Uno studio italiano approfondisce le conoscenze sulla mobilità dei cinghiali in ambiente appenninico.
Oggi i cinghiali sono diventati un argomento popolare anche sui quotidiani, sia per le intrusioni sempre più sfacciate nelle nostre città, sia per l’emergenza della peste suina che attanaglia tutta Europa. In realtà, l’interesse generale sembra fermarsi agli episodi più pittoreschi o eclatanti. Ad esempio quello di un cinghiale che ruba una pizza a una turista in spiaggia vicino a Genova, la scrofa che si sdraia ad allattare i piccoli in mezzo a una strada di Roma, il verro che minaccia un cane in un parco pubblico della capitale, il porcastro che nuota nei Navigli milanesi. Al massimo si dedica una riga alla decisione di aumentare la pressione di caccia nel tentativo di fermare la Psa.
Mancano quasi sempre la capacità e la volontà di approfondire, di capire la complessità dei problemi e di comprendere quali siano le difficoltà obiettive nel trovare valide soluzioni gestionali.
Nessun effetto sorpresa
L’emergenza cinghiali non dovrebbe essere una sorpresa per nessuno. Dopo secoli di persecuzioni dirette ed estinzioni locali, da decenni la specie sta aumentando in tutto il continente e per molte ragioni. La sua grande plasticità ecologica (dieta onnivora ad ampio spettro, elevata fertilità, comportamento sociale flessibile, notevole mobilità) e l’intelligenza acuta (che talvolta si trasforma in spavalderia) sicuramente hanno favorito il suo successo nel recuperare gli areali perduti, nell’aumentare la popolazione e nell’infiltrarsi con insistenza persino nelle aree urbane. Né possiamo dimenticare le operazioni di reintroduzione e ripopolamento condotte per anni e anni da amministrazioni pubbliche e da privati, talvolta una vera abitudine a fine annata venatoria.
Anche i profondi cambiamenti ambientali degli ultimi decenni, come l’espansione dei boschi, delle aree arbustive e delle aree coltivate, hanno contribuito alla sorprendente ripresa del cinghiale. E il riscaldamento climatico globale ha diminuito la mortalità infantile in inverno e aumentato la fruttificazione di faggi, querce e castagni, incrementando le risorse alimentari disponibili e quindi stimolando ulteriormente la fertilità. Nonostante da anni si assista un po’ ovunque in Europa all’incremento continuo della specie e negli ultimi tempi all’espansione della peste suina africana, sono pochi i finanziamenti alla ricerca scientifica e pochi i gruppi di ricerca che conducono studi sul cinghiale, anche se sono ancora tanti i punti oscuri della sua biologia. E come si fa a gestire correttamente una specie se non la si conosce a fondo?
Programmare meglio la gestione del cinghiale
Uno dei rari gruppi di ricerca europei che continuano a studiare il cinghiale è italiano ed è diretto da Marco Apollonio dell’Università di Sassari, e da parecchi anni lavora in provincia d’Arezzo studiando il sistema prede-predatore (cinghiale, cervidi e lupo). In un recente articolo i ricercatori italiani approfondiscono le conoscenze sulla mobilità e il comportamento spaziale del cinghiale in ambiente appenninico, argomento tutt’altro che astruso, ma che permette di conoscere meglio le esigenze della specie e quindi di programmarne meglio la gestione.
In presenza di foreste ricche di risorse alimentari, come si muoveranno i cinghiali? Come saranno grandi i loro spazi vitali? Quanto si sposteranno al loro interno?
I primi studi sugli spostamenti e gli spazi vitali del cinghiale mediante telemetria risalgono agli anni Ottanta del secolo scorso, condotti tutti da un pionieristico gruppo di scienziati francesi diretto da F. Spitz; allora (ed è stato così ancora per diverso tempo) i radiocollari richiedevano antenne e triangolazioni per ogni localizzazione, i monitoraggi erano piuttosto faticosi e i risultati piuttosto approssimativi.
Anche le stime delle distanze percorse ogni giorno dagli animali sono state per decenni poco precise perché calcolate in linea retta tra localizzazioni successive, mentre gli animali quasi sempre si muovono in modo irregolare e imprevedibile. Ma recentemente un gruppo di ricerca tedesco e statunitense ha creato un programma informatico in grado trattare i dati raccolti dai radiocollari satellitari e produrre stime più realistiche dei movimenti degli animali. Utilizzando questo programma gli studiosi italiani hanno potuto ricostruire con buona risoluzione le distanze percorse ogni giorno per ogni mese dell’anno dai due sessi.
Le osservazioni in Casentino
Tra il 2013 e il 2020 sono stati catturati e seguiti 28 cinghiali, 11 maschi e 17 femmine, in una vasta area del Casentino che comprende sia aree protette (Parco nazionale delle Foreste casentinesi e Oasi dell’Alpe di Catenaia). Boschi e arbusteti costituiscono il 79 % del comprensorio, mentre le aree agricole il 12 %. Le densità medie dei cinghiali di questo comprensorio sono piuttosto elevate, nell’ordine di 14 animali per chilometro quadrato, e in area cacciabile anche il carniere annuo è decisamente alto, intorno a sei cinghiali per chilometro quadrato.
