Il camoscio e la neve

il camoscio e la neve

Alcuni ricercatori italiani hanno dimostrato come la neve possa fortemente influire sul tipo di tattica adottata dai maschi di camoscio durante gli amori.

Per secoli gli zoologi si sono concentrati soprattutto nel fornire un nome scientifico e nel catalogare gli animali che descrivevano. Solo a partire dagli anni Trenta del Novecento nacque un profondo interesse per lo studio del comportamento animale. Ma per vedere i primi etologi uscire dalle fattorie, dai villaggi e dalle spiagge vicino a casa bisogna aspettare gli anni Sessanta, quando Schaller andò a studiare il gorilla in Congo, il leone in Tanzania e la tigre in India, Goodall lo scimpanzè in Tanzania e Geist le pecore selvatiche nordamericane nelle Montagne Rocciose canadesi.

Pochissimi lo ricordano, ma nelle Alpi bernesi tra il 1964 e il 1966 lavorò Kraemer, un giovane ricercatore svizzero, studiando l’organizzazione sociale e il comportamento del camoscio. Nel 1969 pubblicò sulla rivista fondata da Lorenz un lungo articolo in tedesco che forniva anche una prima descrizione del repertorio dei moduli comportamentali, arricchita da bei disegni in bianco e nero.

Kraemer notò che i maschi adulti di camoscio tendevano a difendere attivamente fin da primavera un territorio che in tardo autunno attraeva le femmine per riprodursi. Si rese però conto che esisteva anche una tattica riproduttiva alternativa, con alcuni maschi che inseguivano a novembre le femmine senza difendere alcun territorio. Il giovane studioso svizzero, dopo un breve periodo in Canada per studiare la capra delle nevi, preferì tornare in patria e lavorare come funzionario per il Servizio Caccia e Pesca del cantone Thurgau.

Le due tattiche riproduttive del camoscio

L’esistenza di maschi non territoriali nel camoscio alpino descritta da Kraemer fu pressoché trascurata per decenni, dato che inizialmente tra gli etologi si faceva poca attenzione alla flessibilità comportamentale, alla possibilità che una specie potesse essere meno rigida e rispondere alle variazioni ambientali trovando più di una sola soluzione.

Quando gli studiosi scoprirono che il daino adulto può adottare cinque diverse tattiche riproduttive e che lo stesso cervo, noto in tutta Europa per la tattica di difesa dell’harem di femmine, in Spagna meridionale può invece passare, se necessario, alla tattica della difesa del territorio nei punti in cui si concentra la presenza di risorse alimentari e quindi di femmine, si resero conto che molto del successo di tanti ungulati dipende dalla loro plasticità comportamentale, dalla capacità di adottare, quando serve, soluzioni alternative.

Per oltre vent’anni l’unità di ricerca di Ecologia comportamentale, Etologia e Gestione della fauna dell’Università di Siena ha studiato il comportamento dei camosci nel Parco nazionale del Gran Paradiso, in Valle Orco, tra i 1.600 e i 2.300 metri. Uno degli obiettivi della ricerca a lungo termine è stato comprendere meglio perché convivano tra i maschi due diverse tattiche riproduttive. Se entrambe si mantengono nel tempo può significare che sono geneticamente fissate o che comunque continuano a esistere condizioni ambientali variabili che favoriscono o una o l’altra ma nessuna delle due in modo esclusivo.

Ma chi sono i maschi che adottano una tattica o l’altra? C’è differenza di età, di corporatura? Quale tattica garantisce maggiori opportunità di accoppiamento? Una volta scelta una determinata tattica il camoscio ricorrerà alla stessa anche negli anni successivi o cambierà? Per rispondere a queste e ad altre domande i ricercatori hanno recentemente seguito per cinque stagioni riproduttive fino a 31 maschi adulti, 15 con radiocollare satellitare e 16 con radiocollare Vhf.

La difesa territoriale

I maschi territoriali già a primavera cominciano a difendere dagli intrusi un’area esclusiva, un piccolo territorio; non lo fanno ovunque, ma solo ad altitudine relativamente bassa, dove la copertura nevosa durante la stagione fredda sarà meno profonda. L’inizio della difesa territoriale costringe i maschi a diminuire il tempo di alimentazione, che recupereranno solo in estate quando, in preparazione ai digiuni tardo-autunnali, cercheranno di accumulare riserve energetiche sufficienti. Verso metà novembre, con l’arrivo di abbondanti nevicate, le femmine scendono verso valle e si presentano nelle zone frequentate e difese dai maschi territoriali; questi cercheranno di accoppiarsi con le femmine in estro scacciando i possibili contendenti.

I maschi territoriali nel periodo degli amori mostrano molti comportamenti aggressivi, ma ricorrono soprattutto alle forme indirette, più blande, come semplici esibizioni di imposizione (esibizione del profilo corporeo, marcatura della vegetazione, spruzzi di urina con feromoni sul proprio corpo, richiamo di minaccia), mentre tendono a evitare pericolose forme di aggressività diretta, come scontri con l’uso delle corna. Imbottiti di testosterone, impegnati nella difesa del territorio e nel corteggiamento delle femmine, dedicano poco tempo all’alimentazione ma, appena finiti gli amori, riprendono avidamente a nutrirsi ricostituendo le riserve necessarie a superare l’inverno. Di solito i maschi territoriali sono stanziali, ma una parte di loro dopo la stagione riproduttiva, finita la difesa territoriale, migra verso aree più ricche di cibo e con minore densità di conspecifici per recuperare più facilmente dalle fatiche amorose.

