Comincio queste mie riflessioni partendo con la definizione di cane da beccacce o da montagna, allo scopo di sostenere la tesi che i soggetti bravi in queste cacce abbiano caratteristiche specifiche, naturali, costituenti prerogative tali da farne quasi una sottospecie del cane da ferma.
Parto col cane da montagna, osservando come distinguere in base all’altitudine dei luoghi di caccia non abbia senso, poiché per lavorare su rilievi della superficie terrestre oltre i 600 metri di quota non occorrono requisiti specifici, se non una certa resistenza all’ipossia, ma non è questo il caso. Anche perché definire un cane da montagna significa indirettamente prefigurare l’esistenza anche di cani da collina e da pianura, dei quali però non si è mai sentito parlare. Certamente l’ambiente impervio richiede fisicità, per cui una peculiarità potrebbe risiedere in una costruzione più idonea di altre ad affrontare le pendenze. Ma se ciò fosse vero, una volta definita qual è quella giusta, si dovrebbe ufficialmente affermare che sono esclusi dalla possibilità di diventare da montagna tutti i cani appartenenti a razze che, per standard, quella costruzione non possono averla. Basta però comparare la morfologia dei più rinomati cani da montagna, anche della stessa razza, per capire subito che non è così.
Non può essere questione di resistenza a maggiori sforzi, perché cacciare per ore in pianura al galoppo non logora meno del farlo, per lo stesso tempo, al passo consentito dall’asperità degli ambienti montani, per cui una specificità del cane da montagna legata all’inclinazione del terreno è scartabile.
Non è nemmeno questione di clima, poiché non usiamo razze provenienti da selezione “africana”, bensì britannica e continentale, cioè da luoghi in cui sono presenti le montagne con il loro clima, site più a nord dei nostri. Di certo si può solo affermare che col freddo la regolazione della temperatura del cane ha costi energetici elevati. Per il resto inutile fare congetture sul giusto spessore dello strato di pelo o di quello adiposo sottocutaneo, perché nell’arco di una stagione venatoria il clima cambia e costringe a cacciare a temperature positive e negative, con pioggia, neve e sotto il sole cocente. A meno che non ci si voglia inventare anche un cane “da” ciascuna di queste condizione meteorologiche.
Meno improvvido parrebbe l’utilizzo del “da” finalizzato a qualificare un cane in base alla selvaggina che caccia, avendo ciascun selvatico delle peculiarità che potrebbero richiedere abilità particolari per cacciarlo. Abilità che presuppongono il possesso di caratteristiche specifiche da parte del cane.
In tal senso, per il cane da beccacce formalmente siamo già a posto, mentre per quello da montagna si dovrebbe allora dire da tipica alpina. Sì, ma quale? Forcello, coturnice e pernice bianca sono selvatici diversi, hanno comportamenti diversi, per cui bisognerebbe ulteriormente distinguere i cani da forcello, rispetto a quelli da pernice bianca e a quelli da coturnice. Ma poi la coturnice è presente sia in ambienti alpini, che mediterranei, che appenninici, che balcanici, diversità non insignificanti si riflettono sul tipo di lavoro e quindi sulle caratteristiche richieste per farlo. Bisognerebbe, allora, ulteriormente usare un “da” per la coturnice alpina, un “da” per quella appenninica e così via.
E a quel punto come dovrebbe essere classificato il cane utilizzato in montagna sulle beccacce, da beccacce o da beccacce alpine? Illogico tutto ciò e quindi scartabile. Nemmeno di una specificità del cane legata alle caratteristiche del tipo di selvaggina cacciata si tratta.
Può allora essere che la specificità stia nella predisposizione genetica a fare un determinato lavoro da parte di un certo ceppo di cani all’interno di una determinata razza da ferma? Scartata immediatamente pure questa ipotesi d’ufficio, dato che molti dei più rinomati soggetti da montagna o da beccacce sono figli di cani che a caccia non sono mai andati, in quanto competitor in prove di grande cerca, che non riescono a vedere montagne e boschi nemmeno passando, essendo oscurati i finestrini dei furgoni sui quali passano gran parte della loro vita. Quindi, sia per il cane da destinare alla caccia in montagna, sia per il cane da beccacce, non ci sono prerogative specifiche delle quali preoccuparsi, essendo la possibilità di successo di un soggetto destinato a queste cacce legata banalmente all’appannaggio delle solite doti del cane da ferma, talmente ovvie che non sto nemmeno a elencare.
