Il comportamento del cinghiale e le sue abitudini sono messi in evidenza da uno studio polacco: il sistema di vigilanza, individuale e collettiva, varia a seconda di diversi fattori.
Quando si analizza il comportamento del cinghiale per capire come funzionino i suoi meccanismi di vigilanza, individuale e collettiva, bisogna partire da alcune domande più generali. Per quale motivo certe specie animali tendono a vivere in gruppo, a essere sociali? Che cosa spinge certe specie a rinunciare a una vita solitaria per formare un branco (o una mandria, uno stormo o un banco)? Se in parecchie specie gli individui fanno questa scelta aggregandosi ad altri consimili, vuol dire che ne ricavano chiari vantaggi.
Per un mammifero ungulato essere un animale sociale è soprattutto una risposta alla pressione dei predatori, cioè una strategia antipredatoria. Essere parte di un gruppo diminuisce infatti i rischi di cadere vittima dell’attacco di un predatore. Come? Per un ungulato, essere membro di un branco significa beneficiare della vigilanza operata dai compagni, sentirsi più sicuro perché a stare all’erta possono essere diversi membri del gruppo. L’emissione di un verso d’allarme o la postura d’allerta di un vicino preparano appunto a una rapida reazione di fuga di tutto il branco.
La socialità ha un peso sul comportamento del cinghiale e degli ungulati in genere
Quando il gruppo sociale non è ristretto a pochi animali ma è un po’ più grande, può rivelarsi un buon sistema antipredatorio grazie al cosiddetto effetto diluizione e all’effetto confusione. Nel primo caso la potenziale preda è mescolata a diversi altri esemplari del branco e quindi ha probabilità di essere individuata e attaccata inversamente proporzionale alla grandezza del gruppo. Più cioè si allarga il gruppo e più ogni singolo individuo si sente (quasi) sicuro di farla franca. Nel secondo caso il predatore, di fronte al parapiglia che si crea tra le potenziali prede di un branco all’avvicinarsi del pericolo, fa fatica a puntare su un determinato individuo e perde l’istante utile a colpire. Perché allora non tutte le specie di ungulati sono sociali? E perché i branchi non tendono a essere quasi mai davvero grandi?
Comportamento del cinghiale: ungulati solitari e ungulati sociali
In ambienti molto chiusi, come le boscaglie fitte, la strategia migliore è proprio quella opposta, cioè vivere da soli, essere meno vistosi e tracciabili, nascondersi, difendere un piccolo territorio e allontanare i propri conspecifici. Inoltre i branchi devono avere dimensioni abbastanza contenute. Al loro interno deve esserci coesione, assicurata in genere attraverso reti di parentela. Bisogna soprattutto evitare il rischio che, di fronte a risorse alimentari non abbondanti, si sviluppi una forte conflittualità tra i membri del gruppo per l’accesso a fonti limitate di cibo.
Nei gruppi sociali degli ungulati la sorveglianza, la guardia nei confronti dei predatori è estremamente importante e il comportamento di vigilanza ha spesso attratto l’interesse dei ricercatori. In alcune specie, come per esempio nel cervo, tutti gli esemplari mostrano di essere coinvolti in attività di attenzione. È però soprattutto la vecchia femmina matriarca che, grazie alla sua lunga esperienza, all’ottima conoscenza del territorio e dei suoi pericoli, dedica tempo prezioso alla vigilanza. Sta all’erta, fissa una potenziale fonte di pericolo, colpisce nervosamente il suolo con uno zoccolo, eventualmente emettendo un sonoro abbaio d’allarme e preparando il gruppo alla fuga. Il comportamento del cinghiale è diverso: non esiste alcuna delega alla sorveglianza, tutti gli esemplari le dedicano tempo, nessuno escluso.
La vigilanza del cinghiale
Questi tipi di comportamento del cinghiale erano stati studiati da ricercatori francesi in grandi aree recintate già all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Almeno all’inizio gli zoologi ritennero che i singoli esemplari controllassero le fonti potenziali di rischio in modo indipendente dagli altri membri del branco. Non perdevano cioè tempo a guardare il comportamento degli altri e a imitarlo, non finivano per coordinare i loro comportamenti di vigilanza. L’idea iniziale era quindi che la risposta dei cinghiali di un branco ai possibili pericoli non comportasse mai una sincronizzazione della vigilanza.
Più recentemente un gruppo di studiosi polacchi dell’Accademia delle Scienze ha svolto un’indagine su una popolazione di cinghiali in completa libertà nel complesso forestale di Białowieża. L’obiettivo? Controllare il comportamento del cinghiale e verificare se esista o meno una sincronizzazione delle attività antipredatorie. Se i cinghiali di un gruppo sono veramente coesi, ci si aspetta che si interessino del comportamento vigile dei vicini e tendano a imitarlo. Se vissuta non isolatamente ma collettivamente, la valutazione dei pericoli infatti migliora e la risposta a un eventuale attacco diventa più rapida.
Il metodo di studio: fototrappole e analisi
Per chi ha ancora un’idea romantica del lavoro dello zoologo, va detto che purtroppo i ricercatori si affidano sempre meno all’osservazione diretta. Passa un po’ in secondo piano il vero e proprio lavoro sul campo sotto ogni condizione atmosferica, l’ausilio del vecchio compagno binocolo. In questo studio gli scienziati hanno usato i filmati registrati da 22 fototrappole. Le videocamere automatiche sono state distribuite in tutta la vasta area analizzata.
