La storia della pernice rossa disegna una curva discendente. La mano dell’uomo è strettamente legata alle principali criticità che affliggono la specie.
La pernice rossa è considerata una specie caratteristica della regione mediterranea, in particolare dell’Europa sudoccidentale. Essa è infatti ritenuta originaria in Portogallo, Spagna, Francia, Corsica, Italia settentrionale e centrale, e Germania occidentale. In tempi storici è stata introdotta, con successo, nel Regno Unito e in alcuni arcipelaghi. Nel Mediterraneo è stata ambientata nelle isole Baleari, mentre nell’oceano Atlantico è stata introdotta nelle isole Canarie, che fanno parte anch’esse della Spagna. Rimanendo nell’oceano Atlantico, è stata introdotta anche nelle isole Azzorre e a Madera, che ricadono invece sotto la giurisdizione del Portogallo.
In Italia l’area di presenza della pernice rossa, prima della seconda guerra mondiale, si estendeva principalmente lungo la catena appenninica settentrionale, a partire dalle Alpi meridionali fino ad arrivare all’Emilia-Romagna. Nel centro Italia la pernice rossa era data come presente in Toscana, compresa l’isola d’Elba, Umbria e Marche. Le informazioni sul nostro Paese si fermano qui, non esistono infatti indagini aggiornate circa la situazione attuale della specie.
Oltre i nostri confini: in Francia, Spagna e Portogallo
In Francia la pernice rossa occupa la parte meridionale del Paese, con una presenza che va dal livello del mare fino ai 1.200 metri di quota. Nel Paese transalpino, negli anni Settanta furono condotte due indagini di carattere nazionale, la prima nel periodo compreso tra il 1970 e il 1977; la seconda tra il 1977 e il 1981. Queste ricerche documentarono una certa stabilità dell’areale di presenza della specie. Tuttavia, ulteriori studi condotti tra il 1985 e il 1989 hanno evidenziato un’espansione della presenza della pernice rossa verso nord, da addebitarsi a consistenti immissioni di soggetti allevati in cattività.
In Spagna la specie è data come presente dal livello del mare fino addirittura ai 2.500 metri di altitudine. Sebbene sia ritenuta rara sui monti Cantabrici e addirittura assente in alcune aree circoscritte, a causa di avverse condizioni climatiche locali o alla mancanza di habitat adatto, è invece data come ben presente nelle regioni centrali e meridionali.
In Portogallo, la pernice rossa è considerata occupare la maggior parte del territorio, anche se risulta più abbondante nella porzione a confine con la Spagna e nel meridione.
La pernice rossa nel Regno Unito
Nel Regno Unito la pernice rossa non è autoctona, ma è comunque presente da lungo tempo. Essa, infatti, è stata introdotta nell’Inghilterra sudorientale addirittura intorno al 1770 utilizzando soggetti provenienti dalla Francia. La sua diffusione è stata lenta ma continua fino agli Trenta del XX secolo, allorché ha raggiunto la sua massima espansione.
A questa prima fase di espansione ha fatto seguito un declino e una riduzione dell’area fino ad allora occupata. Dopo queste vicende, le popolazioni britanniche di pernice rossa sono tornate a crescere, sia in termini di numero sia di diffusione, a partire all’incirca dalla fine degli anni Cinquanta.
Questo successo ha consentito alla specie di raggiungere, grosso modo agli inizi degli anni Settanta, la sua massima diffusione nell’isola britannica. Da allora, la consistenza delle popolazioni e l’areale di presenza nel Paese di oltre Manica hanno oscillato notevolmente nel corso degli anni e oggi la presenza della pernice rossa è maggiormente concentrata nelle stesse aree in cui era stata introdotta nel XVIII secolo.
Tirando le somme, ai giorni nostri, la presenza della pernice rossa appare caratterizzata da popolazioni scarsamente consistenti nelle zone con clima umido, come la frangia settentrionale della penisola iberica e la costa atlantica di Portogallo, Francia e Regno Unito. Viceversa, le popolazioni più numerose sono valutate essere presenti nelle aree con un clima mediterraneo, come le regioni sudoccidentali del Portogallo e le regioni centrali e meridionali della Spagna.
Una specie condizionata dall’uomo
I cambiamenti nella diffusione della pernice rossa sono imputati a fattori prevalentemente ambientali dovuti alle attività umane. Ma in aggiunta a quanto sofferto da altre specie di piccola selvaggina, in particolare dalla starna, a causa della progressiva espansione dell’agricoltura industriale, la pernice rossa ha patito anche gli effetti del fenomeno opposto, cioè l’abbandono delle aree agricole marginali.
Il rimboschimento dei terreni agricoli abbandonati ha giocato un ruolo rilevante. Ma non è stato l’unico fattore. Anche la progressiva sparizione di pascoli, prati e piccole macchie, in seguito all’abbandono dell’allevamento tradizionale nelle aree altocollinari e montane, ha avuto la sua importanza.
