Il Tar ha respinto il ricorso dell’Arcicaccia sulla composizione del comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale: non è necessario che siano rappresentate tutte le associazioni.
È vero che nella composizione originaria prevedeva un rappresentante per ciascuna delle associazioni venatorie, ma l’articolo 8 della legge 157/92 risulta superato prima dal decreto legge con cui il governo Monti abolì il comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale, poi dal nuovo assetto introdotto dalla legge di bilancio 2023 e dal successivo decreto ministeriale che ne dà attuazione.
È per questo motivo che la quinta sezione del Tar del Lazio (sentenza 4457/2024) ha respinto il ricorso dell’Arcicaccia che contestava la riduzione dei rappresentanti delle associazioni venatorie, adesso tre, e chiedeva di attivare la Corte costituzionale per «lo sproporzionato sacrificio dei principi di rappresentatività e proporzionalità: [la nuova formula] infatti pregiudica del tutto [le sigle] che, pur avendo ottenuto riconoscimento giuridico, [non possono esprimere] un componente in seno all’organo».
Su una questione analoga, la presenza delle associazioni venatorie negli Atc, il Tar nota che la Corte costituzionale ha stabilito che non si può esigere la nomina di un rappresentante per ogni associazione; e recentemente il Consiglio di Stato ha chiarito che il pluralismo è assicurato dalla presenza delle diverse componenti, e non richiesto all’interno di ogni singola componente.
Il decreto Lollobrigida mira soltanto a garantire un miglior funzionamento del comitato, non a ridurne le attribuzioni; e il mondo venatorio in quanto tale («e non l’una o l’altra associazione») è presente e adeguatamente rappresentato. Peraltro il ministro s’è attenuto al criterio della maggior consistenza associativa, «il più congruo»; né l’Arcicaccia contesta che la Federcaccia, la Libera Caccia e l’Enalcaccia siano numericamente più consistenti.
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