L’epagneul breton è il più piccolo tra i cani da ferma, ma non teme il confronto con i cugini più grandi. La sua versatilità in primis ne fa uno dei cani da caccia più amati in ogni parte del mondo.
Sebbene abbia cacciato anche io con gli epagneul breton, apprezzandone le tante doti contenute in una “botte piccola” e la sua forte personalità, per questo focus sulla razza ho voluto dare la parola a un gruppo eterogeneo di appassionati, per poter presentare la razza sotto diverse angolazioni. Ne sono usciti tre ritratti che, seppur differenti tra loro, si agganciano a dei punti in comune.
Un inglese in Francia: Guy Bagshaw
Conosco Guy Bagshaw da diversi anni, da quando viveva ancora in Inghilterra, nazione in cui l’epagneul breton è scarsamente impiegato sul terreno di caccia. Tra i meriti di Guy quello di aver recentemente tradotto dal francese uno dei testi sacri sulla razza “L’épagneul breton”, scritto nel 1937 da R. Munsch. Di seguito le sue osservazioni sulla razza.
«David Hancock, nel suo libro “Gundogs, their past, their performance and their prospects” (cani da caccia, il loro passato, le loro prestazioni e le loro prospettive), sostiene che gli épagneul breton necessitano di un conduttore intelligente almeno quanto loro. La sua affermazione è un eccellente indizio per capire come operano i soggetti di questa razza. Mentre uno spaniel vi chiederebbe quando fare qualcosa e un labrador cosa fare, un épagneul breton vi chiederebbe perché.
«Il breton, infatti, esige un rapporto paritario. Voi conduttori gli proponete una strategia e lui vi metterà a disposizione tutto il naso e tutte le zampe che servono per portare a compimento l’impresa. Per esempio, immaginate di essere al lavoro lungo una bordura, sottovento. A questo punto potreste mandare il cane via dalle le siepi, diciamo a una distanza di 70 o 80 metri, sapendo che lui tornerà verso la bordura, ma questa volta con il vento a favore, in modo da lavorare gli animali per voi in maniera ottimale.
«Sono cani generosi, capaci di saltare uno steccato o di lanciarsi nei rovi per un recupero. I breton sono, infatti, passione e prestazione. Amano riportare, lo desiderano ardentemente, ma questo desiderio non nasce dall’addestramento, dall’abitudine e dall’estenuante ripetizione di esercizi. Va semplicemente coltivata la sua naturale predisposizione stimolandone la mente e il corpo.
«Per ottenere il meglio da un breton, è indispensabile creare con lui un legame solido. Solo in questo modo il cane riesce a comprendere che cosa vogliamo da lui. Non si pensi di riuscire a controllarli a distanza se prima non li si lavora imparando a controllarli da vicino. Non pensate che un breton vi obbedirà fedelmente solo perché indossate un paio di calzoni da caccia. Iniziate con l’obbedienza di base, da vicino».
Dallo springer all’epagneul breton
«Io sono inglese e vengo dal mondo dello springer spaniel» racconta Bagshaw. «Ho conosciuto il breton dopo aver acquistato una casa nel dipartimento dell’Allier, in Francia, dove mi sono successivamente trasferito. Importare un epagneul breton, in quegli anni, era difficile per via della quarantena. Così, essendo intenzionato ad allevare, ho cercato una femmina nel Regno Unito. Risultato: è arrivato un maschio, Topaz. Grazie a lui ho iniziato a frequentare prove di lavoro ed esposizioni, sia nel Regno Unito sia in Francia. Questo mi ha permesso di incontrare altri appassionati e di stabilire dei legami con la Germania da cui è arrivata la capostipite del mio allevamento, che oggi porta l’affisso Tresallier.
«In Inghilterra utilizzavo i breton principalmente come si fa con gli spaniel, cioè nelle operazioni di recupero e riporto necessarie durante le battute all’inglese. Sono arrivato a gestire una riserva in cui venivano cresciuti e rilasciati fagiani in numero variabile dai 500 ai mille all’anno. La possibilità di vedere tanti selvatici mi ha messo in condizione anche di preparare i cani per le prove di lavoro per cani da ferma, cui ho partecipato in classe libera. Dal 2017 mi sono trasferito in Francia e attualmente collaboro con una riserva in cui si praticano battute all’inglese con l’abbattimento di 300-400 animali al giorno tra fagiani, pernici e anatre».
