La caccia da appostamento agli acquatici

Il gioco, i richiami vivi, le botti, il buio e l’alba, gli odori e i suoni, l’acqua e il cielo, i comportamenti dei selvatici: tutto questo concorre a rendere la caccia agli acquatici da appostamento un esercizio venatorio tra i più amati e praticati nel mondo ma, contemporaneamente, uno dei più complessi e impegnativi che esistano

Caccia agli acquatici
La botte (così definita perchè ricorda per forma una botte da vino) è fissata al fondale con appositi supporti e, spesso, deve essere raggiunta con un’imbarcazione

Le umide ombre del primo mattino d’autunno vanno diradandosi e la luce fioca dell’alba comincia a trapelare attraverso la lieve foschia che galleggia a pelo d’acqua, mentre il sommesso chiacchiericcio tra le anatre da richiamo a tratti ammutolisce, come nell’attesa di un evento sovrannaturale. Le voci degli animali notturni cedono progressivamente il passo a quelle dei diurni, anche se qualcuno si attarda nel quotidiano arrivederci. I cacciatori seduti, appostati da orario antelucano, guardano all’intorno appena oltre il bordo delle botti e soprattutto ascoltano con ansia, sperando nei canti di selvatici o nello stridente sibilo delle ali nella semioscurità che tarda a svelare il mondo circostante. Poi, all’improvviso, le femmine di germano nel gioco cantano fragorosamente, un coro quasi all’unisono per ammaliare le cugine di passaggio nell’aria stagnante, che odora di canne e di acqua dolce. Pochi istanti e da oriente, contro il chiarore più intenso, si stagliano le eleganti sagome di un volo di alzavole che, sensibili al richiamo delle congeneri, piegano vistosamente verso il gioco compiendo una sorta di picchiata sincrona dell’intero gruppo. Una, due, tre volte le anatrelle, come si divertissero, sfiorano la superficie con la punta delle remiganti, si allontanano e fanno ritorno, in un turbinio di piume e di colli frementi. I due amici, da tanti anni compagni di caccia, stanno pregando come non mai affinché il passaggio successivo, se non la posa, avvenga a tiro di fucile. Però è anche tanto bello godere di simile spettacolo naturale, riservato a pochi, del quale i molti nemmeno sospettano l’esistenza, uno spettacolo che non stanca mai e che sempre si rinnova come fosse la prima volta. Le alzavole roteano, picchiano, si impennano, sembrano colpite da scariche elettriche nelle loro magistrali evoluzioni, finché quelle in testa si decidono e tutte le altre le seguono calando verso il loro destino. L’intesa tra i due amici è perfetta e, nel medesimo istante, senza profferire parola, si levano in piedi di scatto, esplodendo i colpi ciascuno dalla propria parte. Se vadano a segno oppure no, qui non è dato sapere, né si potrà svelare quanti pazzetti (così vengono chiamate le alzavole in Romagna) proseguiranno nell’impegnativo volo migratorio verso sud, per sfuggire all’inverno e alle sue privazioni.

appostamento fisso

Una caccia impegnativa

In questo breve affresco, sono dipinti tutti i principali elementi della caccia agli acquatici da appostamento fisso. Il gioco, i richiami vivi, le botti, il buio e l’alba, gli odori e i suoni, l’acqua e il cielo, i comportamenti dei selvatici: tutto concorre a rendere questa forma di esercizio venatorio una delle più amate e praticate nel mondo ma, contemporaneamente, una delle più complesse, impegnative, dure e di sacrificio che esistano. Sempre che, beninteso, la si pratichi da protagonisti e non da comprimari, quali sono ad esempio coloro che cacciano in tutto assistiti e serviti dagli accompagnatori paria di turno. Ciò sia detto senza alcun intento offensivo, anche perché ogni tanto a chiunque piace essere servito a puntino, riducendo gli sforzi al minimo indispensabile.

E di sforzi, questa caccia, ne richiede tanti. Si comincia con l’inevitabile trafila, prevista dalle normative vigenti, per ottenere l’autorizzazione all’impianto dell’appostamento fisso da parte degli enti competenti (prima le Province, oggi, dopo la riforma avviata dalla legge Del Rio, le Regioni tramite i loro uffici o sedi territoriali), rilasciata dietro presentazione di una precisa documentazione. Carteggio da mettersi insieme dopo la scelta del sito e il consenso all’impianto del capanno da parte del proprietario o conduttore del fondo o, ancora, del demanio, come sui vasti specchi d’acqua del nord.

