La caccia è la protagonista di «Per posta», la rubrica del Venerdì di Repubblica in cui Michele Serra risponde alle lettere.
C’era già stata un paio di settimane fa, come pratica frequentata sia «da sparacchiatori incivili» sia da persone «di cultura naturalista e sensibilità ambientale»: sul Venerdì di Repubblica in edicola da oggi la caccia torna protagonista di «Per posta», la rubrica in cui Michele Serra (aveva scritto di avere «rapporti costanti e amichevoli con i responsabili [della braccata] dalle sue parti», ma anche che in Italia ci vorrebbero leggi «più restrittive» di quelle «permissive» come l’articolo 842 del codice civile, che consente ai cacciatori d’accedere ai fondi privati: «con questo governo, molto amico degli schioppi, le speranze sono zero») risponde alle lettere.
Stavolta ne mette a confronto due, ispirate da sensibilità contrapposte, e che insieme alla sua risposta occupano per intero lo spazio a disposizione. Preso atto che «la pressione della lobby delle armi e la debolezza o la connivenza della politica non aiutano a regolamentare la caccia in modo più drastico, e più compatibile con la presenza umana e l’equilibrio della natura», Serra ribadisce che «il cacciatore che conosce nel profondo i ritmi della natura (non, dunque, lo sparacchiatore che si considera a torto uno sportivo)» è una presenza «importante e sapiente», un «naturalista a pieno titolo», esponente di «una tipica minoranza virtuosa».
È qui infatti che per Serra s’innesta la vera questione, non la contrapposizione tra cacciatori e anticaccia quanto «la complessiva, drammatica perdita di rapporto [tra] gli esseri umani e la natura», che se nessuno vive e frequenta non potrà mai sviluppare alcuna cultura «se non a livello di ristrette élite».
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