Cane da beccacce o da montagna: lo specialista
Affascina l’idea del cane da ferma diventato specialista da montagna o da beccacce, ma attenzione perché specialista è un sostantivo impegnativo, assoluto, non si può esserlo fino a un certo punto. Poi non ha senso dire di un cane che è specialista da montagna, poiché specialista non può esserlo su un ambiente, ma eventualmente lo sarà sui selvatici che vi abitano, alcuni dei quali peraltro, come forcelli, cedroni e coturnici, in certi Paesi vivono a livello del mare, per cui la montagna non centra niente. Altrimenti lo specialista da beccacce dovrebbe essere specialista anche su fagiani, colini, francolini, cedroni, che pure nel bosco vivono. Più pertinente sarebbe quindi riferire questa qualifica alla selvaggina cacciata, ricordandosi però che il cane non è multitasking, non può essere concentrato al massimo livello su più lavori contemporaneamente, per cui il termine va usato con parsimonia.
Bisogna poi intendersi sul significato della qualifica, che non è attribuibile a un soggetto in grado di trovare la selvaggina solo quando ci sono le condizioni favorevoli per poterlo fare, bensì a quello che la sa trovare sempre, anche quando si imbuca, in posti atipici, col vento sfavorevole, anche se stanco, rimessa dopo rimessa, mettendo in atto ciò che serve per far sparare. Un soggetto in grado di fare tutto ciò, tale non nasce, lo può diventare, ma non certo correndo prevalentemente a vuoto, anche se in ambienti idonei, oppure restando ad ammirare uccelli che, dopo il frullo, se ne volano via. C’è un presupposto imprescindibile, che il suo padrone sia nelle condizioni di fargli acquisire le conoscenze necessarie attraverso un copioso versamento di sangue. Un’utopia oggi, in quanto, se un cacciatore volesse farlo, poi comunque non potrebbe e qualora potesse farlo, se davvero cacciatore, dovrebbe risultargli inaccettabile infierire su specie a rischio. Questione scabrosa che in ogni caso nemmeno si pone, basta calcolare la quota pro capite di selvaggina disponibile per ciascuna specie, ricavandola dai piani di abbattimento, per capire subito qual è la situazione. La matematica governa le leggi del mondo e non è certo col solo esercizio teorico che si può far diventare specialista un cane, senza passare per le complessità di quando c’è di mezzo un fucile, senza fargli abboccare molto, costantemente e soprattutto in luoghi diversi.
E poi non basta nemmeno praticare una caccia specialistica e non basta riuscire a fare abboccare molto al proprio cane per farlo diventare davvero specialista, perché per definirlo tale bisogna non solo che sia bravo a casa sua, ma che lo sia sempre, a prescindere dal posto in cui lo si porta, in particolare nei posti nuovi, sia per lui che per noi. Ciò presuppone da parte del cane il possesso di una di una grande e rara virtù, l’adattabilità, ma poi dipende dalla nostra possibilità di fargli fare esperienze in ambienti e luoghi diversi, impresa non delegabile ad altri e che oggi risulta molto difficile cacciando come generalmente si può fare, cioè solo nella propria zona e cercando di compensare lunghi periodi di carestia con uno stage di cinque giorni oltre confine.
Questa criticità riguarda sia la tipica alpina che le beccacce per le quali, pur migliorandosi le possibilità di abbattimento e di movimento da parte nostra, aumentano le difficoltà legate alla moltiplicazione dei tipi di ambienti che queste frequentano. Prova ne è che non tutti i cani ritenuti bravi sulle beccacce in montagna, quando poi cacciano il medesimo uccello nella macchia mediterranea, riescono a fare belle figure e viceversa.
Oppure basta ricordare quei cani da beccacce degli accompagnatori, comperati a cifre importanti dopo giornate di pingui carnieri nelle quali si sono particolarmente distinti, che, una volta portati a casa, non appaiono più così tanto bravi.
Differenza tra cane specialista e cane specializzato
Tutto ciò fa sì che oggi siano molto pochi coloro che possono utilizzare a ragion veduta il “da” per qualificare specialista il proprio cane. La maggior parte confonde uno specializzato con uno specialista, scambia cioè un cane che sa fare bene il suo lavoro solo nelle condizioni per lui abituali, con quello in grado di farlo sempre e dovunque. La cagna del Friz, che conosce per nome tutti i forcelli di Malcesine che infallibilmente va a osservare nel suo giro quotidiano, non può essere annoverata fra i cani specialisti in forcelli, è solo specializzata in quelli di Malcesine. Spero non si offenda il Friz e cerco di compensare citando il mio Nero, che mi ha accompagnato in un periodo giovanile durante il quale mi ero “stanzializzato” a Vinez, cane efficace, ma di cui oggi posso dire, col senno di poi, che nemmeno lui era uno specialista su beccacce, era solo un cane specializzato su quelle che atterravano a Vinez.