In Italia, i tipi di appostamenti fissi per la caccia alle anatre, pur nel proliferare delle varianti legate ai costumi locali, sono sostanzialmente i seguenti: botti o tine in valle e in laguna; tese su terreni artificialmente inondati, di solito in risaia; capanni, anche galleggianti, lungo i fiumi e sui laghi. Tali differenti tipologie sono nate e si sono perfezionate in relazione alle caratteristiche ambientali dei diversi luoghi. Ad esempio, il primo tipo di capanno è quello più idoneo per i grandi e aperti specchi d’acqua – come le valli venete e romagnole o, una volta, le saline – ove occorre dissimulare al massimo il nascondiglio per il cacciatore che si troverebbe totalmente allo scoperto senza ripari di vegetazione, barene o simili. In questo caso, la botte (così definita perché, fatta in legno o cemento o vetro resina, ricorda per forma una botte da vino) è fissata al fondale con appositi supporti e, spesso, deve essere raggiunta con un’imbarcazione. Il capanno o tesa su terreni agricoli, inondati dopo l’effettuazione del raccolto (di solito si tratta di risaie), è caratteristico della Pianura padana e sfrutta la presenza più o meno abituale delle anatre legata alle coltivazioni di riso, fonti di alimentazione molto importanti. I capanni sulle sponde di fi umi e laghi, o addirittura al largo, possono essere presenti ovunque esistano tali habitat di zone umide: peculiare è la tipologia di appostamento galleggiante, per assecondare la fluttuazione delle acque, accorgimento indispensabile soprattutto sui fiumi principali che presentano le maggiori variazioni di livello stagionali, ma utilizzato anche sui laghi prealpini e limitrofi, che pure risentono dell’andamento pluviometrico.

capanno
Capanno galleggiante sul Lago Maggiore

La preparazione degli appostamenti

Qualunque sia la forma e l’allestimento dell’appostamento, devono esservi profuse energie, tempo e, ovviamente, denaro. La struttura deve essere dissimulata con la massima attenzione, per non allarmare selvatici abituati agli spazi aperti, al massimo punteggiati dalla vegetazione palustre (tife, cannucce di palude, salici eccetera). Inoltre, si deve svolgere una regolare manutenzione del sito, con gli opportuni tagli e sfalci parziali della vegetazione palustre nonché, dove sia possibile, regolando il livello dell’acqua affinché, come più volte abbiamo evidenziato, sia il più idoneo alla sosta e alla pastura delle specie d’interesse del cacciatore. Nelle lagune collegate al mare, conta anche il livello di salinità. I diversi anatidi hanno esigenze mutevoli: acque di profondità medio-bassa o anche bassissima, oppure acque profonde; specchi d’acqua piccoli e magari “chiusi” da vegetazione rivierasca, oppure spazi ampi e sgombri da vegetazione. Ecco poi l’altro fattore vitale, ossia il gioco di stampi: essi devono essere sempre in ottime condizioni e posti con il becco controvento, oltreché opportunamente miscelati tra loro a seconda delle specie rappresentate. Di solito, vengono allestiti gruppi monospecifici, lasciando spazi liberi tra l’uno e l’altro, che possano essere sfruttati dai selvatici per la posa, consentendoci di sparare senza mettere a repentaglio l’integrità degli stampi stessi. Questo gioco, che può essere costituito da un numero variabile da qualche decina a qualche centinaio di stampi, viene opportunamente arricchito e reso più convincente con l’aggiunta di richiami vivi. Essi sono per lo più anatre germanate, ibridi facilmente reperibili sul mercato che presentano tutte le caratteristiche morfologiche e comportamentali del germano reale. In realtà, si possono utilizzare anatre da richiamo di tutte le specie cacciabili, a patto che siano di provenienza esclusivamente di allevamento in cattività, come la legge dispone. Comunque, prima di procurarsi e detenere richiami vivi consentiti, è consigliabile informarsi attentamente sulle norme di dettaglio vigenti nella regione di esercizio, in quanto spesso esistono prescrizioni aggiuntive rispetto al dettato della legge statale che, ovviamente, si limita a fornire un quadro normativo generale. Purtroppo, da alcune stagioni assistiamo a notevoli difficoltà d’utilizzo dei vivi, se non totale divieto, causa le vicende sanitarie legate all’influenza aviaria: non il famigerato virus H5N1 che dal 2005 sembrava dovesse fare strage anche di umani a livello mondiale, ma altre varianti che, seppur non pericolose per noi, provocano danni gravissimi negli allevamenti avicoli e costringono le autorità sanitarie a porre forti restrizioni per impedirne la propagazione attraverso il contatto fra uccelli selvatici e allevati/semi domestici.

