La ferma in bianco sulla passata, sulla sosta, sulla pastura è chiara indicazione di presenza di selvaggina. Ma quanto deve essere sostenuta? Dipende da un mare di eventualità.
I tempi sono cambiati, i cani da caccia di oggi sono superiori ai cani di ieri. Sento questa tiritera da ormai troppo tempo e mi sembra ingiusto che questo punto di vista, a mio avviso discutibile senza i doverosi distinguo, assurga a pensiero comune e dominante.
Penso che i cani attuali siano sicuramente più performanti dal punto di vista atletico rispetto a quelli di quarant’anni fa. Credo cioè che oggi abbiano telai migliori e conseguentemente corrano meglio, più a lungo e ritengo che la selezione sulla corsa, sulla velocità e sull’intimo piacere dei cani nell’estrinsecarle (pattern motorio) ce li abbiano consegnati più vigorosamente dotati.
Ma noi stiamo parlando di cani da caccia, segnatamente di quelli da ferma, e per giudicare quale sia il più bravo bisogna vedere qual è il soggetto che trova di più, non quello che arriva per primo in fondo al campo. Se ci accordiamo sul metodo di scelta e di giudizio, allora possiamo continuare il nostro ragionamento.
Caccia e prove: due mondi spesso lontani
La selezione esasperata che avviene nelle prove del cane velocissimo e con la cerca sempre più ampia, la penalizzazione costante e aprioristica delle ferme in bianco, il vincolo della prestazione atletica che prevale nella formulazione del giudizio finale hanno di fatto portato a selezionare cani che sappiano fermare, o che fermino prevalentemente, le emanazioni dirette degli animali, in buona sostanza quelle più intense, che si trovano sul percorso.
Le classiche a quaglie sono uno degli esempi più chiari, evidenti (e stucchevoli, concedetemelo) di come queste rappresentazioni siano culminate. Nella loro estrinsecazione ideale avviene questo che vado a descrivere.
Sul campo di prova
Il conduttore sgancia il cane che, se correttamente impostato dal dressaggio, comincia a correre dritto dritto fino a raggiungere la recinzione; quivi sterza rigorosamente in avanti e, correndo a più non posso, ripete il tutto in senso opposto, passando chi dieci, chi venti, chi quaranta o più metri davanti al laccio precedente, con percorso rettilineo, per andare a raggiungere la rete opposta che delimita il campo. E si ripete.
Il campo è stato precedentemente disseminato di quaglie in quantità tale che anche passeggiando potresti inciampare in qualcuna di queste derelitte. E man mano che la prova prosegue, altre giapponesi meticce vengono generosamente distribuite nel campo.
Ma i cani non incontrano. Uno, due, tre turni senza vedere una ferma, una sbandata, un accertamento, una risalita, anche di pochi metri per carità. Niente di tutto questo. Solo un gran correre. I percorsisti di livello inferiore (o superiore?), invece, non sviluppano neppure un percorso minimamente confacente, ma si sbranano il campo di prova in pochi passaggi e, giunti al termine dello stesso, si guardano intorno sbigottiti oppure continuano a correre costeggiando, avanti e indietro, la recinzione.
Il comportamento di un cane da caccia
Un cane da caccia prestato alle prove invece, ammesso che non disdegni il puzzo degli animali immessi trattandoli in maniera sfacciata oppure ignorandoli (succede), una volta impostato per questi maneggi darà presto segno, durante il percorso, della presenza di pennuti viventi sbandando sul vento durante l’esecuzione del laccio, filando brevemente e fermando o, talvolta, bloccando subitaneamente trovandosi troppo dappresso alla sorgente del “profumo”. La ferma di scatto a quaglie, vere o fasulle che siano, è ben prevista, pure a terra, anche se è un pointer; dipende dalla distanza dalla sorgente odorosa.
Succede però che il repertato non sia più lì perché involatosi nel turno precedente, perché ha pedinato più in là oppure perché è stato catturato da una cornacchia appostata ai margini del campo che aspettava di pasteggiare con gli “aperitivi” deposti sul biliardo verde fresco di sfalcio.
Giusto quindi che il cane sbandi dal percorso e fermi? Doveroso, lo deve fare. È sbagliato che non lo faccia. Quello che avviene successivamente alla ferma, invece, ci permette di operare i distinguo del caso riguardo la stessa.
Meglio una ferma in bianco che niente
Dopo un breve periodo di transizione (venti, trenta, sessanta secondi?), durante il quale il cane, ben fermo, può accertarsi della consistenza o dell’evanescenza dell’emanazione, lo stesso dovrà risolvere confermando il guato iniziando la guidata se il pennuto è pedinante (rarissimo), accostando col conduttore fino all’involo se in prossimità stretta oppure dovrà riprendere la cerca e passare oltre in assenza di ciccia.
