Perché i cinghiali sono in aumento

Gli studiosi si interrogano sulle ragioni del progressivo aumento dei cinghiali ovunque in Europa. Quali sono le cause di questo deciso incremento? Certamente l’uomo lo ha favorito in molti modi. Chi può nascondere la pratica, soprattutto nel passato, delle immissioni e dei ripopolamenti? Così come la consuetudine del foraggiamento artificiale, che tenta di migliorare le condizioni nutritive degli animali e quindi influisce sui pesi corporei e di conseguenza sulla riproduzione. Ma esistono anche modalità più indirette

Cinghiali
©Jausa

Si potrebbe dire che il cinghiale è l’animale dei paradossi. Per esempio: da una parte è un ungulato decisamente primitivo, o meglio una specie conservativa, cioè che ha mantenuto pressoché inalterati tratti tipici dei suoi antichi antenati di 35 milioni di anni fa (struttura tozza del corpo e della testa, dentatura completa, canini trasformati in zanne, stomaco non suddiviso in camere), e dall’altra è una specie di grande flessibilità e successo, in grado di adattarsi a molti ambienti su un vastissimo areale di distribuzione.

I segreti del successo

Senza alcun dubbio una delle ragioni del grande successo del cinghiale dal Nord Africa alla Scandinavia meridionale fino alla Siberia, all’Indocina e al Giappone risiede nella dieta onnivora, nel vasto OCUS spettro alimentare che comprende semi, frutti, radici, bulbi, erba, larve e adulti di invertebrati, nidiacei di uccelli, carcasse di animali. Una seconda ragione sta nell’elevatissimo potenziale riproduttivo. Partorire in media 4-7 piccoli per figliata e talvolta produrre due figliate all’anno invece di una mette le femmine di questa specie in una posizione del tutto speciale fra gli ungulati. Si aggiunga che, in condizioni particolari, femmine in età ancora infantile possono ovulare e partecipare alla riproduzione. Questo tipo di fertilità femminile si traduce in tassi medi d’incremento annuo della popolazione pari al 90-180%, contro il 30- 40% nel capriolo e il 20-30% nel cervo. Un simile potenziale riproduttivo permette alla specie di superare con facilità e rapidità eventuali situazioni difficili, come un inverno particolarmente rigido o un’estate torrida e siccitosa.

Il cinghiale, grazie alla propria capacità di rispondere alle perturbazioni esterne, si è adattato a vivere non solo nei boschi di caducifoglie, ma anche nelle foreste di conifere, nella macchia mediterranea, nelle aree paludose, nelle praterie alpine e persino nelle steppe. Il grande potenziale riproduttivo unito alla mobilità, cioè alla capacità di spostarsi a lungo raggio attraverso il fenomeno della dispersione, consente al cinghiale di espandere facilmente il proprio areale.

Cinghiale
© Grisha Bruev

Un fenomeno europeo

Dopo secoli di persecuzioni e di contrazione di areale, in Europa sono ormai diversi decenni che il cinghiale sta espandendosi e sta incrementando la propria consistenza numerica. Il fenomento è iniziato in molti Paesi europei tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Ottanta e continua ancor oggi. Recentemente, per ricolonizzazione spontanea da Paesi vicini, ha cominciato a espandersi in Svezia, Finlandia ed Estonia e, grazie a fughe da recinti d’allevamento, è ricomparso nel Regno Unito e in Danimarca. E se inizialmente l’espansione riguardava gli ambienti dotati di maggior grado di naturalità, oggi interessa anche la periferia di villaggi e città, come dimostrano i casi di Barcellona, Berlino, Budapest e Belgrado, e in Italia – per esempio – quelli di Genova, Firenze e Roma. Per il 2005 la consistenza numerica in tutta Europa fu stimata dell’ordine di 4 milioni di esemplari, con un carniere annuo totale di più di 1,7 milioni, divenuti almeno 2 milioni nel 2012. In mancanza di censimenti affidabili su ampie superfici, il fenomeno dell’aumento numerico del cinghiale si può ricostruire in modo piuttosto approssimativo attraverso l’analisi delle serie storiche degli abbattimenti. Uno studio abbastanza recente svolto congiuntamente da 17 studiosi di cinghiale di 17 Paesi europei ha preso in esame le statistiche venatorie delle diverse nazioni per documentare e interpretare il progressivo incremento dei carnieri. Colpiscono soprattutto i dati precisi e affidabili della Francia e della Germania, dove nel 1982 si prelevavano intorno a 100.000 cinghiali e oggi intorno a 500.000 – 650.000. In Polonia il carniere annuo è cresciuto da circa 80.000 nel 1982 a circa 210.000 nel 2012. Per l’Italia è difficile, se non pressoché impossibile, ricostruire l’andamento dei prelievi, data l’inadempienza di molte amministrazioni pubbliche nel tenere sotto monitoraggio le squadre di caccia collettiva e nel pretendere dati credibili. Solo 5 Regioni su 21 forniscono le statistiche venatorie corrette all’Ispra che cura la Banca Dati Nazionale Ungulati. Dall’interpretazione dei dati sui carnieri operata dal tecnico-faunistico Andrea Monaco si può ipotizzare che gli abbattimenti annui di cinghiale in Italia siano saliti da 50.000 del 1982 a 300.000 di oggi, valori da considerare semplicemente in termini di ordini di grandezza. Anche in Paesi come il Belgio e l’Austria, dove i numeri assoluti degli abbattimenti continuano a essere abbastanza contenuti, il carniere annuo di cinghiali tra il 1992 e il 2012 è comunque cresciuto rispettivamente di 4,4 e 3,8 volte.

