E’ in atto uno studio che ha lo scopo di validare con metodo scientifico le conoscenze attuali del virus individuato come Sars-CoV-2 in relazione a questi.
© Francesco Micoli, medico veterinario, presidente del Gc milanese
Il Sars-CoV-2, come tanti altri virus, viveva nell’intestino del pipistrello che è un animale che per 50 milioni di anni non si è evoluto e che quindi rappresenta il serbatoio ideale di tanti tremendi virus che si adattano al suo ospite finché questo non sviluppa resistenze tali per cui il virus muta e passa a un nuovo ospite più soddisfacente.
In alcuni Paesi, come quelli orientali ed asiatici, dove il clima è particolarmente caldo e umido, quindi favorevole al prolificarsi dei virus, nei mercati dove si vendono carni di vario tipo e origine senza un controllo e senza l’impiego dell’abbattimento delle temperature, la contaminazione ha reso disponibile il virus ad altre specie.
Nell’uomo il Sars-CoV-2 ha trovato una serie di condizioni particolarmente favorevoli, soprattutto per la sua diffusione, perché si tratta di una popolazione numerosa e che negli ultimi anni ha aumentato notevolmente la movimentazione e, viaggiando, il virus ha trovato ovunque ospiti con un sistema immunitario non ancora formato.
Gli animali domestici possono essere considerati dei vettori?
Ma gli animali domestici possono avere un ruolo nei casi di contagio? Al momento è in atto un progetto, al vaglio anche dell’Enci, che convalidi con uno studio scientifico l’ipotesi che il cane sia un vettore passivo.
Gli animali in questo momento possono avere due ruoli. Quello del trasportatore passivo (al pari di un cellulare) che può essere veicolo di trasmissione. Oppure quello dell’animale che si contamina con il virus a basso titolo e che ha quindi un ruolo epidemiologico anche in questo caso trascurabile.
Il cane e il gatto, infatti, non avrebbero dei ricettori adeguati perché il virus si sviluppi, quindi i soggetti trovati positivi lo sono perché venuti in contatto con il virus, così come una normale superficie può venirne a contatto, ma non sono da considerarsi ospiti adeguati per sviluppare la patologia.
Basta un semplice prelevo di sangue
Per condurre questo studio è necessario raccogliere siero di un numero congruo di cani e gatti che siano entrati in contatto con persone positive al Sars-CoV-2. Con un semplice prelievo di sangue in laboratorio viene valutata la risposta anticorpale, per vedere se hanno una reazione al virus. Se questa non dovesse essere riscontrata, così come ci si aspetta, vuol dire che l’animale ha subito un’infezione talmente blanda da non aver coinvolto il sistema immunitario e questo avvalorerebbe l’ipotesi che i cani (e i gatti) non giocano alcun ruolo attivo nella trasmissione.
Ma questa ipotesi deve essere confermata dai numeri, ossia dopo aver testato un adeguato numero di animali.
Ad avvalorare questa tesi c’è anche il fatto che virus sia in un certo senso intelligente, per cui nel cane non troverebbe un ospite particolarmente significativo, perché gli offrirebbe una diffusione limitata e svilupperebbe presto un sistema immunitario tale per cui smetterebbe presto di vivere.
Un ingiustificato allarmismo generale
Se questa tesi venisse convalidata, servirebbe a bloccare l’allarmismo generale e il rifiuto di tante pensioni, allevamenti o asili di prendere ospiti i cani di pazienti positivi oppure sarebbe utile a frenare l’abbandono di animali a seguito del ricovero di proprietari o del timore di contagio.
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