Cinghiale e capriolo hanno spostato le loro attività dal giorno alla notte. Dove e perché questo accade?
Cinghiale e capriolo sono ungulati di successo che, grazie alla loro flessibilità ecologica, stanno recuperando i loro areali originari e raggiungendo densità considerevoli.
Quando si dice che una specie animale è dotata di grande adattabilità si intende dire che, di fronte a improvvisi cambiamenti (un clima più caldo o più freddo, l’arrivo di un predatore o di un competitore, l’aumento della pressione venatoria), per sopravvivere sa rapidamente mettere in campo nuove tattiche, cambiando per esempio la mobilità o i ritmi di attività o la dieta alimentare. Specie poco adattabili, poco capaci di reagire a situazioni nuove rischiano di andare incontro a un graduale declino, forse addirittura a contrarre il proprio areale e a scomparire almeno localmente.
E se in alcuni decenni cinghiale e capriolo hanno saputo giungere allo stato attuale è proprio per la flessibilità ecologica e comportamentale, per la capacità di risposta rapida a nuove prove e a nuovi rischi.
La flessibilità di cinghiale e capriolo
Quando ero adolescente, d’estate passavo molto del mio tempo di vacanza in Alto Adige osservando il capriolo. Avevo scelto due zone diverse dello stesso comprensorio e mi piaceva mettere a confronto il comportamento degli animali. Una era un’area agricola appena fuori dal villaggio, a circa 900 metri sul livello del mare, aperta alla caccia e dotata di boschetti, siepi, campi e prati. L’altra era un’area protetta sul limite dei boschi, a circa 1.800 metri, con prati di erbe alte, cespugli bassi e qualche albero sparso, priva di sentieri frequentati da turisti.
Nella prima area alla periferia del centro abitato i caprioli erano visibili soprattutto al crepuscolo, lontano dalle ore di massima luce, ed erano sempre guardinghi, pronti a fuggire nel bosco. Nella seconda area potevo invece osservarli a distanza per ore e ore anche in pieno giorno, perché gli animali non dovevano temere alcun pericolo.
L’area agricola era senz’altro più ricca di cibo e con un clima relativamente più mite, ma i caprioli dovevano convivere con il disturbo e i pericoli connessi con l’attività venatoria. L’area di montagna vera e propria aveva sicuramente risorse alimentari minori e un clima più estremo, ma rappresentava per gli animali un vero trionfo di libertà, il luogo giusto per avere ritmi d’attività determinati dalle proprie esigenze e non da fattori esterni.
Meglio l’oscurità per cinghiale e capriolo
Il capriolo, che ha un piccolo rumine e che quindi per sua natura avrebbe bisogno di alimentarsi parecchie volte al giorno, in presenza di fonti di disturbo (come i turisti) e di fattori di rischio (come la caccia o la predazione) può adattare i propri ritmi di attività, concentrando i periodi di alimentazione più importanti intorno al crepuscolo, quando diminuiscono il disturbo dei chiassosi visitatori e il rischio di morte legato alla caccia o alla presenza di predatori.
Chiunque abbia partecipato a dei censimenti di caprioli e cervi da punti fissi vantaggiosi sa che in aree cacciabili i cervidi si possono contare con una certa affidabilità proprio al crepuscolo, quando si sentono meno esposti ai pericoli ed escono nei prati a pascolare.
Ma se chiedessimo di contare in queste occasioni anche i cinghiali, probabilmente se ne censirebbero ben pochi o addirittura nessuno perché in area cacciabile – anche al di fuori della stagione venatoria – il cinghiale si è trasformato in un animale quasi esclusivamente notturno.
Adattamento comportamentale del cinghiale
Un adattamento comportamentale, quello del cinghiale, che sembrerebbe andare contro le caratteristiche stesse della specie, dato che il cinghiale non ha affatto una buona visione notturna. In area cacciabile ci potremmo accorgere della forte presenza della specie solo muovendoci coi fari di notte o esaminando i danni alle colture, mentre in un’area protetta vicina potremmo avere la fortuna di osservare qualche esemplare a tutte le ore del giorno.
Il cinghiale è attivo in genere da 6 a 15 ore su 24, con poche differenze stagionali e in condizioni naturali (per esempio nel Parco nazionale polacco di Bialowieza) alterna periodi attivi e di riposo sia di giorno sia di notte. Ma dove il disturbo umano è più intenso finisce per prevalere l’attività notturna. È per questo, per esempio, che gli incidenti tra cinghiali e auto tendono spesso ad avvenire di notte, quando il traffico è meno frequente ma gli animali si muovono di più. Il maggior numero di collisioni sembrerebbe coincidere con le notti più luminose, come se il cinghiale preferisse muoversi quando l’oscurità è comunque meno intensa.
Un’indagine sul cinghiale svolta nell’Appennino di Arezzo aveva già documentato nel 2017 come, in presenza di predatori naturali come il lupo e di prelievo venatorio, il cinghiale aveva aumentato l’attività notturna, soprattutto nelle notti con maggiore luminosità. Lo stesso studio aveva documentato come, quando le notti sono più corte (fine primavera), il cinghiale, pur rimanendo prevalentemente legato alla notte, è costretto ad allungare l’attività di alimentazione nelle prime ore del giorno.
Caprioli urbani
Due studi recenti svolti utilizzando trappole fotografiche permettono di far luce sul comportamento notturno di cinghiale e capriolo.