Un cane ben costruito lavora meglio
«Se vi piace l’epagneul breton e ne volete uno accanto a voi, cercate un allevatore serio che vi proponga un cane di buona genealogia e buona morfologia. Ricordatevi che un cane ben costruito lavora meglio, ha una maggiore resistenza fisica e consuma meno energia» spiega Bagshaw. «Io utilizzo i breton anche per i riporti nelle battute all’inglese e può capitare di lavorare anche per 12 ore al giorno, interrotte solo da una pausa pranzo. Questi cani vengono alimentati con mangimi ad alta energia, ma in queste occasioni porto con me degli snack e i cani reggono bene per tutta la giornata.
«Cercate un cucciolo i cui genitori siano effettivamente cani da lavoro, siate disposti a spendere un po’ di più per avere un cane con eccellenti qualità e anche il supporto dell’allevatore, spesso a vita. Ciò è quel quid in più che sul terreno di caccia può tradursi in un animale in più fermato o in un selvatico in più recuperato. Un eventuale sforzo economico vi verrà così ricompensato: un buon breton trova dove altri cani non hanno trovato.
«Vivere con un breton è piuttosto semplice. Ne possiedo sei, quattro maschi e due femmine, e vivono tutti insieme in casa, senza aver mai dato problemi. Sono cani selezionati per fare carniere, ma anche per stare in famiglia, anche in presenza di bambini. La stagione di caccia è breve, ma loro sono dei meravigliosi compagni anche per tutto il resto dell’anno. E un’altra cosa che mi piace della razza è la loro tendenza a restare giovani! Il mio breton di 15 anni gioca ancora con il cucciolone di 17 mesi».
Una voce dal Maryland: Bill Kelley
Gli americani l’epagneul breton lo chiamano brittany e lo hanno trasformato in qualcosa di diverso, anche strutturalmente, rispetto all’originale francese. Sebbene la massa segua quel modello, c’è anche chi dissente e continua a percorrere la vecchia strada. Questo è il caso di Bill Kelley che alleva breton alla francese sotto l’affisso Cache d’Or. Così Kelley descrive la sua esperienza con il fermatore francese.
«Ho iniziato a cacciare con i setter circa 50 anni fa. L’epagneul breton – o meglio, come direbbero i miei connazionali, la versione francese del brittany – mi incuriosiva, ne avevo letto su una rivista di caccia e mi si era accesa una lucina. Diversi anni dopo, nel 2004, sono riuscito ad averne uno figlio di due cani importati dalla Francia. Successivamente, nel 2006, ho importato Badine de Keranlouan cui sono seguiti cani provenienti da altri affissi francesi come Hameau de Sorny, de St Lubin, du Lys de l’Aussonelle, de St Pierre de Trapel e Marais du Piat.
«Apro una piccola parentesi sulle differenze tra l’epagneul breton e il brittany. Quest’ultimo è oramai una razza a parte pur derivando dalle prime importazioni avvenute attorno agli anni Venti del secolo scorso. I cani francesi sono stati modificati secondo il gusto e le esigenze degli americani che, organizzando prove di lavoro giudicate da cavallo, apprezzano cani che allargano moltissimo. Questo ha portato anche a dei cambiamenti nella morfologia della razza.
«I breton alla francese sono stati importati nuovamente a partire dagli anni Settanta e da lì si è cercato di ripartire. In verità la situazione è un po’ complessa perché ci sono divisioni tra gli appassionati di un tipo o dell’altro di breton e da parte di alcuni c’è difficoltà a capire il vero francese. Come se non bastasse, entrambi i tipi sono registrati come brittany. Bisognerebbe creare due registri separati, ma non tutti sono d’accordo».
Intelligente, passionale, intenso: ritratto dell’epagneul breton
«Devo dire che ho trovato nel breton alla francese la razza giusta per me» prosegue Kelley. «Sono cani intelligenti, passionali, intensi e hanno l’ampiezza di cerca ideale. La taglia li rende perfetti per la vita in famiglia e il loro temperamento li rende idonei alla vita in società. Sono cani scaltri e sono abili anche nel recupero e nel riporto. Generalmente hanno nel corredo genetico tutto ciò che serve per essere bravi cani da caccia, nascono cacciatori e noi dobbiamo solo dargli il tempo di maturare e fare esperienza. Sbocciano da soli, a patto che si sia gentili con loro nelle fasi di addestramento. La durezza li distrugge, non li conquista.