La ferma in bianco in un campo disseminato di puzze (presenza di svariati uccelli immessi, cacche di cane, pesticciamenti di persone, odori di corvidi in appoggio) sono la logica conseguenza di un naso innestato e funzionante, attento e concentrato sul reperimento che, fatto ad alte velocità (alte, non demenziali anche perché fuori nota), implica una minore possibilità di discriminazione del refolo svolazzante.
Il cane bravo…
Il cane bravo, preparato per questi giochetti sa perfettamente che su quel terreno liscio liscio sono state seminate certe bestie tanto restie a volare. A lui però piacciono, le cerca con avidità anche perché chi l’ha preparato a questi cimenti non l’ha ubriacato con reiterati incontri e quindi corre annusando concentrato, con un portamento che non sarà mai, ripeto mai, sidereo perché le nipponiche stanno sotto il velo già scarso di erba e con la loro immobilità da “povere noi” tengono molto circoscritto il loro fetore. Con condizioni di vento e di temperatura confacenti il nostro è in grado di avventare e risalire brevemente l’emanazione fermando; altre volte le deve fermare più a ridosso, ma le trova e le ferma, eccome se le ferma.
Il bravo cane discerne solitamente il fumo dall’arrosto con disinvoltura senza farsi trascinare da accertamenti esageratamente sospettosi o da comportamenti ottusamente spavaldi tipici del sottodotato (per taluni è trialer…), ma proprio perché è bravo, talvolta non può esimersi dal fermare di schianto la spennata lasciata dalla poiana, il covaccio della sgabbiata frullata nel turno precedente o il puzzo lasciato da chi è andato a tastare mano mano il terreno alla ricerca del guinzaglio, del cane sdraiato, del fungo infrattato, del sorcio o di chissaché.
… risolve in fretta e riprende la cerca
Siccome è bravo e dotato, ferma, risolve in fretta e riprende la cerca senza tralasciare terreno, ripiegando dove non è passato e modulando l’andatura per poter trovare: non accelerando fregandosene di oltrepassare. Un cane da ferma vuole fermare, non correre: una ferma in più è sicuramente meno grave che una in meno.
L’invalsa abitudine di cassare la ferma in bianco (ferme improduttive) ha forse fatto dimenticare che nelle gare a quaglie non esiste il richiamo. Perché? Perché il cane che termina il turno senza fermare ha sicuramente trascurato tutto quello che era stato seminato nell’erba. Semplice.
Giusto per intenderci
Possibile che nessuno si scandalizzi che una coppia di cani esplori un terreno farcito di pennuti senza darne conto a nessuno? Però intendiamoci: il lazzarone che entra nel campo filando su ogni rotolo di brezza o che scatta in ferma a ogni laccio, dolce di naso e lezioso nell’incedere, va defenestrato con lo stesso entusiasmo con cui si allontanano i duri di naso.
I percorsisti attuali dimostrano una pressoché nulla capacità nel gestire odori tenui o evaporanti a causa dell’assenza del produttore: per loro sono sconosciuti o assenti, e fermano solo quando la puzza è fortissima. Non solo. Una volta fermi non si schiodano più da quella posizione e la valutazione della persistenza o della evanescenza dell’emanazione non li riguarda più: non è per infingardaggine, ma per pura e semplice incapacità discriminativa. Il mio maestro direbbe: non sanno fare i giochi.
Chi non lo fa è perché non lo sa fare
Qualcuno potrebbe obiettare, anzi, sono in tanti ad asserire che l’incapacità del cane ad accostare il volatile sia dovuta all’imposizione della correttezza al frullo. Puro delirio. Il cane non accosta e non guida perché non sa farlo: la possibilità di risalita aerea e non trescante delle emanazioni è appannaggio di pochi soggetti.
È anche giusto che io dica che ho visto cani imparare ad accostare a comando dopo essere stati allo scopo educati dal mio maestro il quale, lungi dal prendersi meriti, li tratta e li considera per quello che sono: degli inabili. L’accostata o la guidata imposte da mani fatate (o da scarponi ruvidi) sono trucchetti da circo che si smascherano con facilità sulla selvaggina selvaggia. Qualche problema in più può insorgere nel dirimere la questione su animali fasulli ma tanto, falso per falso, chissenefrega, no?