È molto importante seguire sia i maschi che le femmine, perché il cinghiale è una specie a forte dimorfismo sessuale, cioè con maschi molto più grandi delle femmine, ma soprattutto con esigenze e strategie molto diverse tra i due sessi. I maschi tendono a essere solitari e ad avere spazi vitali abbastanza grandi, soprattutto durante la stagione riproduttiva, quando con l’aiuto del loro olfatto finissimo individuano e visitano in sequenza diversi gruppi femminili per accoppiarsi, lottando se necessario con gli altri maschi della zona. Un’attività intensa e prolungata per mesi, che di solito fa perdere parecchio peso ai verri. Le femmine vivono con la prole e formano gruppi sociali aperti e fluidi con altre femmine, e tendono ad avere spazi vitali relativamente piccoli e a spostarsi meno, soprattutto nella stagione dei parti e dell’allattamento.
Esigenze, quindi, in qualche modo divergenti, come d’altra parte accade per molte altre specie di ungulati con dimorfismo sessuale. Si pensi, per esempio, al cervo nobile o al daino. Nel caso del cervo addirittura i due sessi possono avere preferenze alimentari diverse e i maschi possono vivere in aree distanti da quelle frequentate dalle femmine, che raggiungono solo per il periodo riproduttivo facendo lunghi spostamenti.
Maschi e femmine hanno esigenze diverse
I risultati dello studio condotto nell’Appennino toscano confermano innanzitutto che gli spazi vitali mensili dei maschi di cinghiale sono in media estesi su superfici doppie rispetto a quelli delle femmine, circa 530 ettari contro 260 ettari. Le distanze giornaliere medie percorse realmente dai maschi sono di 5,9 chilometri contro 5,1 chilometri, circa il 16 % in più delle femmine.
I maschi si muovono su distanze simili lungo tutto il corso dell’anno, mentre nel caso delle femmine è evidente che si spostino di più tra agosto e ottobre, e già a novembre comincino progressivamente a ridurre i movimenti giornalieri giungendo alle distanze minime tra marzo e aprile, quando scelgono aree a copertura più fitta, costruiscono il nido, partoriscono e allattano.
Anche nei primi mesi dopo le nascite le femmine si muovono abbastanza poco, probabilmente per la difficoltà di curare e difendere dai predatori i piccoli ancora inesperti. In estate e inizi autunno le scrofe finalmente hanno terminato l’allattamento e cercano intensamente cibo in zona per recuperare il proprio peso corporeo.
Quanto agli spazi vitali, le femmine occupano ogni mese dell’anno aree di superficie simili, mentre i maschi presentano notevoli differenze stagionali, con aree abitate tre volte più ampie in inverno che in estate; è in inverno che si concentra, infatti, gran parte dell’attività riproduttiva dei maschi, che competono tra loro per avere accesso al maggior numero di femmine della zona visitando vaste aree confinanti.
Dati più realistici
I calcoli delle distanze reali percorse, fatti utilizzando un programma informatico specifico che considera la tortuosità degli spostamenti, forniscono stime più veritiere. Se i ricercatori avessero utilizzato il metodo classico, non corretto, la distanza media percorsa sarebbe risultata due volte e mezzo più corta, una sottostima non indifferente.
È interessante che lo studio abbia rilevato il fatto che i maschi occupano spazi vitali più ampi durante la stagione riproduttiva, ma che non percorrono distanze giornaliere più lunghe del solito. Una apparente contraddizione. Ci saremmo forse aspettati tutti che i maschi in cerca di femmine da fecondare aumentassero la lunghezza dei propri spostamenti. L’alta densità di popolazione, evidentemente, permette ai maschi di ottenere lo scopo ampliando lo spazio vitale pur tenendo costante la distanza quotidiana percorsa, forse anche sotto l’effetto dell’ampia offerta di faggiole, ghiande e castagne che frena gli spostamenti.
Il fatto che le femmine di cinghiale del Casentino abbiano spazi vitali più o meno costanti lungo tutto l’anno, ma tra agosto e ottobre, dopo lo svezzamento dei piccoli, abbiano spostamenti su distanze più lunghe significa che hanno un uso più intenso e capillare dell’area abitata, forse per ricavare maggiore nutrimento senza allontanarsi troppo dal proprio centro d’attività.
Contrasto alla Psa contro alta mobilità del cinghiale
Nonostante l’alta densità, grazie alla ricchezza di risorse alimentari, i cinghiali del Casentino -maschi e femmine che siano – sembrano piuttosto stanziali, in grado di trovare cibo e rifugio in aree relativamente ristrette e senza grandi spostamenti verso aree agricole o insediamenti umani.
In ambiente appenninico, senza interventi umani che perturbino le consolidate abitudini dei cinghiali, in presenza di buone fonti trofiche gli animali hanno quindi una mobilità abbastanza moderata, ma naturalmente sappiamo anche che la specie ha tutte le caratteristiche per reagire quando necessario, aumentando la dispersione giovanile e l’ampiezza dei movimenti o spostando del tutto il centro dell’attività.
Tutte risposte comportamentali alla base del successo del cinghiale nell’intero areale. Le stesse risposte che mettono in grave difficoltà l’uomo nel tentativo di contrastare l’espansione della peste suina. Purtroppo sappiamo che l’idea di fare terra bruciata intorno ai focolai di peste attraverso pressioni di caccia senza precedenti si scontra con la grande capacità di spostamento, anche su distanze notevoli, iscritta nel Dna del cinghiale, che spinge gli animali a colmare presto i vuoti creati dall’uomo.
Per approfondire
Cavazza S., Brogi R., Apollonio M. 2023 “Sex-specific variations of wild boar distance traveled and home range size”, in Current Zoology
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