In occasione della giornata mondiale delle foreste la Federcaccia ricorda che è necessaria pari attenzione per ambienti agricoli, aree aperte, zone umide.
In Italia le foreste, delle quali il 21 marzo si celebra la giornata mondiale, stanno bene (in meno d’un secolo, dal 1936 al 2017, la superficie boscata nazionale è quasi raddoppiata: è passata da 6,1 a 11,9 milioni di ettari; e il 31,8%, percentuale «ben superiore ai livelli minimi richiesti dal Green deal europeo», fa parte delle aree protette); senza abbassare l’interesse nei loro confronti, sottolinea la Federcaccia, ora però c’è bisogno di sviluppare una «visione olistica del patrimonio di ambienti naturali», così che congiuntamente si possano valorizzare anche gli ambienti agricoli, le aree aperte, le zone umide.
Bisogna infatti tener presente, si legge nella nota della Federcaccia, che il recupero della foresta spesso è connesso all’abbandono dell’uomo, e dunque alla perdita di altri ambienti naturali; il caso più noto e più frequente riguarda le zone agrarie di molte aree interne di collina e di montagna: «in particolare i prati e i pascoli, nonostante l’alto valore naturalistico e di biodiversità, non hanno [beneficiato] dello stesso livello di protezione e tutela [di quello riservato ai] boschi».
Solo nelle aree urbane e periurbane, «come del presto prevede anche la Nature restoration law», nelle aree di pianura e «in quelle poche aree montane e collinari nelle quali effettivamente è ancora basso il livello di forestazione» bisogna puntare ad aumentare le superfici boscate; ciò non significa che non ci sia bisogno d’intervenire attivamente: «gestire i boschi vuol dire infatti anche far vivere le comunità nelle aree interne, e creare le economie necessarie a evitarne l’abbandono».
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