze.
E qui lascio a voi immaginare le difficoltà. È altresì vero che spesso accade anche il contrario. Il soggetto ottimo cacciatore diventa vittima di eccessivi interventi o adattamenti imposti da cacciatori poco avvezzi a interpretare un setter e molto più abili a premere un grilletto per finalizzare un’azione.
La caccia con il cane da ferma è molto di più
La caccia con il cane da ferma deve essere un insieme di abilità che non si esauriscono alla sola bravura nello sparare. Queste devono trovare la loro espressione massima nella complicità che si crea tra cane e cacciatore e cane. E occorre che quest’ultimo sappia interpretare la razza e correggere eventuali piccoli “nei” del suo soggetto. Dovrà adattarlo poco alla volta al nostro modo di cacciare senza snaturare la sua psiche e le sue peculiarità.
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