Editoriale
Il futuro ha radici antiche
Niente di nuovo sotto il sole. Mentre la nostra generazione continua a parlare di caccia etica e a distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è, non posso fare a meno di pensare che il senso di responsabilità che ci ispira ha davvero radici antiche. In Europa, ancor prima dell’avvento delle armi da fuoco, chi non cacciava per il proprio sostentamento, per la vita – principalmente la nobiltà – si era imposto una linea di condotta, una sorta di codice d’onore, con lo scopo di dare un limite al prelievo e ridurre il vantaggio sull’animale. La colonizzazione del nuovo mondo, con tutti i problemi di sopravvivenza che le risultarono collegati, portò invece al prevalere di una visione utilitaristica, rapace, della caccia. E in breve produsse risultati devastanti nell’intatta natura americana, con lo sterminio di specie oggetto di commercio, fosse per la carne o per le pelli. Un paio di personaggi però si distinsero e capirono le conseguenze di un prelievo indiscriminato. Si chiamavano Daniel Boone (1734-1820) e David Crockett (1786-1836), due eroi dell’epopea della frontiera americana. A loro nel 1887 Theodore Roosvelt, futuro ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti, insieme ad altri illuminati dedicò un club di cacciatori che risulta essere la più antica associazione conservazionista degli Usa. Sul finire dell’Ottocento, quindi, furono messi nero su bianco gli estremi per distinguere tra una caccia moralmente accettabile (definita fair chase, quindi “giusta” ancor prima che etica), quella che non lo è e il puro sparare.
Per Roosvelt e i suoi tutto ciò che non rientra nella prima definizione non è neppure caccia. Mi piace menzionare nuovamente su queste pagine i principi di questa fair chase, che credo ancora oggi possano essere ispiratori di un approccio corretto all’esercizio venatorio. Per la loro universalità non sono infatti legati ai tempi in cui furono scritti ma possono essere la giusta chiave di interpretazione della caccia anche a distanza di 132 anni, in un’epoca in cui il dominio della tecnica ha fatto ulteriori passi e noi continuiamo a porci domande alle quali fatichiamo a dare delle risposte univoche. Secondo questi principi, il cacciatore etico:
- obbedisce alle leggi e si impegna perché gli altri lo facciano;
- è consapevole che l’etica della caccia non si limita all’osservazione delle leggi ma di tutto ciò che è onorevole ed etico;
- definisce un vantaggio ingiusto ciò che non lascia al selvatico una ragionevole opportunità di fuga;
- si preoccupa e rispetta tutta la fauna e il suo ecosistema, cosa che include il fare un uso corretto e totale dei selvatici prelevati;
- misura il proprio successo non in termini di selvaggina prelevata ma di qualità dell’esperienza venatoria;
- accetta il principio che la caccia non può fornire garanzie di successo;
- utilizza la tecnologia in una maniera che non riduca la caccia a un mero tiro al bersaglio o diminuisca la necessità di sviluppare le proprie abilità;
- conosce i propri limiti e cerca di superare le proprie capacità di cerca, mai il tiro;
- è coerente con le decisioni prese sul campo e si prende la piena responsabilità delle proprie azioni.
Queste norme hanno fatto sì che si escludessero dalla caccia varie forme di prelievo come quella da velivoli, che all’epoca di Roosvelt non erano ancora sviluppati, o la cosiddetta internet hunting che prese piede nei primi anni del 2000, una forma di caccia a distanza che si attuava alla pressione di un click del mouse.
Pur partendo da un principio solidale (consentire agli invalidi di praticare il prelievo) era assolutamente inaccettabile sotto tutti gli altri possibili aspetti.
Fortunatamente questa esperienza si è conclusa con un bando unanime degli Stati che inizialmente l’avevano consentita per mancanza di una legislazione che la vietasse espressamente.
Trovo molto interessante, delle nove regole vergate nell’Ottocento, l’accenno a una componente etica, personale, che vada oltre alle norme scritte. C’è un principio che deve stare alla base del nostro agire, che nella legge deve trovare i principi base, inderogabili, ma non può limitarsi alla semplice osservanza delle norme dello Stato. Non a caso il Club Boone and Crockett ha superato quelli che erano i suoi scopi minimi iniziali ed è stato un motore per l’estensione del parco di Yellowstone e la creazione di altri parchi e riserve americani nonché della raccolta di fondi per favorire la conservazione ambientale in tutti gli Stati della Federazione. Oggi il Club conserva un ruolo di think-tank in materia di conservazione e mantiene un sistema di registrazione dei parametri biometrici degli ungulati endemici negli Usa correttamente prelevati, così da tenere sotto controllo lo status delle popolazioni e misurare l’efficacia delle azioni di gestione attuate.
La caccia buona ha davvero radici antiche e basta poco per ricordarsene.
Matteo Brogi