Dalle card sulla campagna di tesseramento si desumono rapidamente i cardini del programma dell’Arcicaccia.
Se si fa la tara agli aspetti (legittimamente) autopromozionali, dalle card (un tempo si sarebbe detto volantini) con cui è stata lanciata la campagna di tesseramento si ricavano facilmente i punti chiave del programma dell’Arcicaccia.
In testa non può che esserci la caccia sociale, opposta sia alla caccia privatistica «pericolosa almeno quanto l’animalismo più feroce» sia alla professionalizzazione dei cacciatori, che invece devono restare «cittadini impegnati e preparati che mettono tempo e passione a disposizione della collettività».
Il modo per difenderla non può che essere un vero soggetto federativo tra le associazioni; servono «statuto, regole e sistemi di decisione democratici» perché «possa realmente rappresentare le istanze di tutto il mondo venatorio».
Rispetto al lancio della selvaggina prontacaccia, l’Arcicaccia ritiene necessario privilegiare gli investimenti ambientali in collaborazione con gli agricoltori. È una strategia attuabile soltanto se si riesce a rilanciare l’azione di Atc e Comprensori alpini; a loro spetta principalmente occuparsi «della gestione delle campagne e della produzione di selvaggina di qualità». Nella medesima direzione va il rilancio della vigilanza venatoria, che educhi i cacciatori e contrasti sia il bracconaggio sia il degrado ambientale.
Sui calendari venatori la posizione non sorprende: per l’Arcicaccia devono essere concertati tra istituzioni, mondo scientifico, cacciatori, agricoltori e ambientalisti, non decisi dai tribunali.
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