Dopo l’attacco delle deputate Evi e Prestipino «alla lobby venatoria», sul declassamento dello stato di protezione del lupo il Partito democratico corregge la linea.
È evidente il tentativo di tamponare il danno provocato dalle deputate Eleonora Evi e Patrizia Prestipino, che in scia ad Angelo Bonelli hanno descritto il declassamento dello stato di protezione del lupo come «una decisione dettata solo dall’opportunismo politico di chi vuole a tutti i costi accontentare le richieste dei cacciatori […], fumo negli occhi per assecondare la lobby venatoria».
Al Partito democratico la seconda nota serve a ricucire col mondo della caccia: lo si capisce sia dal titolo (la si presenta come la posizione ufficiale) sia dal ruolo istituzionale dei due firmatari, capigruppo nelle commissioni Agricoltura e Ambiente della Camera.
Stefano Vaccari e Marco Simiani scrivono che il nuovo status del lupo non apre alla caccia, «come si vorrebbe far credere, [né] tantomeno [nasce da] un favore a una fantomatica lobby»; al contrario, diventa possibile «la gestione, [ossia] la possibilità d’interventi mirati che garantiscano equilibrio faunistico anche a tutela della stessa [specie]».
Più che i 3.300 lupi, notano Vaccari e Simiani, in Italia però è il mezzo milione di cani randagi a creare un problema: la loro presenza aumenta il numero degli ibridi, «che arrecano un danno notevole alla biodiversità». Su questa problematica «occorre intervenire con assoluta celerità, riponendo le bandiere ideologiche che non servono a nessuno». Il Pd chiede che la conferenza dei capigruppo calendarizzi al più presto la discussione della sua proposta di legge sull’argomento.
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