Le zone di ripopolamento e cattura sono destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, al suo irradiamento nelle zone circostanti e alla sua cattura per l’immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all’ambientamento, fino alla costituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale
La legge 157/92 individua e norma le oasi di protezione, le zone di ripopolamento e cattura e i centri pubblici per la riproduzione della fauna selvatica, che per loro natura possiedono funzioni diverse, benché per tutte sia previsto “il divieto di abbattimento e cattura a fini venatori, accompagnato da provvedimenti atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione e la cura della prole”. Al terzo comma, l’articolo 10 della legge quadro sulla caccia stabilisce la percentuale di superficie che ciascuna Regione è tenuta a vincolare ad aree di protezione; la quota risulta compresa tra il 20% e il 30% della superficie agro-silvo-pastorale di ciascuna Regione, con eccezione per il territorio delle Alpi, per il quale la percentuale viene compresa tra il 10 e il 20%. In realtà la norma nazionale prevede che nel raggiungimento di tale percentuale concorrono anche i parchi, oltre alle sopraccitate aree di protezione ove vige il divieto di caccia.
Le zone di ripopolamento e cattura sono destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, al suo irradiamento nelle zone circostanti e alla sua cattura, mediante piani previsti nel programma annuale di intervento, per l’immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all’ambientamento, fino alla costituzione e stabilizzazione della densità faunistica ottimale. Si tratta pertanto di un istituto molto importante dal punto di vista faunistico-venatorio, perché utilizzato dall’Ambito territoriale di caccia o dal Comprensorio alpino per fornire una dotazione annua di selvaggina naturale (generalmente lepri e fagiani) da utilizzare per l’immissione sul territorio cacciabile o in altri ambiti protetti.
La principale metodica utilizzata per il raggiungimento degli obiettivi gestionali è rappresentata dalla cattura di una frazione della popolazione prodotta annualmente, a seguito della preventiva valutazione quantitativa della popolazione locale condotta in periodo post-riproduttivo. Vi è poi la possibilità di sfruttamento della selvaggina a fini venatori attraverso l’irradiamento naturale del territorio limitrofo.
Favorire la selvaggina naturale
Le zone di ripopolamento e cattura rappresentano pertanto lo strumento di base della programmazione provinciale e regionale in materia di produzione, incremento, irradiamento e ripopolamento della fauna selvatica, in particolare di quella stanziale.
Lo strumento deputato all’individuazione delle zone di ripopolamento e cattura è rappresentato dal piano faunistico-venatorio regionale. Quattro gli obiettivi specifici il cui raggiungimento queste aree devono consentire e favorire:
- aumentare complessivamente la stabilizzazione di popolazioni naturali autoriproducentesi in base alle specifiche potenzialità territoriali, a densità compatibili determinate a livello locale, anche sulla base delle vulnerabilità delle produzioni agricole presenti;
- pervenire a una riduzione delle immissioni di selvaggina di allevamento, e più in generale delle immissioni pronta caccia, a favore delle produzioni naturali;
- garantire la qualità genetica e sanitaria della selvaggina oggetto di immissioni riducendo significativamente, se possibile sospendendo del tutto, le importazioni di selvaggina all’estero;
- programmare e attuare gli interventi di contenimento dei predatori (volpe, corvidi), in conformità al parere dell’Ispra.
Una scelta oculata del sito da destinare a Zrc, condotta mediante una preventiva verifica della vocazionalità del territorio, costituisce il presupposto fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi.
Potenziare la vocazione
Il piano faunistico-venatorio della Regione Piemonte è utile a identificare le caratteristiche delle zone di ripopolamento e cattura.
Queste aree devono essere innanzitutto individuate su terreni ricadenti nelle aree ad alta vocazionalità per le specie oggetto di incentivazione. Per la definizione della carta della vocazionalità, le Province, deputate all’individuazione delle Zrc con il proprio piano faunistico-venatorio, devono tener conto dei dati a disposizione della Regione. La capacità ricettiva di una determinata area è strettamente legata a una serie di fattori ambientali e può essere incrementata, anche in modo significativo, con interventi di miglioramento e di riqualificazione ambientale, per incrementare la diversità e la densità delle zoocenosi in modo duraturo nel tempo. A tal proposito, tra l’altro, la legge 157/92 prevede espressamente che gli Atc programmino interventi per il miglioramento degli habitat e provvedano all’attribuzione di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per la coltivazione di alimenti naturali in favore dei selvatici, l’apprestamento di siepi, cespugli e alberi adatti alla nidificazione. In linea generale, per migliorare la vocazionalità (ricettività) di un territorio si può far ricorso a due tipologie di intervento. Gli interventi indiretti sono volti principalmente al potenziamento delle tipologie ambientali. Soprattutto nel periodo invernale, quando le riserve alimentari per la selvaggina risultano scarse, sono utili interventi per potenziare la disponibilità alimentare. Gli interventi di questo tipo possono riguardare la produzione naturale di alimento destinando porzioni di territorio della Zrc a colture a perdere di essenze particolarmente appetite oppure il foraggiamento artificiale. Un’adeguata dotazione di zone di rifugio e di micro-ambienti adatti alla riproduzione costituisce elemento fondamentale per la permanenza dei selvatici nella zona di ripopolamento e cattura. Questi siti potrebbero essere individuati in aree altrimenti non utilizzate quali le scarpate di strade e capezzagne, zone marginali, basi dei tralicci di elettrodotti, arginature di canali e corsi d’acqua. La carenza d’acqua può inoltre risultare un fattore che limita fortemente la permanenza sul territorio di alcune specie di selvaggina, soprattutto durante il periodo estivo, siccitoso. Per tale ragione risulta opportuno allestire nelle Zrc adeguati punti di raccolta d’acqua, in numero sufficiente.