La ferma in bianco è chiara indicazione di presenza di selvaggina
Ma a caccia come ci si regola? Dipende dal cane che si ha. Quando il cane ferma, se parliamo di cani esperti, sappiamo come giostrarci. Con il fucile in mano tutto diventa più serio, non c’è in ballo la coppetta degli sfigati, quella che si rifila dopo la prova al non piazzato con la giustificazione del miglior stile e neppure la possibilità di giocarsela il giorno dopo se oggi non hai incontrato.
A caccia chi passa trova e prende prima di te, ti lascia giusto giusto le penne da raccogliere ed è sempre un magone trovare la spiumata dove tu non avevi trovato nulla. Se poi il fatto succede sotto i tuoi occhi, quello che sussurri a bassa voce è irripetibile. Succede, ma vorresti capitasse solo agli altri.
Quindi la prima dote del cane cacciatore è appunto cacciare. Con sapienza, con tenacia, con abnegazione, cercando il selvatico dove dovrebbe essere e anche dove non immaginavi che fosse, ma lui l’ha trovato. Per fare ciò il naso, di qualunque qualità esso sia, deve costantemente essere in azione. La ferma in bianco sulla passata, sulla sosta, sulla pastura è chiara indicazione di presenza di selvaggina.
Quanto deve essere sostenuta la ferma in bianco
Quanto deve essere sostenuta? Dipende da un mare di eventualità, forse noioso elencarle tutte. Facciamo che siamo in montagna, a beccacce, e Bora ferma in cima al canalone, tra i faggi, a 200 metri da noi. Aspetto la quarta o la quinta sbippata e poi lancio al compagno un’occhiata che dice inequivocabilmente “andiamo a sparare a quella beccaccia“.
Se ferma Ambra invece, aspetto il decimo trillo prima di arrampicarmi sputando il cuore e i polmoni sul dorso ripido e a volte succede che la cagna risolva prima che si arrivi da lei. Pare che ti dica “scusa boss, non c’era nulla ma non ero sicura; lo sai, ho un naso a tire bouchon e nel dubbio preferisco essere prudente, ne ho sbagliate tante in passato, non voglio ripetere l’errore“. La perdoni, sai che non può fare di meglio e sai anche che, dall’alba al tramonto, darà la vita per trovarla. Ma non è Bora. Infatti Ambra ferma più spesso, sbaglia più spesso e trova di meno.
E poi c’è il cane di Michele, Akim, quello che ha regalato perché non ne poteva più. Quello ferma convinto e con la stessa espressione il merlo, il tordo, l’allodola, la beccaccia e la coturnice. Ferma e non si schioda più da lì e ogni volta che ferma tu non sai se dovrai dirgli bravo o tirargli una scoppolata. Chi l’ha preso dice che è un gran cane, che è uno stilista e che quello che l’ha ceduto non capisce niente. Sono punti di vista e vanno rispettati. Tollero queste defaillance nel cucciolone alla prima stagione ma, se insiste nel cazzeggio anche a fine stagione, lo consegno ad altri più tolleranti di me.
Quando la ferma in bianco sostenuta ci sta
La ferma in bianco sostenuta, a caccia, è consentita ai cani bravi solo a fine giornata col cane in riserva di carburante, cosa che non dovrebbe mai succedere a un cacciatore avveduto ed esperto che alimenta correttamente il cane durante l’intera giornata. Le ferme improduttive, se ripetute nella giornata e reiterate nella stagione, vanno inesorabilmete cassate e giudicate per quello che sono: la manifestazione evidente della limitatezza olfattiva del nostro fermatore. Dispiace, perché tutto nel suo patrimonio istintuale è finalizzato alla ferma ma è un cane di minor valore.
Invece non servono a niente i cani che abbisognano di avere tra le nari l’odore sfacciato e pungente della selvaggina ormai prossima e che solo in quel frangente ricordano di essere puntatori. E i cosiddetti fermatori a colpo sicuro, locuzione utilizzata per descrivere i cani che non vanno mai in bianco, beati loro, naturalmente riprodurranno se stessi.
Chi spera di ottenere cani da caccia da questi fenomeni e li utilizzerà in riproduzione molto probabilmente porterà a spasso per le campagne cuccioloni spavaldi che ignoreranno i percorsi della selvaggina, le cosiddette passate – il cui odore è tanto labile – e con loro tutte le tenui esalazioni aleggianti. Cercheranno fagiani sudati o quaglie malate di pinguedine che stazionino stabilmente col cestino da picnic al centro del campo, magari in piena pennichella. A qualcuno piace. Ma non invidio il proprietario del loro guinzaglio. Miserere nobis.
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