Ispirata da quanto sta succedendo in Francia, la Libera Caccia lancia l’idea di uno sciopero dei cacciatori.
Di sicuro avrebbe delle conseguenze, e di sicuro in tanti si accorgerebbero di quanto siano centrali nella gestione dell’ecosistema: considerato il malcontento sempre più diffuso nei confronti di un certo tipo di politica, non è escluso che lo sciopero dei cacciatori proposto dalla Libera Caccia resti soltanto una provocazione.
L’impulso è quanto deciso dai cacciatori francesi dopo che il Consiglio di Stato ha vietato di praticare alcune cacce tradizionali da secoli diffuse nelle regioni sudoccidentali; la più colpita è la caccia alle allodole con reti e trappole, che la Fédération Nationale des Chasseurs ritiene che rispettasse le normative europee. Per protesta, dal 1° giugno i cacciatori francesi interromperanno la caccia collettiva al cinghiale, e non parteciperanno alle operazioni di controllo faunistico.
Per Paolo Sparvoli, presidente nazionale della Libera Caccia, se il clima punitivo e di criminalizzazione non dovesse svanire i cacciatori italiani dovrebbero fare lo stesso, «con lo stesso coraggio e la stessa determinazione»; non è infatti accettabile che si chieda al mondo venatorio uno sforzo enorme per ridurre le popolazioni di cinghiali, e al tempo stesso lo si penalizzi con calendari sempre più restrittivi «negandogli ogni certezza del diritto, e lasciandolo perennemente sottoposto alla minaccia di una serie infinita e pretestuosa di ricorsi cervellotici e scientificamente immotivati».
La Libera Caccia si farà dunque portavoce «del profondo malessere» dei cacciatori italiani, e li inviterà a seguire l’esempio dei francesi e a «disertare tutte le forme di monitoraggio e controllo delle specie problematiche, compreso il cinghiale, se le istituzioni, invece di assumere decisioni supportate [dalla scienza], continueranno a subire gli isterismi e i ricatti dell’estremismo animalista».
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