L’incremento generalizzato del cinghiale ha finito per riguardare anche le periferie delle nostre città. L’esperienza di altri centri urbani europei può aiutarci a gestire questa vera e propria emergenza.
Le foto di un uomo nudo, anzi, più precisamente di un nudista, in una parco pubblico di Berlino all’inseguimento di un cinghiale che gli sta portando via il laptop. I messaggi della cantante colombiana Shakira che a passeggio in un parco di Barcellona con la figlia viene attaccata da un cinghiale. Le immagini di cinghiali a spasso per le vie di Roma usate nella recente campagna elettorale per il sindaco. I mezzi di comunicazione di massa all’improvviso si accorgono di un fenomeno non nuovo, ma sempre più preoccupante e cioè l’insediamento del cinghiale nelle nostre città o per lo meno nelle loro periferie (ma con scorribande in centro tutt’altro che improbabili).
Certo, chi per anni ha favorito la ripresa di questa specie attraverso ripopolamenti non dovrebbe meravigliarsi troppo. Insomma, c’era da aspettarselo. Il cinghiale è un animale estremamente plastico, adattabile, considerato dagli zoologi generalista e opportunista, cioè non specializzato, ma in grado di approfittare di qualsiasi circostanza favorevole pur di sopravvivere e diffondersi.
Capacità di adattamento
Questa grande flessibilità è sicuramente facilitata dalla dieta onnivora, dall’abilità di adattare l’alimentazione a seconda dell’offerta dell’ambiente. Ma la plasticità riguarda anche i comportamenti, la capacità di modificare le proprie reazioni, di sopportare, per esempio, il disturbo umano in molte delle sue forme. Mettiamoci poi il suo enorme potenziale riproduttivo, di gran lunga superiore a quello di tutti gli altri ungulati, e si comprende il successo incondizionato di una specie presente in gran parte del mondo, dall’Europa e Nord Africa fino a Giappone e Indonesia, ma in realtà sconsideratamente introdotta in Nord e Sud America, in Australia e Nuova Zelanda.
L’aumento numerico in tutto il mondo non sembra avere sosta. Nel 1975 in Europa, esclusa la Russia, il carniere totale era di 370.000 cinghiali abbattuti, mentre nel 2015 il prelievo totale era cresciuto a tre milioni e in realtà non ha mai smesso di salire anche negli ultimi anni. Nella sola Francia il prelievo è passato da 50.000 esemplari nel 1975 a 810.000 nel 2020.
Un incremento senza tregua alimentato anche dal riscaldamento climatico, che negli ultimi decenni ha favorito la fruttificazione di querce, faggi e castagni con conseguente aumento del tasso riproduttivo e ha diminuito la mortalità infantile grazie a inverni più miti. I ripopolamenti a scopo venatorio sono diventati meno frequenti, ma non sono scomparsi e in alcuni Paesi si sono aggiunti gli effetti di fughe da allevamenti o liberazioni clandestine da recinti.
Cinghiali in città: un fenomeno mondiale
È chiaro che prima o poi il cinghiale, aumentando la propria consistenza numerica, avrebbe espanso il proprio areale fino a interessare anche le periferie urbane e si sarebbe infiltrato all’interno delle città. Si tratta di ambienti tutt’altro che disprezzabili per la mancanza di pressione venatoria, per la presenza capillare di aree verdi che garantiscono una buona copertura e quindi buoni rifugi. L’importante per il cinghiale è che si trovino punti con fitta vegetazione da usare come rimesse (aree umide, boschetti e arbusteti lungo piccoli corsi d’acqua naturali e canali, giardini abbandonati, siepi) e che naturalmente non manchino risorse alimentari.
In realtà non è soltanto il cinghiale che da poche aree di montagna o comunque non antropizzate è andato allargando il proprio areale, ma è anche l’uomo che è andato sempre più espandendo l’urbanizzazione costruendo in aree rurali un tempo coltivate, ma anche in fasce prima boscate o comunque con vegetazione naturale.
