La caccia di selezione al capriolo in estate presenta notevoli difficoltà, soprattutto quando praticata in ambiente di pianura o di media collina. La presenza di vegetazione particolarmente rigogliosa comporta molto spesso la necessità di avvicinamenti e tiri a distanze brevissime; le possibilità di successo diventano allora piuttosto esigue, ma la soddisfazione in caso di abbattimento è di quelle da ricordare.
Caccia al capriolo in estate vuol dire prati verdissimi, boschi impenetrabili, lunghe giornate di attesa o di cerca, con la speranza di avvistare prima o poi una inconfondibile macchia rossa che ci toglierà il respiro e ci farà tremare le mani. Questa è la stagione “calda” del capriolo.
Bellissima caccia, praticata assiduamente in tutta Europa e solo da noi, spiace dirlo, a volte anche criticata in quanto, secondo alcuni, impedirebbe ai maschi portatori di migliore trofeo di perpetuare i propri geni. Tesi ancora sostenuta anche da cacciatori, ma ormai scientificamente abbandonata alla luce degli studi più recenti e accreditati.
Nel capriolo infatti (a differenza che per cervo e daino) la genetica influisce molto poco sulla qualità del trofeo. Molto più importanti sono i fattori dell’alimentazione e dello stress. Inoltre, spesso si dimentica che anche il patrimonio genetico delle femmine influisce sullo sviluppo corporeo dei nuovi nati e quindi anche sul trofeo dei futuri maschi adulti. Tenuto conto infine del fatto che i palchi del piccolo cervide si sviluppano prevalentemente d’inverno, è evidente che il prelievo nei mesi caldi non ne influenza la qualità media.
Tiri molto vicini
Tornando alla caccia cacciata, uno degli aspetti più affascinanti è la possibilità di arrivare a contatti ravvicinatissimi con il selvatico. In ambienti nostrani altimetricamente poco elevati, ben diversi da quelli presenti nell’Europa dell’est (le vaste pianure di Ungheria e Romania in primis) ci troveremo a fare i conti con la vegetazione estiva, costituita nella migliore delle ipotesi da prati o incolti molto alti, nella peggiore da bosco o sottobosco impenetrabile e con visibilità ridotta a pochi centimetri.
Impossibile, dunque, pensare a tiri anche solo medio-lunghi. Dovremo trovare il modo di avvicinare o attendere il capriolo in quei rari spazi aperti che consentano una visione almeno accettabile, con il rischio tuttavia, se non avremo valutato bene tutti i fattori (vento, rumore, presenza di altri selvatici eccetera), di allertare la nostra potenziale preda ancora prima di averla vista. Due brevi aneddoti rendono bene l’idea delle difficoltà, ma anche delle emozioni di questa caccia.
Apertura infruttuosa nella canicola estiva
Primi giorni di giugno sulle colline cuneesi. Ormai le considero un po’ la mia seconda casa e teatro di un appuntamento sempre emozionante.
Purtroppo i sopralluoghi delle ultime settimane sono stati piuttosto scoraggianti. Quest’anno il caldo è davvero soffocante, anche di notte. I caprioli si muovono pochissimo e tendono ad alimentarsi al coperto, complice la vegetazione abbondante. Anche nelle zone più aperte, i prati e i gerbidi hanno raggiunto un’altezza che supera abbondantemente la schiena di un capriolo; dei pochi animali che ho osservato, emergevano a malapena muso e orecchie.
Ciononostante non si rinuncia. Accompagno mio padre sulla sua altana che domina un lungo coltivo e mi allontano a piedi, programmando un ampio giro che dovrebbe toccare tutti i punti caldi della zona. Per l’occasione ho portato con me una Steyr Mannlicher Stutzen in .243 Winchester con palle Norma Oryx da 100 grani, comoda e leggera, che dovrebbe fare il suo sulle corte distanze.
Dopo quasi due ore sono di ritorno. Nonostante tutte le accortezze, ho avvistato solo un culetto bianco in lontananza, ai margini del bosco, e nulla più. Nemmeno ho sentito abbai allarmati, conferma che gli animali si spostano davvero molto poco dalle loro rimesse.
Negli ultimi cento metri prima di raggiungere mio padre, ho la prima emozione della giornata. Nel bel mezzo di un noccioleto, anch’esso invaso da erba alta un metro, intuisco il filo di una schiena rossa. Sono meno di duecento metri e con il binocolo individuo una grossa femmina che bruca, allontanandosi. Sono convinto che ci sia anche il maschio, ma continuo a vedere solo lei.
Il vento non è buono e dopo un po’ la femmina alza la testa e si dirige nervosa verso uno stretto canale che si affaccia direttamente su un muro di ortiche molto poco invitanti, e poi sul bosco. Ma quando rientra al coperto, subito dietro di lei si materializza un’altra schiena leggermente più grossa, che la segue a ruota a testa bassa. È sicuramente lui, anche se non sono nemmeno riuscito a intuire forma e dimensioni del trofeo. Ma ormai è tardi e la caccia mattutina si può dare per conclusa; anche mio padre è a bocca asciutta.
