I cani da guardiania hanno impatti sia sulle specie bersaglio sia sulla restante fauna selvatica. Uno studio della Nottingham Trent University tenta di analizzarli.
Da secoli pastori e allevatori di tutto il mondo utilizzano i cani da guardiania per ridurre la predazione del bestiame domestico. Se impiegati in modo corretto, a oggi questi cani sono certamente il metodo più efficace per assicurare difesa e vigilanza. La predazione di animali da reddito non è certamente una problematica tutta italiana; coinvolge anzi tutte le aree rurali del mondo. Le perdite di bestiame possono raggiungere livelli di criticità sociali ed economiche decisamente elevati; talvolta chi ne è vittima reagisce con metodi di controllo letali per i predatori.
Ne deriva inevitabilmente, com’ è stato in passato per il lupo in Italia, il declino di una popolazione. Pertanto la difesa del bestiame con l’uso di cani da guardiania diventa il punto di contatto tra la protezione della fonte di reddito e un approccio più tollerante verso i predatori. Tuttavia la vigilanza dell’uomo sul bestiame e sul corretto lavoro dei cani rimane imprescindibile. Cani incustoditi sul territorio potrebbero infatti generare una moltitudine di effetti ecologici negativi verso le specie animali che non rientrano nei target del loro lavoro.
Le problematiche che la scienza ha avuto modo di rilevare quando i cani non sono soggetti alle giuste cure e alle dovute attenzioni sono sostanzialmente cinque: ibridazione; trasmissione di patogeni alla fauna selvatica, soprattutto quando i cani non sono sottoposti ai protocolli vaccinali; inseguimento di specie bersaglio e non bersaglio; alterazione della catena trofica; cambio delle risposte fisiologiche e comportamentali di specie non bersaglio.
Cani da guardiania: dinamiche da approfondire
Proprio per indagare queste dinamiche ecologiche i ricercatori britannici della Nottingham Trent University hanno condotto una revisione della letteratura scientifica mondiale per valutare gli effetti ecologici dei cani da guardiania. Dopo un’attenta selezione, hanno considerato 56 pubblicazioni: tutte riguardavano cani che interagivano, o predavano, fauna selvatica. Il 77% degli studi ha segnalato che i cani inseguivano o uccidevano fauna selvatica mostrando risposte comportamentali specie-specifiche.
I ricercatori precisano che nella maggioranza dei casi si parla di interazioni non letali. Non si aveva infatti la prova visiva della predazione o uccisione dell’animale; solamente il 10% delle pubblicazioni fa diretto riferimento a interazioni letali. Resta comunque un effetto fortemente negativo anche il semplice disturbo non letale. Sono circa 80 le specie risultate oggetto di una forma di disturbo da parte dei cani; ben 11 sono presenti nella Lista rossa Iucn nell’elenco dei vulnerabili o addirittura più in alto. Per il 78% le specie colpite da attacchi erano specie non bersaglio. Ciò suggerisce l’ipotesi che i benefici derivanti dall’uso dei cani portino con sé certi effetti ecologici non intenzionali.
La frequenza delle interazioni tra cani e fauna selvatica e l’entità degli impatti sono state quantificate solo in rare occasioni; pertanto è necessario approfondire queste dinamiche con ulteriori studi diretti che possano determinare il reale risultato ecologico dell’uso dei cani da guardiania. Così si riducono al minimo gli impatti ecologici negativi e si possono avvantaggiare sia gli allevatori sia la fauna selvatica.
Abbandonare gli anacronismi
I tentativi di predazione o, nel peggiore dei casi, la vera predazione ai danni di fauna selvatica sono di solito ampiamente sottostimati da agricoltori e allevatori, che molto spesso non sono fisicamente presenti nella gestione dei cani e del gregge. Le interazioni dirette tra cane e fauna selvatica sono strettamente legate alla razza cui appartiene il cane (il pastore ungherese o komodor è più suscettibile di comportamenti aggressivi verso la fauna, mentre il pastore dei Pirenei sembrerebbe essere il meno coinvolto) e dal numero di cani che si utilizzano.
Più è alto il numero maggiore è la possibilità che si generino contatti con la fauna selvatica. Resta evidente che il punto focale di questo argomento rimane sempre la corretta gestione del cane da lavoro: un cane ben nutrito e seguito, che oltretutto beneficia di una meticolosa selezione di linee di sangue fortemente incentrate sul corretto svolgimento del suo lavoro, molto difficilmente si rivelerà una mina vagante sul territorio.
È evidente come il ruolo del pastore risulta nevralgico. Bisogna prendere coscienza del fatto che oggi l’attività pastorale non può più essere affrontata con le tecniche e le metodiche di trenta o quaranta anni fa. Anche in questo ambito è ormai necessario partecipare a seminari formativi e incontri sul corretto utilizzo delle tecniche di prevenzione, come l’istallazione di un recinto elettrificato e sul corretto imprinting a un cane da guardiania. È necessario che faccia il suo lavoro nel modo migliore senza arrecare disturbo ad altre specie animali presenti sul territorio.
Cani da guardiania, predazione e convivenza: il progetto Enci
Dal 2018 in Italia ha preso il via un progetto interamente sostenuto dall’Enci. Si chiama “La difesa delle greggi mediante l’utilizzo del cane da pastore maremmano abruzzese in aree caratterizzate da alto rischio di predazione e forte sviluppo turistico: inserimento, gestione e monitoraggio di soggetti selezionati per tipicità ed equilibrio”. Con questo progetto l’Enci “mira a svolgere ogni efficace azione finalizzata alla valorizzazione dell’allevamento selezionato, all’implementazione delle conoscenze e competenze in ambito cinofilo degli allevatori di bestiame e alla sensibilizzazione del pubblico verso i temi della corretta convivenza tra uomo e cane”.
Il piano prevede l’assegnazione, l’introduzione e il successivo monitoraggio di una dozzina di cuccioli di cane pastore maremmano abruzzese; gli allevatori del Circolo del pastore maremmano abruzzese li cedono ad alcune aziende agricole toscane. Sono state scelte quelle che ricadono ricadenti in aree definite sensibili per pregressi episodi di predazione alle greggi e conseguenti danni alle attività antropiche e che, nel contempo, si trovano in zone ad alta frequentazione turistica, soprattutto nel periodo estivo.
Il progetto è finalizzato a consolidare il corretto utilizzo del cane da guardiania, per confermarne la peculiarità come uno degli strumenti più adatti alla mitigazione del conflitto tra zootecnia e predatori selvatici. Dal 2019 i cani che sono stati inseriti in queste realtà agricole vengono monitorati da tecnici e ricercatori. L’intento è approfondire la capacità di restare associati al gregge sia in presenza sia soprattutto in assenza del pastore; l’indifferenza verso stimoli esterni estranei alla pratica del lavoro, in particolare ungulati selvatici; l’equilibrio nell’interazione con escursionisti occasionali.
L’articolo completo sarà pubblicato su Caccia Magazine agosto 2021, in edicola dalla seconda metà di luglio. Nel frattempo non perdere le ultime news sul mondo venatorio, gli articoli di caccia e i test di ottiche, armi e munizioni su Caccia Magazine.