La rivista specializzata Meat Science ha pubblicato due ricerche sul profilo del consumatore italiano di carne di selvaggina.
Gli italiani hanno voglia di carne di selvaggina, anche se hanno poca fiducia nei cacciatori. E un buon 20% è disposto anche a spendere di più per gustarla, a condizione che sia servita in modo innovativo. A partire dalla tartare. Lo rivelano due ricerche condotte dalle Università di Milano, Padova e del Michigan e da Alpvet, che le ha rilanciate; gli studi hanno trovato spazio sulla rivista specializzata Meat Science.
Le statistiche parlano chiaro: gli italiani apprezzano la carne di selvaggina e mediamente considerano la caccia un buono strumento di gestione del territorio. Ma sono costellati di dubbi sui cacciatori. E sul fatto che rispettino davvero le regole, anche nella filiera della carne.
Allo stesso tempo, una nicchia di consumatori è disposta a spendere di più per assaporare innovative ricette di selvaggina.
Dalle ricerche emerge inoltre che i cosiddetti consumatori disorientati, ossia favorevoli al consumo di carne di selvaggina ma con attitudini negative verso la caccia, rappresentano addirittura il 56% del campione intervistato.
I ricercatori ritengono che la situazione dipenda sostanzialmente da un difetto di comunicazione. Solo con l’informazione capillare e costante si può far capire l’autentico peso nutrizionale della selvaggina e il ruolo dei cacciatori nella gestione faunistico-venatoria.
Le ricerche sulla carne di selvaggina
I due studi sono stati condotti nell’ambito del progetto Filiera eco-alimentare e pubblicati sulla rivista specializzata Meat Science. “Consumer preferences for red deer meat: a discrete choice analysis considering attitudes towards wild game meat and hunting” è stato firmato da Eugenio Demartini, Daniel Vecchiato, Tiziano Tempesta, Anna Gaviglio e Roberto Viganò.
Maria Elena Marescotti, Vincenzina Caputo e gli stessi Eugenio Demartini e Anna Gaviglio hanno invece lavorato a “Discovering market segments for hunted wild game meat”.
2.000 i questionari somministrati nella prima ricerca, più di 1.000 nella seconda.