La tattica alternativa

E poi ci sono i maschi non territoriali, che vivono in modo piuttosto diverso. Innanzitutto, non essendo legati ad un territorio sono liberi di muoversi sempre e in estate risalgono nelle praterie d’altitudine dove il cibo è più abbondante e di migliore qualità. In tardo autunno, per gli amori, tutto dipenderà dalle femmine, da che cosa faranno. Se le nevicate saranno più intense, le femmine scenderanno andando incontro ai maschi territoriali e quindi gli esemplari non territoriali per avere qualche opportunità dovranno seguirle e rischiare lo scontro coi territoriali. Ma nelle annate con poca neve o con nevicate tardive le femmine rimangono in alto e offrono quindi più possibilità di accoppiamento ai non territoriali.

I maschi non territoriali tendono quindi ad avere una vita almeno apparentemente più comoda durante tutto l’anno, scelgono i pascoli migliori più in alto, passano più tempo ad alimentarsi e si spostano su superfici più ampie, una storia che apparentemente ricorda la favola della formica e della cicala di Esopo, con i territoriali iperattivi e i non territoriali che se la prendono comoda. A novembre, in presenza di neve abbondante, i camosci non territoriali dovranno avventurarsi più in basso e cercare di infiltrarsi nei territori alla ricerca di femmine, con scarsa possibilità reale di accoppiarsi, mentre in assenza di neve o con nevicate tardive, con le femmine che non scendono più a valle, avranno certamente più opportunità.

I territori più attraenti

Una delle ragioni per cui all’interno della popolazione si mantengono nel tempo entrambe le tattiche è proprio l’imprevedibilità delle condizioni meteorologiche a novembre, il fatto che la neve può influire sui movimenti delle femmine e quindi sulle chance dei maschi che ricorrono ad una o all’altra tattica. Un’analisi delle caratteristiche dei vari territori difesi dai maschi territoriali ha permesso di scoprire quali attraggono più femmine. Devono essere piccoli, molto scoscesi e irregolari, in modo che la neve non si accumuli e l’erba sia sempre accessibile, orientati per lo più a sud sud-est perché la neve si sciolga più facilmente. Più i territori sono piccoli e più le femmine si concentreranno in cerca di ciuffi d’erba e più aumenteranno le opportunità di accoppiarsi per i maschi territoriali.

È piuttosto chiaro il costo della tattica territoriale. L’iper-attività, la difesa dell’area esclusiva dai contendenti, i digiuni, i possibili scontri, si traducono in consumi energetici non indifferenti; inoltre sappiamo che il testosterone finisce per diminuire le difese immunitarie e quindi per favorire, ad esempio, l’insorgere di infezioni parassitarie. Più difficile capire i costi per i maschi non territoriali, che hanno meno testosterone e generalmente molto meno successo riproduttivo; forse, appunto, il costo più pesante è rappresentato dalla modestia del loro successo nel corso del ciclo vitale. Usando però i dati di mortalità relativi ai maschi marcati gli studiosi hanno visto che l’aspettativa di vita sembrerebbe non differire tra gli esemplari che adottano una tattica o l’altra: sia pure più impegnativa, la difesa territoriale non è logorante. Dalle catture si è inoltre potuto dimostrare che non esistono differenze di peso corporeo, di lunghezza delle corna e di età.

Una tattica per la vita

All’inizio dell’indagine i ricercatori si chiedevano se un camoscio tenda da un anno all’altro a cambiare tattica, ma dopo aver seguito gli animali marcati per intervalli di tempo piuttosto lunghi, sembra appurato che i maschi adulti, una volta utilizzata una certa tattica, continuano a farne ricorso durante tutta la loro carriera riproduttiva, che al Gran Paradiso si prolunga in media fino ai 12 anni. La fedeltà a una determinata tattica è interessante e peculiare; in molte specie di ungulati in cui esiste più di una tattica riproduttiva spesso un esemplare incomincia con una e negli anni successivi passa o può passare a un’altra.

Nei maschi di daino, per esempio, un subadulto tenta già di accoppiarsi posizionandosi alla periferia di un’arena di esibizione collettiva, cercando di intercettare qualche femmina e di inseguirla, per poi tentare l’anno successivo di difendere un micro-territorio all’interno della vera e propria arena. E se questa si dissolve, il daino adulto può passare a un’altra tattica come la difesa di un territorio individuale o a un’altra ancora.

Nel caso del camoscio l’adozione della tattica si ripropone invece invariata anno dopo anno e appare fissata geneticamente. Il fatto che continuino a persistere nella stessa popolazione entrambe le tattiche significa che nel lungo termine conviene alla specie mantenerle, dato l’imprevedibile succedersi di annate con nevi più abbondanti o scarse, anticipate o tardive.

Difendere le risorse trofiche

Di tutta la sottofamiglia delle caprine, cioè capre, pecore, tahr, bharal, goral, bue muschiato eccetera, il camoscio è l’unica forma tipica di ambienti aperti in cui il maschio è capace di comportamento territoriale.

Evidentemente in un ambiente aperto, per esempio in habitat a prateria, è pressoché impossibile difendere risorse trofiche diffuse su ampie estensioni, mentre in montagna, su superfici più ristrette, con fonti alimentari non abbondanti, più concentrate nello spazio e che attraggono non poche femmine, la difesa territoriale diventa praticabile. Quando la neve tarda a cadere, quei piccoli, ripidi e accidentati territori ritagliati tra le rocce diventano molto meno invitanti e lasciano spazio ai maschi non territoriali.

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