alzavole

Sparare a fermo o a volo

Lasciamo alla fine la vexata quaestio: dall’appostamento si spara a fermo o a volo? È un po’ quanto avviene anche nella caccia da capanno ai colombacci. Dove c’è tradizione di tiro a fermo, l’interrogativo non si pone. Altrove si pone, ma la risposta è lasciata alla predilezione del cacciatore. Supponendo che le anatre si posino a portata di schioppo – perché a volte si mettono troppo distanti, altre volte non si posano neanche, obbligando i cacciatori a sparare comunque al volo – o dimostrino chiaramente di volersi mettere in acqua, si spara il primo colpo a fermo (facendo la conta se nel capanno ci sono più cacciatori) e i successivi a volo. Altrimenti, c’è chi sceglie esclusivamente il tiro ad anatidi non ancora posati, dovendo in questo caso attendere che siano abbastanza vicini per tentare di abbatterne più di uno. Altra ancora è la situazione in cui gli uccelli sono diffidenti, mostrano interesse parziale o scarso per il gioco, compiono giri e rigiri sempre a distanza di sicurezza o quasi. Situazioni frequenti nel periodo invernale, che devono essere di volta in volta valutate, per adottare la decisione ritenuta più opportuna soprattutto in base alle proprie esperienze venatorie: si attende troppo e l’occasione sfuma, oppure si tenta facendo solo inutile rumore (grazie anche ai moderni “supermagnum” con camera da 89 mm, fabbrica di illusioni più che fucina di gloria). Come in qualunque attività umana, anche e ancor più nell’attività venatoria, pure quando sono in azione gli specialisti, il sottile confine tra successo e delusione, gioia e tristezza si regge sul vissuto individuale. Ciò che conta è la consapevolezza di aver fatto tutto nel migliore dei modi possibili, confidando nella mano disinteressata che, la volta successiva, la Dea bendata vorrà concederci!  

Appostamenti fissi: attenzione alla normativa

La forma di caccia da appostamento fisso è una delle tre possibili scelte (od opzioni) di caccia in via esclusiva, secondo quanto definito dalla legge 157 del 1992, art. 12, comma 5. Le altre due sono la caccia vagante in Zona Alpi e l’insieme di tutte le altre forme di caccia esercitate sul territorio a caccia programmata non compreso in Zona Alpi. Sono dette in via esclusiva, poiché la scelta di una delle tre forme esclude la possibilità di esercitare le altre due (fatta eccezione per la caccia negli istituti privati, dove la scelta in via esclusiva non ha valore). Le norme sugli appostamenti fissi e l’uso dei richiami vivi sono declinate all’art. 5 della legge statale, che fornisce un inquadramento generale della fattispecie, demandando alle Regioni l’emanazione delle norme specifiche inerenti: allevamento, vendita, detenzione e uso dei richiami vivi; costituzione e gestione del patrimonio dei richiami vivi provenienti da catture in natura; autorizzazioni degli appostamenti fissi, che comunque non possono essere rilasciate in numero superiore a quello che fu rilasciato dalle singole Province nella stagione venatoria 1989/90. L’art. 5 fornisce inoltre una serie di altre indicazioni generali, ad esempio disponendo che l’accesso agli appostamenti fissi con armi proprie e richiami vivi, sia consentito unicamente a chi abbia optato per tale forma di caccia, oppure che, oltre al titolare, possano accedere al capanno le persone dal medesimo autorizzate. Si tratta perciò di previsioni di massima, che impongono di informarsi sulle disposizioni della regione nella quale si intende praticare questa forma di caccia, poiché vi si troveranno tutte le norme di dettaglio cui attenersi scrupolosamente per non correre il rischio di incappare in sanzioni pecuniarie, se non addirittura di commettere illeciti penalmente sanzionabili.  

La caccia da natante

L’entrata in vigore, nel febbraio 1992, della legge n. 157, ha decretato il tramonto di tutte le forme di caccia agli acquatici che venivano in precedenza esercitate da natanti, ossia da imbarcazioni. Il divieto di questa forma di caccia è, infatti, sancito dall’art. 21, comma 1, lett. i), ove è accomunato al divieto di cacciare sparando da veicoli a motore e da aeromobili. Alcune leggi regionali, nel recepire la legge statale, cercarono inizialmente di far salvo da questo divieto almeno il recupero col fucile dei selvatici feriti che, in particolare sui grandi specchi d’acqua, è molto difficoltoso (se non impossibile) senza l’impiego di un’arma da fuoco. Si aprirono così una serie di contenziosi giuridici, tutti prima o dopo terminati col prevalere del divieto, non solo di caccia ma anche di recupero, degli uccelli avvalendosi di un fucile carico e pronto all’uso portato su di un’imbarcazione in movimento. Questa rigidità della norma ha, di fatto, inferto un colpo mortale a tutte le cacce da barchino, in laguna o in valle, sui grandi laghi prealpini o sui corsi dei fi umi principali. Niente più lento e silenzioso fluire di barchini spinti da pertiche, palette o remi, se non per andare a recuperare i selvatici abbattuti, ma sempre senza recare con sé lo schioppo. Generazioni di cacciatori abituati ad andare in cerca degli acquatici lungo canneti e tamerici, oppure ad accostare i branchi posati scivolando silenziosamente sul pelo dell’acqua sino a giungere a tiro, hanno dovuto adattarsi, pena la rinunzia totale alla caccia, al capanno fisso. Bello e impegnativo, ma pur sempre un ripiego. Chissà che un futuro adeguamento della legge nazionale, oggi per molti aspetti veramente desueta e sganciata dalla realtà faunistica e ambientale del Paese, non transiti anche attraverso un recupero della caccia da natante alle anatre, tanto difficile quanto appassionante, da “rudi uomini” di valle e di lago.