Ciò che ruota intorno al foraggiamento attrattivo per il contenimento delle specie problematiche è pressoché sconosciuto nel panorama venatorio italiano. La conoscenza non approfondita della materia rende controverso il dibattito, spesso basato sul semplice pregiudizio
Il proliferare di alcune specie animali sta portando verso un conflitto d’interessi sempre più evidente. Più di ogni altro, il cinghiale ha saputo sfruttare le modifiche che l’uomo impone al territorio. Il suo opportunismo, le abitudini notturne e la grandissima adattabilità hanno portato la specie a una crescita incontrollata in Europa.
Nelle pieghe della legge
Nonostante che sia ovunque cacciato intensamente, il cinghiale trova il modo di tenere botta, forte di una capacità di accrescimento che in condizioni ottimali sfiora il 200%. Le tradizionali forme di caccia come la braccata, praticabili in sicurezza e con una certa efficacia solo durante i mesi invernali, non sono più sufficienti ad arginarne l’espansione.
La caccia di selezione dà una mano notevole al contenimento delle popolazioni. Ogni nuova stagione i limiti che la legge impone a questa forma di caccia sono costantemente ampliati. A volte sconfinando in una sorta di controllo faunistico che però secondo alcune interpretazioni della legge quadro è interdetto ai cacciatori. E comunque il controllo è una cosa e la selezione un’altra: pertanto i tentativi di rendere simili queste due attività non fanno altro che generare confusione.
Il contenimento del cinghiale
Il foraggiamento del cinghiale è proibito: la specie è l’unica recentemente oggetto di un provvedimento di legge (221/15). Credo che l’intento del legislatore fosse quello di sconsigliare al cittadino comune di foraggiare una specie ormai arrivata ben oltre le porte delle nostre grandi metropoli; pochissimi mesi dopo l’introduzione del decreto, l’Ispra si è sentita in dovere di emettere una nota esplicativa (protocollo 11687 del 2016). Nella nota caldeggia la pratica del foraggiamento attrattivo del cinghiale, almeno durante la caccia di selezione; questa particolare forma di caccia è infatti considerata dall’Ispra come una estensione dell’attività di controllo. Sulla scia di questa nota, alcune Regioni hanno emesso decreti che consentono il foraggiamento attrattivo.
Alcune Regioni hanno addirittura creato la figura dell’operatore faunistico adibito al controllo. La legge nazionale non prevede però attualmente questa figura e delega l’abbattimento di specie invasive alle guardie venatorie oppure ai cacciatori abilitati e ai proprietari del fondo su cui avvengono i danni. Questi provvedimenti sono piuttosto controversi; la recente sentenza 21/2021 della Corte costituzionale ha stabilito che, se le leggi regionali lo consentono, alle operazioni di controllo faunistico possono prendere parte anche cacciatori abilitati purché espressamente formati, guardie venatorie e ambientali volontarie, guardie giurate.
Basterebbe poco per capire come il foraggiamento attrattivo sia la soluzione definitiva per rendere i numeri della caccia di selezione paragonabili a quelli della caccia collettiva. Sebbene la prima venga praticata da un solo cacciatore anche se in finestre temporali decisamente più ampie.
Il foraggiamento attrattivo e l’Ispra
La letteratura tecnica distingue il foraggiamento attrattivo da quelli di sostentamento (vietato dalla legge) e dissuasivo. Il primo è teso ad attirare i cinghiali con la somministrazione giornaliera di cibo in località precisamente individuate nelle vicinanze di appostamenti predisposti per il loro abbattimento nell’ambito di piani di prelievo venatorio in forma selettiva o in esecuzione di piani di controllo. Se non praticato secondo un protocollo adeguato, anche il foraggiamento attrattivo può influenzare in maniera significativa la densità e la dinamica delle popolazioni di cinghiale.
Per questo Ispra – in risposta a un quesito posto da Eps – ha proposto un protocollo operativo. Così da definire quella che si può considerare un’offerta trofica attrattiva volta a migliorare l’efficienza del prelievo venatorio; senza interferire in maniera sensibile sulla disponibilità alimentare complessiva e quindi sulla dinamica delle popolazioni di cinghiale. Il protocollo – per esempio approvato dalla Regione Emilia Romagna con la delibera 1204 del 2017 – prevede:
– non più di un punto di alimentazione ogni 50 ettari di superficie dell’unità territoriale di gestione;
– utilizzo esclusivo di mais in granella o in pannocchie;
– un chilogrammo di granella di mais somministrabile giornalmente in ciascun punto di somministrazione;
– sospensione del foraggiamento al termine del periodo del prelievo consentito e nel momento in cui si raggiunge il piano autorizzato.
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