Esiste poi una serie di interventi diretti, volti a contenere i fattori che causano mortalità e disturbo della fauna. Appartengono a questo secondo gruppo di azioni, gli interventi diretti a ridurre alcune pratiche agricole particolarmente dannose: diverse pratiche colturali normalmente utilizzate, soprattutto nelle aree interessate da un’agricoltura intensiva, si rivelano particolarmente impattanti sulla selvaggina. A tal proposito si segnala l’utilizzo di alcune sostanze chimiche di comprovata tossicità, lo sfalcio dei foraggi durante il periodo riproduttivo della fauna selvatica (lepre, in primo luogo), la mietitura dei cereali e la bruciatura delle stoppie. Alcune pratiche colturali determinano inoltre estese e forti alterazioni del territorio con conseguente perdita di habitat per la fauna selvatica. La presenza di fonti trofiche artificiali di origine umana, quali le discariche non controllate, i rifiuti di allevamenti intensivi e le immissioni di selvaggina di allevamento costituiscono un fattore di alterazione degli equilibri tra le diverse specie animali, con conseguente incremento di quelle opportuniste (corvidi, gabbiani, volpe) a danno delle altre, con particolare riferimento a quelle di interesse faunistico-venatorio. L’elevato grado di antropizzazione del territorio, accompagnato dall’incremento del numero di infrastrutture e manufatti come strade, autostrade, ferrovie, canali, elettrodi che determinano la frammentazione del territorio, porta a limitare il movimento e a una significativa mortalità dovuta agli incidenti che si determinano.
Valutazioni in serie
Le zone di ripopolamento e cattura non devono insistere su ecosistemi vulnerabili per le specie sia botaniche sia faunistiche, come i siti Rete Natura 2000, a meno che si dimostri in fase di valutazione di incidenza che le attività connesse alle operazioni di cattura e di ricognizione faunistica non incidano negativamente. Inoltre, devono preferibilmente essere collocate al di fuori delle aree classificate ad alto impatto per l’incidenza della fauna selvatica sulle attività antropiche, con particolare riguardo a quelle agricole, proprio per contenere i costi derivanti dalle richieste di risarcimento danni. Per questa ragione è infatti consigliabile collocare le Zrc all’interno di territori interessati da un’agricoltura di basso reddito. Le Zrc non devono essere contigue alle zone destinate ad allenamento e addestramento dei cani da caccia.
Risulta inoltre opportuno che le zone di ripopolamento e cattura sia distribuite il più possibile sul territorio provinciale, tenendo conto del fatto che irradiano fauna selvatica nei territori circostanti per tutto l’arco dell’anno, svolgendo quindi naturalmente un’importante funzione di reintegrazione delle popolazioni.
L’estensione adatta al fine di garantire l’insediamento di una popolazione stabile e in grado di autoriprodursi deve esser messa in relazione con l’idoneità e la completezza ambientale, oltre che con le esigenze di ciascuna specie per quanto attiene l’area vitale (home range) e gli spostamenti. In linea generale l’Ispra ritiene che le dimensioni minime delle Zrc destinate alla produzione del fagiano debbano essere comprese tra i 500 e i 700 ettari: tra i 1.200 e i 1.500 ettari per la starna e la pernice rossa, tra i 700 e i 1.000 ettari per la lepre. Di nuovo, esempio sul Piemonte: la dimensione attuale media delle Zrc è di 674 ettari, con un minimo di 34 e un massimo di 2.458 ettari. Le aree di piccole dimensioni mal si prestano alle catture, mentre funzionano meglio per l’irradiamento della selvaggina verso i territori limitrofi. In tutti i casi si ritiene che gli istituti non debbano avere dimensioni inferiori a 500 ettari.
Le zone di ripopolamento e cattura, come dice lo stesso termine, sono deputate alla produzione di fauna selvatica da adibire al ripopolamento di zone cacciabili e non, a seguito della sua cattura effettuata con mezzi adeguati a evitare possibili danni, dando priorità a quelle dove si manifestano danni alle colture. Preventivamente alla cattura dovranno essere svolti i censimenti, che nel caso della lepre cadono alla fine dell’inverno (febbraio-marzo) e subito prima delle catture.
Un aspetto rilevante che riguarda queste zone è rappresentato dalla loro durata, che non dovrebbe essere troppo prolungata, ma neppure troppo corta: in occasione della loro istituzione, è invece indispensabile prevedere la possibilità, dopo qualche anno, di una revisione di confini e superfici, fermo restando naturalmente che le superfici eventualmente perdute vengano recuperate altrove, possibilmente all’interno dello stesso Atc, in caso di modifica delle caratteristiche del territorio e conseguente perdita di vocazionalità nei confronti della specie prodotta. In caso di perdita di produttività risulta infatti inutile e antieconomico mantenere una Zrc in vita, mentre diventa più efficace un suo spostamento in altri territori con caratteristiche ambientali più adatte. Alla luce di queste considerazioni si ritiene quindi che per questi istituti il termine temporale del vincolo vada periodicamente verificato subordinandolo al mantenimento di determinati valori di produttività, accertabili attraverso i censimenti periodici e le conseguenti catture.