L’ufficio legale della Libera Caccia delle Marche spiega perché ritiene un errore non applicare il nuovo emendamento al calendario venatorio regionale modificato dalla sentenza del Tar.
Per la Libera Caccia le conclusioni della giunta regionale delle Marche sono «macroscopicamente erronee»: gli avvocati Daniele Carmenati e Giovanni Fattorini, che firmano la lunga nota, sostengono infatti che il merito d’una sentenza si definisca solo quando nessuno può più impugnarla, e dunque che si possa applicare l’emendamento che in caso di sospensione riporta in vigore il vecchio calendario venatorio: sulla questione, scrivono, deve ancora pronunciarsi quantomeno il Consiglio di Stato («sempre che non s’interponga gravame di legittimità; altrimenti dovrà addirittura attendersi la decisione finale della Corte di Cassazione»)
Perché si possa applicare la normativa di salvaguardia, dicono gli avvocati della Libera Caccia, è sufficiente «la presenza d’un decreto cautelare di primo grado, in accoglimento delle istanze ambientaliste (peraltro le medesime ormai da molti anni, improntate alla pura ideologia e spesso contrarie a ogni logica e anche a consolidate decisioni dei Tar)»; e dunque, fino alla decisione definitiva sulla chiusura della caccia a beccaccia, tordo e acquatici, la giunta regionale avrebbe dovuto considerare «valido ed efficace tout court il calendario venatorio 2023/2024».
All’ufficio legislativo delle Marche dunque la Libera Caccia suggerisce di rivedere la posizione assunta alla fine di dicembre, «muovendo dall’incontestabile considerazione secondo cui una sentenza impugnata non è mai definitiva».
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