«Ho avuto modo di cacciare con i breton negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia mettendoli alla prova con fagiani, starne, pernici rosse e beccacce. Ogni cacciata con loro mi ha dimostrato come questi cani sappiano adattarsi sia al selvatico sia all’habitat. Ho visto anche il medesimo cane lavorare egregiamente per uno o per più fucili in contemporanea. Non mi hanno mai deluso.
«Del breton va messo in evidenza il caratteristico galoppo, spumeggiante e bellissimo da vedere. C’è chi confonde il breton con gli spaniel. Non è uno spaniel! Non caccia a tiro di fucile. L’apertura ideale in un breton, a mio avviso, non deve superare i 200 metri che, però, sono percorsi a gran velocità. Anche la ferma può essere repentina, intensa ed entusiasmante da vedere. Ho parlato di velocità, di apertura e di intensità, ho dato persino qualche numero, ma il breton è soprattutto adattabilità. Quanto ho appena affermato viene modulato in base al terreno, alle condizioni ambientali, alla vegetazione e al selvatico. Questo è uno dei punti di forza della razza.
«Ogni volta che rientro a casa dopo un soggiorno con i miei cani nel vecchio continente porto con me un pezzo di Francia e mi adopero per diffondere la cultura di questo cane tra gli americani. La razza piace, vive un buon momento e l’interesse è in crescita: io mi sono pentito di aver atteso tanti anni prima di prenderne uno. Buona vita al breton anche nel nuovo mondo. Ha tutte le carte in regola per essere un grande cacciatore e un piacevolissimo compagno di vita».
Una voce dall’Italia: Pietro Antonio Nurra
Chi, in Italia, ha avuto a che fare con i breton ha sicuramente sentito parlare di Pietro Antonio Nurra, giudice (in prova e in esposizione), allevatore (affisso di Rio Chiaro) e cacciatore bretonista. Nurra è stato anche vicepresidente del Club italiano épagneul breton. Ecco le sue considerazioni sulla razza.
«L’épagneul breton è “un massimo di qualità per un minimo volume”; questo diceva Gaston Pouchain, il padre della razza. Niente di più vero e queste poche parole descrivono perfettamente quello che è il nostro breton. Il francese è innanzitutto un cane da ferma. Non è pleonastico sottolinearlo perché c’è ancora chi lo considera un mezzo spaniel dalla ferma poco solida. Può darsi che questa diceria sia legata alla sua struttura o ai soliti praticoni che hanno pasticciato la razza con accoppiamenti inopportuni, ma si tratta di una falsità. Lo dimostrano il diffuso impiego pratico della razza e i risultati che consegue in prova.
«Il breton è conosciuto in tutto il mondo e in tutto il mondo è impiegato su ogni sorta di terreno e di selvatico. Se non fossimo davanti a un cane duttile, versatile, ma soprattutto valido, non lo vedremmo servire fucili in pianura, nel bosco e persino in montagna. Credo, inoltre, che in questi anni la razza stia vivendo un buon momento e che possa vantare, accanto alla venaticità, anche un buon grado di tipicità morfologica.
«È un cane piccino (51 centimetri è l’altezza massima per i maschi), ma che sa svolgere il lavoro del cane da ferma a tutto tondo incluso il recupero, il riporto e il consenso. Sono cani che hanno voglia di cercare, di fare e di compiacere il conduttore. La cerca è ampia e la velocità è abbastanza sostenuta».
«È un cacciatore tenace che non si perde d’animo se non incontra e che non disdegna la selvaggina da pelo, come la lepre» afferma Nurra. «A dire il vero, da buon cane da carniere talvolta potrebbe non disdegnare nemmeno il capriolo o il cinghiale, ma per fortuna si tratta un interesse fugace, che dura giusto il tempo di una breve canizza.
«Originario della Bretagna, il breton era utilizzato prevalentemente per la caccia alla beccaccia in boschi e foreste molto fitti. Anche io lo utilizzo prevalentemente in questa forma di caccia, sebbene non manchino le occasioni in cui lo metta alla prova con altri selvatici: a inizio stagione, per esempio, io e i miei breton andiamo a caccia di quaglie selvatiche. Porto i miei cani anche a caccia anche all’estero e in tutti questi anni ho sempre avuto con loro un’intesa fantastica. Sembra che sappiano sempre quello che voglio da loro, raramente devo richiamarli, sono naturalmente collegati. La nostrana cronica penuria di selvatici ostacola la preparazione dei cani “in casa”, allungandone i tempi. Confido sempre in una buona entrata di beccacce, certo che i miei breton saranno pronti ad affrontare il bosco».
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