L’abbandono dei terreni agricoli
La Toscana offre un esempio davvero significativo delle profonde trasformazioni ambientali indotte dall’abbandono dei terreni agricoli di alta collina, che hanno decretato la scomparsa della pernice rossa. Emblematica, a questo proposito, l’area delle Cornate di Gerfalco, nella parte settentrionale della provincia di Grosseto, al confine con quella di Siena. Lì oggi regna sovrano il bosco e di conseguenza il cinghiale, prima della Grande Guerra era in realtà un ambiente parzialmente coltivato, peraltro a fini di pura sopravvivenza, dove abbondavano le pernici rosse.
Il medesimo fenomeno ha interessato anche altre aree europee. In Andalusia, nel sud della Spagna, tra il 1991 e il 2007 l’area coperta da boschi è aumentata del 48%, quella da fitta macchia del 69% e i terreni coltivati si siano ridotti del 6%.
La contrazione degli habitat
Nel loro complesso, questi fenomeni hanno causato la progressiva contrazione, se non addirittura la sparizione di alcuni tra gli habitat ritenuti universalmente più idonei per la pernice rossa. Al posto delle pernici rosse si sono dunque diffuse specie, come il cinghiale e il capriolo, capaci di sfruttare al meglio questi veri e propri stravolgimenti ecologici. Senza contare che l’aumento delle popolazioni di cinghiale è responsabile di un aumento dei tassi di predazione dei nidi di pernice rossa.
Negli ultimi trent’anni la pernice rossa ha così conosciuto un notevole declino demografico. In Spagna il declino ammonta a oltre il 50% della consistenza (di cui il 33% circa nella sola regione centrale), con il 19% concentrato nel solo periodo compreso tra il 1998 e il 2010. In Italia, a metà degli anni Ottanta l’intera popolazione postriproduttiva della pernice rossa era stata stimata in quasi dieci mila soggetti. L’attuale popolazione è valutata in tre, quattro mila adulti, una dimensione simile a quella registrata nel 2003.
Effetto a catena
Il rilevante incremento del numero di cacciatori, avvenuto in Europa negli anni Sessanta, l’aumento della loro capacità di spostamento e il relativo aumento del prelievo venatorio sono additati come concause del declino della pernice rossa e della frammentazione delle sue popolazioni. In talune realtà, l’eccessiva pressione venatoria sulla pernice rossa si è verificata come conseguenza del grave declino subito da altre specie di piccola selvaggina, come ad esempio il coniglio selvatico a causa delle malattie.
Per contrastare gli effetti derivanti da una caccia eccessiva si è fatto ricorso a immissioni di soggetti allevati in cattività. Per giunta, talvolta i rilasci sono avvenuti anche in zone al di fuori dell’areale storico della specie, determinando alcune alterazioni della sua originaria distribuzione. Pertanto, mentre le popolazioni selvatiche di pernici rosse hanno subito un marcato declino, il rilascio di pernici rosse allevate è aumentato e si è diffuso a partire dagli anni Novanta.
Le immissioni
Il numero di pernici rosse rilasciate in media ogni anno è direttamente collegato al numero di allevamenti di selvaggina. In Spagna, nel 2016, il ministero competente contava un rilascio annuale di oltre 1 milione e 800 mila pernici rosse, salite, a partire dal 2000, a quattro, cinque milioni. Questa cifra è tuttavia inferiore al numero di pernici rosse immesse in media ogni anno nel Regno Unito: circa dieci milioni, ma superiore a quello della Francia (due milioni) e a quello dell’Italia (circa 450 mila).
Un dato interessante da tenere presente è lo sbilanciato rapporto tra soggetti immessi e animali prelevati, che si verifica nelle pernici rosse allevate in cattività, come del resto in tutta la piccola selvaggina allevata, a causa dell’alta mortalità che si verifica durante i primi giorni dopo il rilascio.
Rischi per la salute della specie
Il ripopolamento è inoltre considerato una pratica che comporta un potenziale rischio per la salute delle popolazioni selvatiche, a causa della trasmissione di malattie e all’introduzione di parassiti nell’ambiente. Senza contare, nello specifico caso della pernice rossa, i problemi connessi con l’ibridazione con le pernici orientali, le chukar.
Diversi autori hanno dimostrato che il rilascio di pernici rosse allevate in cattività a fini di ripopolamento, senza un preventivo accertamento della loro qualità genetica, ha avuto un pesante impatto sulle pernici rosse selvatiche. Ha anche portato all’esistenza di popolazioni ibride.
Inoltre, tra i fenomeni negativi connessi con il rilascio di numeri rilevanti di pernici rosse allevate si segnala l’effetto richiamo, cioè l’attrazione dei predatori, capace di procurare un aumento della predazione anche sulle restanti popolazioni selvatiche.
Infine, occorre tenere presente come la caccia alla pernice rossa rappresenti comunque un’importante attività economica in molte aree dell’Europa occidentale. In Spagna, ad esempio, è la specie di piccola selvaggina più emblematica e la sua caccia riveste importanti aspetti socioeconomici, soprattutto in quelle aree rurali dove gli altri usi agrari sono invece ormai divenuti marginali.
Sia direttamente sia indirettamente, la caccia alla pernice rossa genera infatti un importante flusso economico che coinvolge attività di ospitalità, servizi e tutte le industrie collegate.
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