Dopo un pomeriggio di relax forzato all’ombra, siamo nuovamente in zona. Mio padre torna in altana. Io decido che a questo punto devo sfruttare al meglio la minima chance che la sorte sembra avermi regalato.
Aspetto serale ai margini del bosco
Ho memorizzato perfettamente il trottoio su cui sono rientrati i caprioli questa mattina. Seguo il canale fino a un piccolo spiazzo erboso sotto un grande noce. Sono a venti metri dal punto di entrata; non posso allontanarmi di più o l’erba mi toglierà la visuale. Il vento, debolissimo, è buono, quindi mi siedo con la schiena contro l’albero, appoggio la carabina e lo stick e mi metto in attesa.
La posizione è comoda, ma le condizioni davvero impossibili. Nel canale scorre un po’ d’acqua, per cui vengo subito avvolto da orde di zanzare e anche qualche vespa, mentre inizio a sudare sotto il sole ancora alto. Ho con me un flacone di repellente, ma temo che possa essere avvertito dai caprioli, quindi soprassiedo.
È ancora molto presto e devo sopportare l’afa almeno fino a quando il sole cala dietro a un alto filare di pioppi alla mia destra. Ora sono in ombra e almeno si respira.
Evidentemente non vale solo per me, perché quasi subito, esattamente dal punto di entrata, esce la femmina, sfilando rapidamente e infilandosi nell’erba. Rimango impietrito perché si dirige verso di me, del tutto ignara, e inizia a mangiare a non più di cinque metri. Abbasso lentamente la testa, per nascondere la silhouette chiara del viso e muovo soltanto gli occhi per tenerla sotto osservazione.
Dopo un po’ mi dà il posteriore e si muove lentamente, sempre pascolando, fino a essere di nuovo inghiottita dal mare d’erba. Ora posso guardarla bene (dal collo in su), mentre si allontana verso il centro del campo. Dopo una decina di minuti distinguo solo più un’ombra rossiccia tra gli steli a cento metri.
Ormai è quasi il tramonto, ma del maschio nemmeno l’ombra. Sono ancora fiducioso: spesso i becchi più diffidenti tendono a uscire più tardi al seguito delle femmine, per verificare l’assenza di pericolo.
Ancora mezz’ora e le prime ombre della sera cominciano a ridurre la visibilità. Prendo la carabina, mi alzo lentamente in piedi e con il binocolo verifico che la femmina è ancora lì tra i noccioli. Quasi subito avverto un suono sordo dietro alle spalle, alla mia sinistra: una serie di tonfi ravvicinati, sempre più evidenti. Un animale che si avvicina.
Il vecchio maschio arrogante
Non ho ancora realizzato bene, quando il maschio “esplode” dal bosco in piena corsa, sfrascando rumorosamente. Rallenta e si ferma davanti a me a testa alta, guardando in direzione della femmina.
Quasi senza rendermene conto, un secondo prima avevo provvidenzialmente imbracciato la stutzenina (lo stick è rimasto contro l’albero) e ora il maschio, che è a non più di sette, otto metri, occupa tutto il campo visivo del mio vecchio Habicht 6×42. Riesco anche a distinguere il lieve incavo che il pelo forma all’attaccatura della spalla.
Alzo lievemente la testa per guardarlo a occhio nudo. E’ un bel becco, muscoloso e maturo. Al mio piccolo movimento si gira verso di me e solo allora si accorge della brevissima distanza che ci separa. Ma è troppo tardi. Senza nemmeno dovermi preoccupare di non strappare (a questa distanza…) tiro il grilletto e vedo il maschio accusare nettamente sul contenuto boato del .243. Fa un rapido testacoda sbilanciandosi sull’anteriore e in meno di un secondo si tuffa nel mare di ortiche che circonda il canale, poi tutto tace.
Ho ancora un sussulto quando vedo un movimento lungo il bosco a cinquanta metri. E’ la femmina che rientra, senza probabilmente nemmeno aver capito bene che cosa sia accaduto.
Sono certo del buon esito del tiro. Ne ho conferma, dopo una breve attesa di rito, dai segni di caccia sull’anschuss: evidente sangue chiaro e schiumoso a trenta centimetri d’altezza sugli steli, in direzione del canale. Temo di dovermi avventurare tra le ortiche, nei primi metri di bosco fitto. Ma il capriolo non è riuscito a raggiungerlo e giace nel fosso, composto senza aver perso la propria armonia e bellezza nemmeno nella morte.
Trofeo scuro, perlato e simmetrico, con rose già un po’ cascanti che indicano la piena maturità. Lo considero un ottimo prelievo, anche per il modo quasi chirurgico in cui è avvenuto.
Non mi accorgo più delle zanzare, del caldo e del sudore, mentre lo trasporto nell’erba alta fino ai margini del sentiero, dove provvedo alla pulizia (da effettuarsi immediatamente a causa del caldo) e alle foto ricordo nella luce bassa della sera.
