Perché è naufragata la strategia della Lega, che voleva riformare la legge sulla caccia con una serie di emendamenti al decreto agricoltura?
La risposta formale è facile: gli emendamenti della Lega sulla caccia non avevano attinenza col tema del decreto agricoltura; e dunque, considerato che a un certo punto si sarebbe giunti a una blindatura del testo e si sarebbero ridotti al minimo gli interventi dei gruppi parlamentari, il governo ha ritenuto non opportuno servirsi di questo strumento per modificare la legge 157/92.
Dal punto di vista squisitamente tecnico la risposta è perfetta; ma è impossibile considerarla sufficiente dopo il caos che ha investito il governo Meloni e le forze di maggioranza.
Convince molto di più la spiegazione politica che a mezza voce alcuni sussurrano, e che peraltro non ha bisogno di grandi analisti per essere formulata. È infatti evidente che dopo l’8,98% ottenuto alle elezioni europee la Lega è diventata il terzo partito di una coalizione di tre, e che non ha la forza per imporre la propria agenda; ma sarebbe stata proprio la Lega, che all’interno del mondo venatorio ha da subito insistito sulla primogenitura della proposta, l’unica beneficiaria del consenso eventuale dei cacciatori per la riforma.
Inevitabili le proteste
Al contrario, quando deve opporsi a un provvedimento che considera indigesto l’opinione pubblica fatica a distinguere tra maggioranza e governo; figuriamoci tra forze politiche alleate, che finiscono nella definizione omnicomprensiva di «destra».
E dunque da sinistra e soprattutto da una parte della società civile si sarebbero levate critiche contro il governo, di nuovo «schiacciato sulla lobby dei cacciatori», tanto più contestato nel momento in cui avrebbe posto, com’è avvenuto, la fiducia sul ddl di conversione del decreto agricoltura: avrebbe detto formalmente «per la mia azione complessiva questo provvedimento è così fondamentale che se il parlamento lo respinge mi dimetto»; ma di farsi coinvolgere nelle polemiche sulla caccia Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia non avevano né voglia né intenzione.
Più utile lasciare la discussione alle dinamiche parlamentari; resta però da capire chi e perché abbia suggerito a Bruzzone e alla Lega che la strategia di servirsi del decreto agricoltura potesse funzionare, salvo ripensarci a meno di due settimane dalla scadenza.
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