Quella dello specializzato è una qualifica limitata, circoscritta alla selvaggina e ai modi che gli sono abituali, soprattutto a questi ultimi, visto che il suo padrone a caccia ci può andare da solo o insieme ad altri, usare uno o più cani, con Gps, beeper o campano, in un solo tipo di ambiente o in ambienti diversi, fare giri lunghi oppure brevi, in posti noti o sconosciuti. E’ la combinazione di queste variabili, scelta dal cacciatore, che determina il campo di specializzazione del cane, per cui il soggetto che ha maturato esperienze fino a diventare utile non è uno specialista, è più semplicemente uno specializzato che, in quanto tale, potrebbe risultare non ugualmente utile a un altro cacciatore che caccia la medesima selvaggina, ma in modi diversi. Per carità, con i tempi che corrono riuscire ad avere un cane adatto al proprio modo di cacciare non è poco, ma non si confonda il grano con il loglio, perché il fascinoso specialista è altro, non per tutti, apprezzabile da chi fa una caccia che lo richiede.
Oggi risulta pertanto molto difficile attribuire fondatamente a un cane la qualifica di specialista da montagna o da beccacce, chi davvero ne ha uno si chiami fortunato, non tanto perché lo possiede, ma poiché, se è riuscito a farlo diventare tale, significa che è ancora nelle condizioni di fare una caccia degna.
Andare a caccia col cane da ferma non basta
La definizione di cane da montagna o cane da beccacce non trova fondamento in ragioni tecniche, ma più che altro è un ideale generato dalla suggestione della caccia a stupendi uccelli selvatici in meravigliosi ambienti naturali, dall’orgoglio per lo sforzo sostenuto, dalla soddisfazione per qualche rara fucilata, da un pizzico di narcisismo e dalla lunga esposizione a certi discorsi ereditati dal passato, ammantati di sacralità. Per carità, chi gode nel mitizzare mitizzi pure, ma se si parla di cani e non di uomini, e se di cani si parla sul serio, calma e gesso!
A ben pensarci, però, forse più che per sostenere l’esistenza di cani specifici o specialisti nella caccia in montagna o alle beccacce, molte volte il “da” viene utilizzato per affermare che quelle sono cacce nelle quali servono soggetti particolarmente dotati, cioè in possesso di un alto livello quantitativo di tutte le doti che deve avere un cane da ferma.
Anche in questo caso è difficile generalizzare, soprattutto poiché ciò che maggiormente si nota osservando al lavoro un cane bravo in queste cacce non sono le sue qualità naturali, bensì il lavoro che c’è dietro, fatto dal suo proprietario. Bisognerebbe poterlo pesare al netto, ma difficilmente si può fare.
Una distinzione è comunque sempre possibile, quella fra i soggetti utilizzati da chi pratica la caccia con il cane da ferma (una minoranza), rispetto a quelli impiegati da coloro che vanno a caccia col cane da ferma (purtroppo la maggioranza).
Praticare la caccia col cane da ferma significa mettere il lavoro del cane al centro della propria attività venatoria e quindi implica cacciare da solo, tenere il fucile scarico per sparare esclusivamente sotto ferma, affidarsi al cane senza compensarne le carenze con le proprie capacità predatorie. E ciò fa sì che un cane, per poter diventare bravo in una pratica come questa, debba necessariamente essere un soggetto ben dotato, un buon cane da ferma, poiché il suo ruolo è quello di protagonista non di ausiliare.
Mentre i soggetti usati da coloro che vanno a caccia col cane da ferma, cioè che cacciano in modi nei quali, rispetto al lavoro del cane, prevalgono le proprie capacità predatorie, in compagnia, col fucile carico per poter sparare ai selvatici non fermati, sono degli ausiliari e come tali possono anche non essere dei buoni cani da ferma, dato che il protagonista della caccia è il cacciatore e non il cane.
Alla faccia delle virtù dei mitici cani da montagna o cani da beccacce, e a dispetto di tanti bei discorsi poetici sull’etica della caccia a stupendi uccelli selvatici in meravigliosi ambienti naturali!