Cervo contro capriolo

cervo contro capriolo
© Vincenzo Frascino

Quando il cervo supera certe densità può incidere negativamente sul capriolo. Uno studio italiano contribuisce a chiarire la possibile competizione tra le due specie.

È difficile immaginare due cervidi più agli antipodi del cervo e del capriolo in termini di ciclo vitale, riproduzione, comportamento sociale, mobilità e preferenze alimentari.

Il capriolo è un animale legato originariamente ai primi stadi di formazione del bosco, abile nel muoversi nel fitto della vegetazione, come si può dedurre anche dalla struttura corporea raccolta con la groppa più alta del garrese, dalle sue capacità di saltare, di fare scarti improvvisi e di correre solo sulle corte distanze.

Con la frammentazione dei boschi, iniziata a opera dell’uomo già nel neolitico, il capriolo ha cominciato a utilizzare ampiamente i margini tra bosco e prati per poi, in tempi moderni, occupare anche aree agricole con coperture ridotte al minimo come siepi e macchie.

Il cervo è una specie tipica delle foreste mature con ampie radure e praterie confinanti, capace di muoversi e correre su distanze piuttosto lunghe in ambiente aperto e meno agile nel fitto della vegetazione.

Il ciclo vitale del capriolo è relativamente breve: gli esemplari entrano in senescenza intorno agli otto anni, contro i 13-14 anni nel del cervo.

Differenti anche i cicli dei palchi

Gli stessi cicli dei palchi sono piuttosto differenti. Innanzitutto nel capriolo il primo minuscolo palco si sviluppa e cade durante la fase infantile, mentre nel cervo le prime stanghe cominciano a crescere intorno a un anno di età per cadere molto tempo dopo.

Inoltre, la fase in velluto nel capriolo coincide con la seconda parte dell’inverno, mentre nel cervo comprende primavera e la prima parte dell’estate. Inoltre il capriolo investe relativamente poche energie nel palco, al contrario del cervo che costruisce ogni anno un palco vistoso e pesante.

Il periodo degli amori per capriolo è in piena estate, mentre per il cervo si colloca nella prima parte dell’autunno. Le femmine di capriolo possono partorire da uno a tre piccoli per volta, mentre le cerve un solo piccolo. Il piccolo cervide è tendenzialmente solitario da maggio a settembre e debolmente gregario da ottobre ad aprile, mentre il cervo è decisamente una specie sociale, con branchi femminili molto ben definiti che possono fondersi in aggregazioni temporanee più ampie.

Il capriolo tende, inoltre, a vivere in spazi vitali piccoli e a muoversi relativamente poco, mentre il cervo ha una grande mobilità stagionale. Il capriolo è poi un brucatore puro, con piccolo rumine, che tende a piluccare i vegetali più teneri, mentre il cervo è un pascolatore di tipo intermedio con rumine piuttosto grande in grado di nutrirsi anche di erbe coriacee. Il piccolo ce si rivela più schizzinoso e delicato, il cervo più rustico e flessibile.

Due mondi diversi

Insomma, capriolo e cervo rappresentano due mondi piuttosto diversi. Ed è naturalmente un bene perché, occupando due nicchie differenti, per almeno 600 mila anni non si sono ostacolati e hanno potuto convivere senza alcun problema a poca distanza l’uno dall’altro. Ma si sa, l’uomo ci mette spesso lo zampino e tende a modificare gli equilibri naturali, volontariamente e involontariamente.

In primo luogo ha per secoli pesantemente sfruttato entrambe le specie, portando all’estinzione locale soprattutto il cervo, ma talvolta anche il capriolo. Per decenni l’uomo ha poi cercato di favorire la diffusione e l’incremento del capriolo, animale più gestibile su piccola scala – a livello per esempio di riserve comunali di caccia -, di minore impatto sulle colture agricole, che può soddisfare le aspettative di un maggior numero di cacciatori. Nel contempo l’uomo ha tentato di frenare l’incremento del cervo, specie più problematica e impattante.

Il cervo è più adattabile

Ma negli ultimi tempi il cervo si è dimostrato quasi ovunque più adattabile del previsto e le strategie di contenimento della specie sono risultate talvolta fallimentari. Nello stesso tempo l’uomo ha agito anche sugli ambienti, modificandoli profondamente.