I cinghiali periurbani e urbani sono da tempo un fenomeno diffusissimo che interessa città come Barcellona, Genova, Roma, Berlino, Cracovia, Varsavia, Budapest e anche Haifa in Israele, Islamabad in Pakistan, Seul in Corea del Sud e Tokyo in Giappone. Ogni città ha una sua storia diversa di lenta colonizzazione delle proprie periferie, legata strettamente alla disposizione delle aree verdi e alle reti stradali o alla presenza di aree abbandonate riconquistate dalla vegetazione.
Barcellona, Berlino, Genova, Cracovia e Budapest
Barcellona ha, per esempio, una vastissima area verde boscata di bassa montagna verso l’interno (Collserola, di 10.000 ettari), nella direzione opposta al mare ed era inevitabile che il cinghiale prima o poi cercasse di conquistare la periferia della città partendo da quel grande serbatoio verde.
Berlino ha grandi superfici verdi interne boscate (la più importante è la foresta di Grunewald di 3.000 ettari, lungo il fiume Havel che attraversa la città) che fanno da richiamo dalle campagne coltivate e dai boschi circostanti.
Genova ha una forte urbanizzazione costiera e fitta vegetazione su pareti scoscese nella periferia interna; anche in questo caso era inevitabile che i cinghiali comparissero presto ai bordi della città portuale partendo dalle foreste dell’entroterra.
Cracovia e Budapest hanno periferie collinari con orti e giardini non più curati, ma riconquistati dalla vegetazione e anche boschi di caducifoglie di superficie non piccola, tutti elementi favorevoli alla colonizzazione.
Perché i cinghiali entrano in città
Cosa trova il cinghiale di così attraente da voler conquistare anche le città? Come abbiamo visto, c’è innanzitutto la ricerca di aree di rifugio che permettano di rendere meno impattante la convivenza con l’uomo. Frequentare buone rimesse di giorno e muoversi di notte significa evitare gran parte degli incontri diretti con uomini e auto, e dei pericoli connessi.
Una città, inoltre, tende spesso a garantire un microclima meno estremo, più mite d’inverno e, dove la vegetazione è abbondante, un po’ meno caldo d’estate. Ed evidentemente una città offre anche buone fonti alimentari. Queste possono essere semplicemente le stesse che il cinghiale trova lontano dalle aree urbane, come ghiande, faggiole, tuberi, larve di invertebrati, almeno in città come Berlino e Budapest che hanno all’interno o nelle vicinanze aree boscate. Ma più spesso sono cibi di origine umana, come a Barcellona. Il 49% degli stomaci di 236 esemplari prelevati in controllo faunistico aveva alimenti legati all’uomo, resti alimentari recuperati da cassonetti e sacchi, ma anche cibi per gatti e cani. Per contro alimenti di origine umana erano presenti solo nel 4% dei cinghiali prelevati nei boschi più dell’entroterra.
Ma è sbagliato pensare che il cibo recuperato tra l’immondizia costituisca una fonte energetica di mera emergenza. I cinghiali catturati o abbattuti nella periferia di Barcellona risultano più grandi, più pesanti e in migliori condizioni fisiche di quelli dei boschi interni; addirittura gli adulti di due, tre anni pesano il 50% in più dei loro coetanei presenti negli ambienti naturali, 68 chili contro 45.
Cibi di origine umana
Il cibo di origine umana diventa particolarmente importante in primavera e in estate, cioè durante il periodo delle nascite (le madri devono ingerire cibo più sostanzioso per produrre latte) e dell’accrescimento dei piccoli svezzati. Inoltre, in ambienti mediterranei come Barcellona l’estate è una stagione caratterizzata da minori disponibilità di cibi naturali, col terreno indurito dalla siccità.