Il primo studio si è svolto nella città di Varsavia, in Polonia, che negli ultimi 45 anni ha visto il capriolo espandersi dai tratti forestali e dai campi agricoli della lontana periferia fino alle aree verdi della periferia più interna, tra gli orti, i giardini, i cimiteri e i parchi pubblici. Una graduale colonizzazione che si è resa possibile proprio grazie alla grande plasticità della specie, che ha dovuto controllare l’istintivo forte timore della capillare presenza dell’uomo, del traffico nel tessuto urbano, del rumore e delle luci artificiali notturne.
Per utilizzare la rete di spazi verdi di una grande città come Varsavia, il capriolo ha dovuto sforzarsi il più possibile per minimizzare la probabilità di incontro con uomo e auto, impresa decisamente difficile. Uno studio preparatorio, già iniziato negli anni Settanta, aveva utilizzato il conteggio di impronte sulla neve su percorsi standardizzati per vedere quali erano gli ambienti più utilizzati dalla specie. Da questi dati sulle tracce si era potuto dimostrare che la presenza del capriolo aveva fatto un salto di qualità, sia con un raddoppio dei segni di presenza lungo i percorsi campione, sia con la conquista di ambienti verdi della periferia più interna. Un’espansione verso il centro della città che si spiega soprattutto con l’aumento della presenza di alte densità della specie nelle aree adiacenti alla capitale. Un’espansione che si scontra con le trasformazioni di Varsavia, sempre meno verde e ospitale e sempre più cementificata.
Rendersi quasi invisibili
Per consolidare la presenza nella periferia esterna e infiltrarsi nelle aree verdi più centrali il capriolo ha dovuto soprattutto agire sui propri ritmi di attività, modulando cioè i periodi di riposo, ruminazione e alimentazione con lo scopo di passare il più possibile inosservato e muovendosi solo quando il disturbo umano e il traffico sono più scarsi. Di qui la necessità di muoversi e alimentarsi sfruttando al massimo le ore di crepuscolo e almeno in parte la notte ed essere particolarmente cauti di giorno.
La rete di fototrappole distribuita nella fascia forestale esterna ha permesso di documentare questa strategia sia pure nella sua forma meno estrema. Soprattutto una forte attività crepuscolare, senza grandi differenze tra alba e tramonto e senza variazioni stagionali.
I periodi di minore attività sono risultati a metà giorno tra le 11 e le 13, e a notte fonda tra l’una e le due. Le ore di attività diurna e notturna non erano correlate alla lunghezza del giorno e della notte. I caprioli non aumentavano, per esempio, l’attività notturna più del solito se le ore di luce erano poche o viceversa, ma mantenevano più o meno costanti i loro ritmi.
Più difficile immaginare la vita dei caprioli nelle aree verdi più interne della città, spazi frammentati, cinti da mura e reti metalliche, limitati da strade ed edifici, col continuo sottofondo di rumori e sotto l’effetto delle luci artificiali notturne.
Cinghiali nell’oscurità
Lo studio italiano, diretto da Emiliano Mori dell’Istituto di ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Cnr e svolto da ricercatori di sei diverse istituzioni scientifiche, riguarda invece i ritmi di attività del cinghiale in un’area interna del Grossetano, presso Poggi di Prata, vicino al fiume Merse, con presenza del lupo e della caccia in braccata (da novembre a gennaio). Qui, nel 2019-2020, sono state utilizzate 25 stazioni con fototrappole dotate di sensori all’infrarosso e si è cercato di capire anche quanto l’attività notturna sia condizionata dalla luminosità (fasi lunari, nuvolosità, luci artificiali).
L’indagine ha potuto confermare come nell’arco di tutto l’anno il cinghiale sia attivo prevalentemente di notte. Gli animali si muovono e si alimentano soprattutto nella prima parte della notte, con picco proprio intorno a mezzanotte. L’attività al crepuscolo è maggiore al tramonto e non all’alba. In estate è forse soprattutto il caldo a spingere i cinghiali a concentrare la propria attività di notte, per difendersi dalla calura eccessiva. In autunno e in inverno invece è sicuramente la pressione venatoria a determinare i ritmi.
La massima attività notturna in assoluto è stata osservata agli inizi di novembre, proprio in coincidenza dell’avvio della caccia in braccata. Il minimo, invece, è stato registrato agli inizi di maggio, forse in coincidenza con parte delle nascite e le prime settimane di allevamento dei piccoli, quando è più difficile per le madri e i gruppi familiari avere ritmi prevedibili e coordinati.
Se quindi i caprioli periurbani di Varsavia sono riluttanti a utilizzare prioritariamente la notte, i cinghiali dell’entroterra toscano non hanno dubbi.
Nel buio più buio
Contrariamente a quanto scoperto nell’Appennino, nelle colline grossetane i cinghiali sono risultati più attivi nelle notti relativamente più buie e addirittura quasi del tutto inattivi nelle notti più luminose. A spingere gli animali a modulare l’attività notturna non erano in sé e per sé le fasi lunari, ma il grado di luminosità o l’oscurità complessiva. Non rigidi ritmi interni innati scanditi dal ciclo della luna, ma flessibili decisioni quotidiane legate al livello di maggiore o minore luminosità.
A differenza dei cinghiali delle montagne aretine quelli grossetani sembrano prediligere le notti meno luminose, facendo affidamento più sull’eccezionale olfatto che sulla propria scarsa acuità visiva. Il perché di questa differenza tra le due zone toscane resta ancora misterioso. Non sappiamo quanto pesino l’eventuale differente pressione del lupo e del bracconaggio, la differente struttura degli ambienti utilizzati, la vicinanza o meno con centri abitati e connesso disturbo. Ma una cosa sappiamo: il cinghiale si mostra ancora una volta in tutta la sua plasticità, trovando soluzioni diverse ma ugualmente vincenti.
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