Oggi gli habitat di elezione di ambedue le specie sono piuttosto rari. Le foreste mature e rade con vaste radure, così amate dal cervo, sono quasi inesistenti e quindi il cervo è costretto ad accorciare le distanze dal capriolo. Inoltre i boschi cedui hanno smesso di essere gestiti dall’uomo con tagli regolari periodici e sono andati via via invecchiando, finendo per costituire ambienti poco adatti ad entrambe le specie. gli alberi sono cresciuti in altezza, la parte bassa delle chiome è diventata inaccessibile alla brucatura, la volta si è andata chiudendo, impedendo così alla luce di influire positivamente sullo sviluppo dello strato erbaceo e in genere sul sottobosco.

Interi vasti boschi sono diventati, dal punto di vista alimentare, sempre meno ospitali sia per capriolo sia per cervo, spingendo entrambe le specie a spostarsi a foraggiare sempre più vicino l’uno all’altro.

Rischio di competizione

Questo di per sé non significa arrivare automaticamente alla competizione diretta. Se le densità non sono elevate e se gli ambienti sono ricchi di risorse trofiche, capriolo e cervo cercheranno di nutrirsi delle piante che prediligono (foglioline e germogli per il capriolo, soprattutto erbe per il cervo) senza interferire l’uno con l’altro.

Ma se le densità di una o di entrambe crescono fino a livelli critici, le fonti alimentari più ricercate da ciascuna specie cominceranno a scarseggiare e le due specie si nutriranno delle stesse piante, con il cervo che finirà per interferire nei confronti del capriolo, disturbandolo e poi allontanandolo dalle aree di alimentazione, sottraendo cibo e influendo sui ritmi di attività e sugli spostamenti.

L’interferenza può consistere appunto in un fastidioso disturbo da parte del cervo, la seccatura per il capriolo di dover frequentare altri prati o uscire dal bosco in orari diversi dal solito pur di evitare l’incontro col cervo; ma può anche diventare più grave se, per esempio in inverno, finisce per incidere sui consumi alimentari del capriolo stesso.

Informazioni dalla Francia e dalla Polonia

Uno studio francese nella riserva naturale e di caccia La Petite Pierre, in Alsazia, ha dimostrato che, per esempio, ad aumenti significativi delle densità di cervo corrispondevano pesi minori dei piccoli di capriolo, forse perché le femmine gravide avevano trovato in inverno cibo più scarso e di minore qualità, forse perché in primavera avevano prodotto meno latte o perché i piccoli avevano minori capacità nel selezionare il cibo più nutriente.

Se le femmine di capriolo hanno difficoltà ad alimentarsi in inverno, non solo possono produrre figli meno robusti e pesanti, e quindi più esposti ai rischi di mortalità, ma possono anche tendere a dare alla luce un numero minore di figli (uno soltanto al posto di due o tre, per esempio). In questo modo la popolazione di capriolo tenderà a crescere sempre meno o addirittura, se sottoposta a livelli di mortalità non trascurabili, a diminuire.

Uno studio svolto nel Parco nazionale polacco di Słowinski, sulla costa baltica e nei territori adiacenti, ha consentito di documentare il fatto che il capriolo, all’interno dell’area protetta, soffre fortemente la superiorità numerica del cervo (presente con 26 capi per kmq) e si assesta su densità piuttosto basse (2,4/kmq), inferiori a quelle rilevate nelle aree confinanti aperte alla caccia, nelle quali una pressione venatoria consistente sul cervo permette al capriolo di raggiungere buone densità.

Vita stressante per il capriolo

Ma anche dove i pesi corporei non calano o la popolazione non diminuisce, per il capriolo in presenza di densità consistenti di cervo si prospetta una vita non facile, dominata dallo stress causato non solo dal disturbo antropico, ma anche dalla convivenza col cervo. Un recente studio di un gruppo di ricerca italiano pubblicato su una delle riviste scientifiche internazionali più prestigiose, Journal of Zoology, ha permesso di monitorare lo stress fisiologico cronico di una popolazione di caprioli alpina e prealpina, e di scoprirne l’origine.