Mangiare cibi di origine umana, spesso resti di cibi stagionati o cotti (magari salumi o fritti), significa anche incontrare problemi metabolici. Prelievi di sangue hanno evidenziato presenze non trascurabili di acidi grassi, del tutto insoliti per una specie come il cinghiale. Inoltre, cibi non freschi lasciati a temperature relativamente elevate per più giorni e poi ingeriti li espongono a patogeni e a tossine, pericolosi per loro e per l’uomo stesso. Le aggregazioni di animali che si creano intorno ai cassonetti possono facilitare la trasmissione di malattie, un punto tutt’altro che trascurabile anche per la salute umana.
Comunque sia, pesi corporei maggiori in una specie fertile come questa significano maggiore tasso riproduttivo, figliate più numerose e gravidanze più precoci. Le scrofe della periferia di Barcellona si riproducono per la prima volta in media intorno ai 12 mesi d’età con casi anche di nove mesi, mentre nei boschi più interni in media si riproducono a circa 16 mesi con casi di 14 mesi.
Una vita tutt’altro che facile
La vita ai bordi della città resta comunque piuttosto difficile. La mortalità finisce per essere più elevata e la longevità minore. I pericoli sono rappresentati soprattutto dalle collisioni con auto e gli attacchi da parte dei cani lasciati liberi, oltre naturalmente ai prelievi organizzati dalle autorità locali.
Il risultato è che l’aspettativa di vita in città si aggira nel capoluogo catalano sui 12-18 mesi contro 28-33 mesi per gli animali che vivono nei boschi dell’entroterra. La longevità massima è per i maschi di quattro, cinque anni negli esemplari di città e di sei, sette in quelli di bosco, mentre per le femmine di cinque, sei anni in città contro nove nei boschi dell’entroterra. Il grande potenziale riproduttivo, la maggiore fertilità, si scontra quindi con un’esistenza tutt’altro che semplice, con maggiori rischi lungo il corso dell’esistenza.
Chi sopravviverà?
Sopravviveranno certamente quegli individui che sapranno maggiormente convivere con la presenza dell’uomo o cercando di incontrarlo il meno possibile, stando attivi solo in piena notte, o sviluppando una maggiore tolleranza nei suoi confronti.
Nel parco pubblico di Grunewald a Berlino, un’ampia area visitata ogni anno da un milione di cittadini, nonostante i regolari prelievi di controllo attuati da vent’anni, i cinghiali hanno saputo adattarsi alla convivenza facendosi coraggio, diventando più confidenti e diminuendo la distanza di fuga (in media 30 metri contro 90 dei cinghiali fuori Berlino).
Se catturati e liberati, gli animali hanno riutilizzato con più prontezza le aree di cattura rispetto a quanto fanno quelli di fuori città.
Decisioni non più rinviabili
Certo, dalle foto dei cinghiali che rubavano il laptop al nudista si capisce che alcuni esemplari hanno completamente superato la barriera della paura fino a diventare non solo attivi in pieno giorno, ma anche essere impertinenti e pericolosi. La presenza dei cinghiali in città si fa spesso intollerabile: scavano buche, arano superfici erbose come campi da calcio o da golf, danneggiano recinzioni e tubature, feriscono cani, causano incidenti con auto e moto e talvolta possono attaccare l’uomo. Una madre preoccupata per la propria figliata può non solo minacciare, ma anche colpire con estrema forza.
Ma i rischi più seri sono legati ai problemi sanitari: il cinghiale può essere un serbatoio di malattie trasmissibile agli animali domestici e all’uomo, specialmente in ambiente urbano. Di qui la necessità per gli amministratori di decidere tempestivamente interventi sistematici per ridurre il più possibile i problemi connessi alla presenza del cinghiale, come appunto si tenta da anni di fare a Barcellona e a Berlino, attraverso catture e abbattimenti, controllo dei rifiuti (cassonetti a prova di cinghiale, rimozione rapida dei sacchi), pulizia del verde pubblico (sfoltimento delle aree più cespugliate), campagne di educazione dei visitatori dei parchi.
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