Editoriale
Ricominciamo da qui
Sono tanti gli aspetti della caccia che si radicano profondamente nelle nostre tradizioni e che fanno parte di un bagaglio culturale che contiene un pezzo importante della nostra storia. Di quella di tutti, non solo di chi è cacciatore. E l’aspetto che più facilmente può essere accettato e condiviso con la società civile oggi è rappresentato dalla nostra cultura gastronomica, che prevede nei più blasonati ricettari preparazioni a base di carne di selvaggina. Una tavola imbandita, si sa, mette spesso tutti d’accordo. Ne è prova il fatto che questo importante passepartout oramai ha aperto alla caccia anche le porte, per altri versi blindati, della comunicazione sui principali media; possiamo dire che le ha praticamente spalancate dal momento in cui persino i più rinomati chef oggi propongono ricette con la selvaggina nelle trasmissioni che li vedono protagonisti indiscussi e che catalizzano l’attenzione di moltissimi telespettatori. Ma non è solo una questione di vincere facile. Per il mondo venatorio la valorizzazione della carne di selvaggina è un imperativo. Oggi che la caccia non è certamente legata a una necessità alimentare, prelevare quello che poi può essere onorato in tavola, senza eccessi e sprechi, significa essere interpreti di una corretta cultura ambientale in tempi in cui la tutela del nostro pianeta è uno dei temi più sentiti e urgenti da affrontare. E sicuramente la carne di selvaggina rappresenta anche una risorsa economica importante, che sarebbe opportuno e doveroso sfruttare nel migliore dei modi.
Il tema dirimente per la caccia è questo, qui appena accennato in poche righe, ma di cui si occupa dal 2017 la Fondazione Una Onlus (Uomo Natura Ambiente) sostenendo il progetto Selvatici e Buoni, dedicato alla gestione della carne di grossa selvaggina (prodotto sano e sostenibile) quale importante strumento di valorizzazione del territorio. L’obiettivo del progetto – che si chiuderà il prossimo ottobre con un evento in cui saranno presentati e commentati i risultati emersi dalle attività svolte e dall’elaborazione dei dati raccolti dai vari attori coinvolti nell’iniziativa – è quello di sviluppare attraverso un percorso partecipato dai differenti stakeholder le modalità operative per la gestione di una filiera delle carni di grossa selvaggina attraverso attività di formazione, educazione all’utilizzo delle risorse, miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie, caratterizzazione e valorizzazione del prodotto fino alla sua promozione sul territorio. È fatto indiscutibile, infatti, che la selvaggina sia fonte di carne pregiata e biologica (l’animale nasce e cresce in natura), dalle grandi potenzialità in termini economici e occupazionali. Ma per valorizzarla al meglio servirebbe sviluppare su tutto il territorio nazionale una filiera certificata della carne selvatica.
Le attività svolte finora sono state diverse, tra cui anche lo svolgimento di corsi di formazione rivolti al mondo venatorio sul corretto trattamento delle carni della grossa selvaggina, la raccolta di dati per la definizione degli aspetti sanitari e storico-culturali legati al consumo di selvaggina, oltre all’organizzazione di degustazioni guidate che hanno contribuito a dare una maggiore visibilità e consenso al progetto (chi volesse saperne di più può consultare il sito www.selvaticiebuoni.it). In ordine di tempo, l’ultimo evento realizzato nell’ambito di Selvatici e Buoni si è svolto a fine maggio a Lallio, in provincia di Bergamo: si è trattato di un workshop dedicato ai ristoratori e Pentole Agnelli, una bella realtà aziendale italiana con più di un secolo di storia, che nulla ha a che vedere con la caccia, è stata partner dell’iniziativa, a testimonianza di come la valorizzazione della carne di selvaggina sia davvero un argomento trasversale.
Non sono mancate le presenze importanti a sottolineare la rilevanza dell’evento; tra queste il vice presidente dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo Silvio Barbero, il presidente della Società italiana medicina veterinaria preventiva Antonio Sorice e il direttore di Ascom Confcommercio Bergamo Oscar Fusini. E la buona e sana cucina ancora una volta è stata un prestigioso biglietto da visita per la caccia: Roberto Dormicchi infatti, chef della Franchi Food Academy, ha condotto uno show cooking all’interno della sala del centro ricerca e formazione Saps Agnelli Cooking Lab.
La valorizzazione di quello che preleviamo (in maniera sostenibile) è senza dubbio il punto da cui ripartire per una onesta presa di coscienza che la caccia, se condotta nelle regole di legge ed etiche, può essere anche un modo di vivere in maggiore armonia con la natura. E tutto ci dice che se vogliamo conservarla questa natura, oggi più che mai deve essere rispettata.
Cacciamo quindi con rispetto e impariamo a dare un valore non solo in termini emozionali e ludici a quello che preleviamo. Portiamolo sempre con amore e piacere anche in tavola. Piaceremo di più anche noi.
Viviana Bertocchi