Cinghiali
© Randy van Domselaar

Fluttuazioni annue

Gli studiosi hanno saputo far parlare i dati sugli abbattimenti molto più di quanto ci si potesse aspettare: calcolando il tasso di crescita degli abbattimenti complessivi da un anno all’altro, hanno permesso di scoprire che i contingenti prelevati annualmente non sono andati cescendo in modo regolare e continuo, ma che hanno continuato a fluttuare, come se in tutta Europa le popolazioni fossero sottoposte a variazioni simili, come se in tutto il continente esistessero uguali forze in grado di far aumentare o diminuire annualmente i carnieri. E ulteriori elaborazioni hanno permesso di identificare fluttuazioni più ampie dei prelievi, su cicli quinquennali. In realtà simili fluttuazioni annuali e quinquennali non ci devono sorprendere perché i cinghiali dipendono strettamente dai cicli d’abbondanza dei loro alimenti chiave, le ghiande e le faggiole, che incidono sui pesi corporei e di conseguenza sui tassi riproduttivi e su quelli di sopravvivenza: negli anni di maggior fruttificazione le femmine di cinghiale tenderanno a essere meglio nutrite, più pesanti, e quindi avranno una produttività maggiore e una mortalità propria e dei propri figli minore.

Andamento dei prelievi del cinghiale dal 1980 al 2010 in alcuni Paesi europei. Fonte: “Wild boar populations up, number
of hunters down? A review of trends and implications for Europe”, in Pest Management Science 71: 492-500

Le possibili cause

Quali sono le cause di questo deciso aumento dei cinghiali negli ultimi decenni in tutto il continente?

Certamente l’uomo lo ha favorito in molti modi. Chi può nascondere la pratica, soprattutto nel passato, delle immissioni, dei ripopolamenti? Così come la consuetudine del foraggiamento artificiale, che tenta di migliorare le condizioni nutritive degli animali e quindi influisce sui pesi corporei e di conseguenza sulla riproduzione.

Ma esistono anche modalità più indirette. Per esempio i cambiamenti dei paesaggi europei seguiti all’abbandono di aree ad agricoltura di sussistenza dovuti al trasferimento di buona parte della popolazione umana nelle città: col tempo molte di queste aree abbandonate dall’uomo si sono rinaturalizzate, aumentando fortemente la copertura forestale. E mentre in tutto il resto del mondo prevale il fenomento della deforestazione, in Europa l’estensione delle superfici a bosco è andata via via aumentando, con grande vantaggio per il cinghiale. Dal 1990 al 2015 la superficie boscata europea è cresciuta di 175.000 kmq, con un incremento annuo medio intorno a 7.000 kmq, cioè il doppio della superficie della provincia di Firenze. Anche i cambiamenti nel tipo di coltivazioni sembrano poter talvolta favorire questa specie; un recente studio nella Polonia sud-occidentale ha potuto documentare che i carnieri di cinghiale dal 1985 al 2005 sono più che quadruplicati, mentre le superfici agricole coltivate a mais sono cresciute 16 volte: il mais rappresenta un alimento decisamente gradito alla specie. Inoltre va ricordato che in molti Paesi europei i grandi predatori sono assenti o molto rari, così da non ostacolare in alcun modo l’ascesa del cinghiale.