Un papavero dal colore rosso violento impreziosisce il bruch che rende omaggio al bel maschio, colto probabilmente con il tiro più corto della mia carriera venatoria.
Capriolo in estate: tiro ravvicinato al cardiopalma
Quasi un mese dopo sono di nuovo a caccia, con la fascetta per un altro maschio adulto. Nel frattempo mio padre è riuscito a ottenere un buon anomalo dopo un aspetto molto emozionante.
Questa volta batto una zona più pianeggiante e meno boscosa, forse meno pittoresca paesaggisticamente, ma nella quale ho visto più volte (ma sempre in giorni di silenzio venatorio) un maschio dal trofeo piuttosto alto. La vegetazione è sempre folta: prati alti e ambiente limitato anche dai molti campi di mais, che rendono ovviamente impossibile gli avvistamenti e a maggior ragione la caccia.
Decido di fare l’alba proprio a margine di un granturco, su un terreno un po’ elevato con una buona visuale su un prato falciato da poco con evidenti segni di ricrescita, di solito appetita dai caprioli. Alla mia destra c’è un altro prato, ma più vecchio, di nuovo con erba alta quasi un metro.
L’arma questa volta è la mia Blaser R8 Professional in 7×64, con palle Rws Evolution da 159 gr in previsione di tiri quantomeno a media distanza. Previsione che si rivelerà errata.
Come al solito sono sul posto quando è ancora buio pesto, ad affrontare la mia battaglia epocale con le zanzare, ma il clima un po’ più fresco mi consente quantomeno di sopportare una camicia leggera, che mi protegge un po’ di più.
Quando la luce comincia a filtrare all’orizzonte e i primi richiami dei merli e dei colombacci svegliano l’ambiente, mi aspetto di vedere qualche ombra in movimento nella piana sottostante, ma rimango deluso. Possibile che anche qui i caprioli stiano nel folto tutto il giorno? Eppure i polloni d’erba fresca dovrebbero essere un buon richiamo.
L’alba è ancora lontana ma la luce già accettabile, per cui mi dedico a sondare ogni angolo della zona col binocolo. Proprio quando sto per rinunciare, finalmente un movimento, ma è nel prato più alto e sul momento non riesco a capire che cosa sia. Il lungo non mi aiuta: nel mare di erba non riesco a prendere riferimenti. All’improvviso però due teste emergono dall’erba, una con un evidente trofeo. Sono maschio e femmina e guardano verso valle!
La distanza è importante, a cavallo dei 350 metri. Ma soprattutto, anche volendo essere ottimisti, è inconcepibile pensare a un tiro che dovrebbe sfrascare metri e metri di erba fitta. Devo avvicinarmi.
Una sfida silenziosa nella luce dell’alba
Comincia quel gioco che mi coinvolge così tanto, anche se sempre con il timore di farmi prendere dagli animali.
Aspetto che i caprioli abbassino entrambi la testa per mangiare, poi faccio alcuni passi verso di loro, sfruttando l’esiguo riparo di un piccolo fosso. Ogni volta che si guardano intorno, mi immobilizzo. Riesco così a guadagnare un bel po’ di distanza, ma perdo la cognizione esatta della posizione dei selvatici. Oltretutto, la prospettiva cambia nell’erba alta e ho la visuale molto più limitata. Dovrei essere sopra di loro, ma penso che si saranno spostati in qualche modo. È il momento di non sbagliare nulla.
Per fortuna ho ancora lo stick con me; lo regolo ad altezza ottimale e abbasso gli ingrandimenti dell’ottica a quattro. Poi mi alzo lentissimamente e faccio un paio di passi, con la carabina già pronta, verso quella che penso sia la posizione dei caprioli.
Nulla, per ora. Ancora cinque passi. E ancora. Come sempre tutto si conclude in una piccolissima manciata di secondi, che però il cacciatore vive come un’eternità.
Mi trovo improvvisamente faccia a faccia con la femmina che alza la testa, si accorge di me a pochissimi metri, fa dietrofront e corre via. Fortunatamente però lo fa silenziosamente senza abbaiare. Quando lancia il richiamo di allarme è già lontana e solo in quel momento allerta il maschio, che si palesa a meno di venti metri, guardando prima lei e poi me.
La fucilata parte pulita verso la sagoma del capriolo che, a questa distanza, è perfettamente visibile. Lo vedo sparire senza però capire la reazione al colpo. Ricarico e rimango in punteria, per il malaugurato caso di un ferimento o di un colpo all’apofisi spinale. Ma dopo un paio di minuti nulla si muove.
Mi avvicino, aspettandomi di arrivare subito sull’animale e mi allarma un po’ non trovarlo immediatamente. Poi individuo una breve striscia di erba calpestata che seguo per pochi metri, fino al margine del campo dove trovo il mio maschio immobile.
È sicuramente quello che avevo già avvistato in precedenza. Probabilmente più giovane di quello di inizio giugno (tre, quattro anni), ma dai palchi ben formati, alti e simmetrici, anche se sottili. Un magnifico premio per questa mattinata e un altro tiro ravvicinato al cardiopalma. Weidmannsheil.
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