Editoriale
Cooperazione, utilità e fiducia
Grazie a un interessante articolo di Vittorio Pelligra pubblicato su Il sole 24 ore e dedicato alla cooperazione in chiave europea, mi sono rammentato di una sorta di parabola laica, quella che nella teoria dei giochi è definita “La caccia al cervo”. Fu elaborata da Jean-Jacques Rousseau che ne scrisse nel suo Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini.
Lo scenario presenta due uomini che devono decidere, senza potersi accordare preventivamente e soprattutto dovendosi fidare l’uno dell’altro, se scegliere di cacciare un cervo o una lepre. Nel primo caso, è indispensabile la cooperazione di entrambi ma la ricompensa sarà più alta, anche se incerta e condivisa, nel secondo è sufficiente l’impegno di un solo attore e il successo individuale più probabile anche se il premio meno soddisfacente. Utilizzando la strategia e la razionalità, il successo si ottiene se i cacciatori cooperano per cacciare il cervo oppure se entrambi optano per la caccia alla lepre. Le soluzioni miste avvantaggiano solo chi ha scelto la lepre, l’obiettivo meno ambizioso, lasciando uno dei due attori a stomaco vuoto.
Nonostante che i potenziali benefici della cooperazione siano evidenti, se sulla fiducia nell’altro, e quindi sulla cooperazione, prevarrà l’interesse egoistico, è inevitabile che si acuisca il conflitto tra i diversi attori e si attivi un processo di decadenza. A frenare questa decadenza dovrebbero intervenire organismi, aggregazioni e strutture superiori con il compito di mediare tra gli interessi dei vari soggetti e ordinare le relazioni tra gruppi diversi.
Nazioni, società e comunità, per quanto piccole, prosperano solo se sono in grado di attivare i meccanismi di cooperazione e la fiducia di cui ho scritto, finalizzando la propria azione a un comune obiettivo, così da raggiungere risultati migliori rispetto a quelli che si otterrebbero individualmente.
La cooperazione però è piuttosto complicata perché, accanto agli obiettivi comuni, esistono quelli dei singoli, che non sempre coincidono con i primi.
Questo ragionamento mi ha portato a pensare al ruolo delle associazioni venatorie. Nonostante che ciascuna rappresenti un non trascurabile patrimonio di cacciatori, è innegabile che la cooperazione tra associazioni sia qualcosa ancora da vedere. Si attua su piccoli progetti mentre su quelli più ambiziosi, anche se si dice il contrario, è difficile da riscontrare. E la categoria si viene così a trovare senza un unico grande organismo di rappresentanza.
La frammentazione della rappresentanza, è sotto gli occhi di tutti, è il primo limite con cui deve confrontarsi la nostra comunità.
Ma ogni comunità-associazione è composta da singoli e penso allora al ruolo di noi cacciatori, presi singolarmente.
Facciamo di tutto per dividerci, ciascuno racchiuso nella propria nicchia di interessi. Oggi siamo un numero imprecisato a cavallo dei 500.000. Tanti, tantissimi, ma la prospettiva è quella di un ridimensionamento che – azzardo – nell’arco di 10 anni ci porterà a essere la metà, forse meno. Questo perché il picco dei praticanti si ebbe negli anni Settanta e gli effetti dell’invecchiamento di quella generazione di appassionati è già iniziato. Ciò ben spiega l’alta età media del cacciatore italiano, superiore ai 65 anni. Tanto per esemplificare, e per rimanere nel campo della statistica, per ogni cacciatore di 20 anni ce ne sono 3 di 80. Che è prevedibile, anche se non auspicabile, che nei prossimi 10 anni abbandoneranno l’esercizio venatorio.
In un’ottica di un tale e drastico ridimensionamento non si può continuare ad agire come fatto finora. L’unità di intenti e lo spirito di cooperazione sono quindi essenziali per perseguire l’obiettivo, che è quello della conservazione della caccia, oggi messa in pericolo da uno spirito, una cultura e stili di vita che allontanano l’uomo dalla natura.
Specialmente i giovani.
Nonostante questa urgenza, i cacciatori continuano a litigare tra loro. Ne sono dimostrazione numerosi casi di cronaca che vedono contrasti tra praticanti le varie forme di caccia, che si estrinsecano in piccoli dispetti e grandi contrasti mediatici, come quello che ha recentemente coinvolto i cacciatori dell’Emilia Romagna e di cui diamo un commento nelle prime pagine della rivista. Qualcuno potrà forse considerare quanto scriviamo una provocazione, ma gli esiti della vicenda dimostrano come tutte le tecniche venatorie siano tra loro complementari e che saper cooperare per la massima utilità comune è indispensabile. Ma serve fiducia, la fiducia da parte di tutti.
Ed è su questo che dobbiamo lavorare.
Matteo Brogi