Lo studio ha coinvolto sia la zona protetta (il Parco nazionale, una meravigliosa foresta primigenia planiziale in cui l’accesso turistico e in genere le attività umane sono molto ristrette) sia la zona forestale esterna aperta ai tagli selvicolturali e ai prelievi venatori. I cinghiali sono più vigili nei piccoli branchi o nei branchi più grandi? Sono più vigili nelle aree cacciabili (dove si sovrappongono il rischio di cadere vittime dei cacciatori e dei lupi) o nell’area protetta, dove il pericolo è rappresentato dal lupo? Sono più vigili quando il cibo è abbondante e quando il cibo è scarso? Di giorno o di notte?
L’analisi ha interessato 89 sequenze video e quasi 12.000 singoli fotogrammi di un secondo. Fin da prima dell’inizio del lavoro i ricercatori si attendevano certi tipi di risultati e non altri. Non sempre però i risultati finali hanno confermato le previsioni. Ma ora il comportamento del cinghiale e le sue abitudini di vigilanza hanno meno segreti.
Attese e risultati sulle abitudini di vigilanza del cinghiale
Erano cinque le idee da verificare. Innanzitutto che il tempo dedicato alla vigilanza dal singolo cinghiale diminuisse col crescere delle dimensioni del branco. Poi che una forma di vigilanza, individuale o collettiva, fosse più elevata nelle aree cacciabili rispetto a quelle protette. In terzo luogo, che la vigilanza diminuisse in inverno, quando il cibo è più scarso e gli animali sono più impegnati nella sua ricerca. Poi che la sincronizzazione della vigilanza fosse minore all’aumentare delle dimensioni del gruppo nelle aree cacciabili, cioè quelle con maggior rischio di mortalità visto che ai possibili attacchi del lupo si aggiunge la probabilità di cadere abbattuti dai cacciatori. Infine, che ci fosse una maggiore sincronizzazione della vigilanza all’aumentare della numerosità del gruppo durante l’inverno. Il motivo? La competizione alimentare all’interno dei branchi.
Il lupo non fa troppa paura
Alcuni dei risultati dell’indagine sono particolarmente interessanti e mettono in luce gli standard di comportamento del cinghiale. I singoli esemplari dedicano, per tutto l’anno e in ogni momento della giornata, poco tempo a comportamenti di vigilanza. È infatti pari ad appena un 10% delle loro attività. Questo significa tra l’altro che il cinghiale a Białowieża non percepisce né il lupo né la caccia da altana come gravi fonti di rischio. I cinghiali polacchi sono generalmente di grossa taglia, piuttosto gregari e quindi visti dal lupo come prede interessanti ma non comuni perché pericolose. È netta la differenza rispetto alle zone appenniniche, nelle quali il lupo spesso dimostra una forte predilezione per la specie cinghiale. È dunque vero che i cinghiali polacchi non sembrano particolarmente impauriti. Ma comunque il 19% di tutta la mortalità naturale, quindi una percentuale non indifferente, è rappresentata dalla predazione da lupo.
Vigilanza individuale e collettiva
Come previsto dagli studiosi, effettivamente il tempo dedicato dai singoli cinghiali alla vigilanza diminuisce al crescere della grandezza del branco, mentre aumenta la vigilanza collettiva. Gruppi più grandi garantiscono infatti più occhi per sorvegliare. Nei gruppi esiste spesso una vera e propria sincronizzazione dei comportamenti vigili. I diversi esemplari tendono cioè a imitare il comportamento degli altri. Si tratta di un adattamento utile a rispondere simultaneamente a tanti stimoli, compresa la comparsa d’improvvisi pericoli. A differenza di quanto atteso, il disturbo causato dal prelievo venatorio nell’area cacciabile non si risolve in un aumento della vigilanza tra i cinghiali. Semplicemente, cambiano i ritmi di attività e aumenta sensibilmente l’attività notturna. Va detto che qui la caccia al cinghiale è soprattutto individuale, a basso impatto. I prelievi interessano il 20-30% della popolazione e quindi non si osservano aumenti significativi dei tempi e dei modi di vigilanza.
Sul comportamento del cinghiale la fame pesa più della paura
Nelle aree cacciabili, dove al pericolo di predazione naturale si aggiunge il rischio di prelievo venatorio, si è osservata una maggiore sincronizzazione al diminuire delle dimensioni del branco. Ciò significa che in un’area a rischio relativamente alto di predazione, naturale e umana, un piccolo branco deve soprattutto aumentare il coinvolgimento dei suoi pochi membri nell’azione di vigilanza. Invece nei branchi relativamente più grandi i cinghiali si affidano di più agli effetti di diluizione e confusione, cioè al disorientamento prodotto nei lupi dalle dimensioni del branco. Infine nell’area protetta, dove l’unico rischio reale è rappresentato dal lupo, la sincronizzazione non varia a seconda della grandezza dei gruppi.
La vigilanza diminuisce decisamente nei lunghi e rigidi mesi invernali polacchi. Di fatto, i cinghiali percepiscono il rischio di morte per fame molto più concreto di quello per predazione. Il tempo che i singoli individui dedicano a stare all’erta diminuisce e, a differenza di quanto ipotizzato, al crescere delle dimensioni del branco non si osserva alcun aumento nella sincronizzazione delle attività di sorveglianza. Sembra quasi che l’interesse unico sia evitare di perdere opportunità di alimentazione.
Sarebbe molto interessante replicare questo tipo di analisi nel nostro Appennino. Da noi sicuramente i cinghiali percepiscono il lupo come un forte pericolo. Non solo: la caccia collettiva ha un impatto non indifferente e gli inverni sono più miti. Molto probabilmente si scoprirebbe che il comportamento del cinghiale, almeno in tema di vigilanza, ha un andamento diverso rispetto alla situazione polacca.