I ricercatori, del Dipartimento di scienze agro-alimentari, ambientali e animali dell’Università di Udine, hanno indagato sui livelli di cortisolo nei peli di un campione di caprioli trovati morti per investimento ai lati delle strade friulane tra il 2016 e il 2018. Il cortisolo è un biomarcatore molto usato per studiare lo stress fisiologico. E’ un ormone prodotto e immesso nel circolo sanguigno dalle ghiandole surrenali su impulso del cervello e il suo compito principale è rendere l’individuo più pronto a rispondere a situazioni difficili aumentando la produzione di energia, la pressione del sangue, l’attività locomotoria.

Per capire lo stato di stress

È noto come animali che vivono in ambienti di buona qualità e poco disturbati dall’uomo, da predatori o competitori tendano ad avere livelli di cortisolo minori rispetto a quelli che vivono in aree con qualche forma di disturbo e quindi studiare il contenuto di questo ormone può consentire per esempio di capire quanto incida lo stress in una popolazione di capriolo.

Analizzare i livelli di cortisolo nelle feci può fornire informazioni sullo stato di stress di tempi ravvicinati, mentre esaminare il contenuto di cortisolo nei peli dà conto dello stato di stress cronico nei mesi precedenti il campionamento, nell’arco di tempo di crescita dei peli stessi. Gli studiosi hanno raccolto campioni di pelo dalla groppa di 88 caprioli morti per incidente nella fascia collinare e montana del Friuli, e hanno analizzato i livelli di stress e cercato le possibili cause.

Alla ricerca delle cause

I caprioli friulani potevano essere in stress per ambienti non sufficientemente idonei (poche risorse trofiche ottimali, poche aree di rifugio eccetera), per competizione all’interno della popolazione stessa (competizione intra-specifica), per competizione con cervo o cinghiale (interspecifica), per le attività antropiche (traffico, insediamenti, attività venatoria). Più difficile immaginare un influsso dei predatori, perché in Friuli la presenza del lupo e dello sciacallo è abbastanza contenuta e relativamente circoscritta.

Per questo i ricercatori hanno costruito su scala regionale un modello semplificato di idoneità ambientale utilizzando i dati raccolti opportunisticamente in 76 località con trappole fotografiche, individuando i fattori ambientali che meglio spiegano la frequenza con cui i caprioli sono stati fotografati, cioè i possibili fattori che favoriscono o ostacolano la presenza della specie sul territorio.

Utilizzati i dati raccolti dai cacciatori

Inoltre gli studiosi hanno utilizzato i dati di censimento raccolti per cervo e cinghiale dai cacciatori. I risultati dell’analisi dei fattori che secondo i ricercatori maggiormente influiscono sulle concentrazioni di cortisolo, e quindi sui livelli di stress, puntano il dito contro il cervo.

Il cortisolo accumulato nei peli appare correlato alle densità locali del cervo, che possono raggiungere anche i sette-dieci capi per kmq, mentre non risulta che la qualità ambientale, le densità raggiunte dal capriolo stesso e dal cinghiale possano avere inciso sullo stress. I ricercatori non hanno però testato nel loro studio il ruolo della caccia (oltretutto in quelle zone praticata con il segugio) come fonte di stress, mentre è probabile che questa contribuisca all’accumulo di cortisolo.

Naturalmente le difficoltà incontrate dai caprioli in Friuli e in altre parti d’Europa non implicano che il cervo rappresenti di per sé ovunque un ostacolo all’abbondanza del capriolo. Nell’Appennino settentrionale, per esempio, esistono aree dove convivono per anni, e apparentemente senza problemi, densità primaverili anche di 13-15 caprioli e di 10-17 cervi per kmq. Molto dipende dalla ricchezza delle disponibilità trofiche e dai livelli di disturbo antropico.

Per approfondire

Franchini M., Peric T., Frangini L., Prandi A., Comin A., Rota, Filacorda S. 2023 – “You’re stressing me out! Effect of interspecific competition from red deer on roe deer physiological stress response”, in Journal of Zoology 320 (1): 63-74

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