Gli effetti del riscaldamento globale

Ma l’incremento di questa specie in Europa è legato anche a un’altra importante causa: il cosiddetto cambiamento climatico globale, il progressivo riscaldamento del pianeta. Questo innegabile fenomeno tipico degli ultimi decenni agisce in almeno due diversi modi. Il primo riguarda il ruolo dell’inverno nella dinamica di popolazione del cinghiale: le temperature rigide e le nevicate prolungate hanno sempre inciso sulla sopravvivenza dei piccoli e degli esemplari più deboli. Ma col riscaldamento terrestre in molti Paesi dell’Europa centrale e settentrionale le condizioni climatiche invernali sono diventate più miti, finendo per fallire nel compito di scremare le popolazioni colpendo gli individui più sensibili al freddo, cinghiali in fase di accrescimento e adulti sottopeso o malati. Il riscaldamento globale agisce anche in un altro modo e cioè influendo sulle disponibilità alimentari. Inverni più corti e meno rigidi significano stagioni vegetative più prolungate e, in Europa centrale e settentrionale, soprattutto maggiore produzione di frutti come ghiande e faggiole. Un recente studio in Francia ha potuto documentare come la produzione di ghiande di 28 popolazioni diverse di querce (roveri e farnie) seguite per 14 anni sia stata influenzata dalle temperature primaverili, con maggiore fruttificazione dopo primavere più calde e, dato che le temperature primaverili sono leggermente salite negli ultimi decenni, la produzione di ghiande a disposizione del cinghiale e di altri animali è cresciuta. Nella Svezia meridionale un altro studio ha dimostrato che l’aumento delle temperature favorisce l’accorciarsi dei cicli di abbondanza nel faggio e un incremento delle fruttificazioni. Se in Europa centrale e settentrionale (e probabilmente anche in Nord Italia e nell’Appennino settentrionale) il riscaldamento climatico tende a favorire una maggiore produzione di frutti, in Europa meridionale (Spagna e forse Italia centrale e meridionale) i ricercatori hanno verificato un effetto opposto, con maggiore aridità e minore produzione di ghiande almeno nel leccio.

Possibili soluzioni e difficoltà

Comunque sia, il cinghiale continua ad aumentare in tutto il continente. Ora, mentre per molte specie animali forti incrementi non hanno conseguenze sulle attività umane e sull’ambiente, la crescita del cinghiale pone problemi non indifferenti. È noto come questa specie, soprattutto con l’azione di grufolamento, ha un impatto pesante sull’agricoltura, ma incide anche sulla biodiversità degli ambienti naturali attraverso la predazione di nidiacei, è un serbatoio per malattie trasmissibili ad animali domestici e spesso è causa di incidenti stradali. Per fare un esempio dell’impatto che il cinghiale può avere sulle colture, in Francia gli indennizzi per danni sono cresciuti da 2,5 milioni di euro nel 1973 a 32,5 milioni di euro nel 2008. Di qui la necessità perlomeno di aumentare la pressione venatoria, col fine di ovviare alle minori perdite causate dal clima più mite e cercare di tenere le densità su livelli tollerabili dal punto di vista economico. Si tratta di una sfida sempre più difficile, anche perche il numero di cacciatori europei tende continuamente a calare. Il declino è ben visibile in paesi come Lussemburgo, Francia, Slovenia, Portogallo, Svezia, Italia e Spagna, mentre in Montenegro, Croazia e Cechia il numero è stabile; solo in Belgio, Polonia, Austria e Germania si nota qualche recente incremento. Quasi ovunque si assiste poi a un invecchiamento dei cacciatori: in Toscana, per esempio, nel 1998 i cacciatori di più di 60 anni rappresentavano il 34% del totale, mentre nel 2012 costituivano addirittura il 55%. Indubbiamente vanno ripensate le strategie di contenimento del cinghiale, come per esempio su piccola scala sta accadendo in Emilia-Romagna negli ultimi anni, diversificando e intensificando gli interventi in braccata, girata e caccia di selezione, con buoni risultati in termini di carniere.