L’Arcicaccia interviene nella discussione sul controllo del colombaccio in Emilia Romagna.
Ridurre il numero degli abbattimenti (ci si può limitare a poche centinaia nel corso dell’anno, intervenendo «in maniera [localizzata] nelle aziende con colture di pregio»: gli spari insegnano «a non frequentare più quel campo»); e dove la loro presenza è forte concentrarsi esclusivamente sui piccioni, scelta dal forte effettuo dissuasivo: è duplice la richiesta che l’Arcicaccia rivolge alla Regione Emilia Romagna commentando il suo piano di controllo del colombaccio, quello di cui nelle ultime settimane s’è discusso molto (s’attende la risposta del governo all’interrogazione del leghista Francesco Bruzzone).
Puntando su «toni meno emozionali, e su un approccio un po’ più tecnico», l’Arcicaccia argomenta la propria posizione in modo dettagliato: i colombacci nidificanti sono in fortissimo aumento (in vent’anni in Emilia Romagna e in Toscana la popolazione è cresciuta di oltre il 500%); il riscaldamento climatico amplia il periodo di nidificazione, che talvolta addirittura oltrepassa la fine di settembre; il colombaccio danneggia l’agricoltura, in particolare coltivazioni di pregio (cavoli, fagioli, piselli, insalata, lattuga, radicchio); in Emilia Romagna dai tesserini venatori si desumono carnieri elevati, in particolare da quando le giunte regionali hanno reintrodotto la preapertura.
Occorre evitare, si chiude la nota, di dire («tra l’altro senza alcun dato [a disposizione]») che per abbassare il numero dei colombacci si deve cacciare di più: «visti i carnieri abbondanti, certificati dai tesserini venatori», si rischiano infatti conseguenze non volute.
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