Editoriale
Purché sia sostenibile
Web e social media rappresentano uno spaccato molto realistico della società. Il buono e il cattivo che c’è in noi. Sono il luogo dove si scambiano chiacchiere da bar e si intrattengono conversazioni elevate, in un unico grande calderone dove tutti possono condividere informazioni e conoscenza. Fake news e opinioni scientifiche sono buttate lì, tutte insieme, in pasto a chi ha la coscienza di leggerle e discriminare tra ciò che merita considerazione e quanto invece è disinformazione. Non è facile non cadere nella trappola di chi diffonde volutamente falsità, per farlo è necessario uno sforzo intellettuale onesto e costante. Specie quando si parla di caccia, che delle fake news è una delle attività che maggiormente soffre. Notizie propagate per danneggiarla dall’esterno – da gruppi animalisti o che tendono a ostacolare la diffusione di armi tra la popolazione – o colpevolmente dall’interno. In un caso come nell’altro bisogna rispondere con i dati forniti dalla scienza. L’abbiamo ripetuto molte volte nel periodo di confinamento dovuto alla pandemia, dobbiamo rafforzare il concetto quando si parla di caccia sostenibile. Perché la scienza non può essere il nostro unico timone, ma rappresenta uno strumento indispensabile nella formazione di un’opinione.
Sui social leggo di tutto e resto colpito da commenti nei quali periodicamente mi imbatto. Le lamentele provenienti dalla nostra comunità relative alle troppe norme che regolamenterebbero la caccia o quelle secondo le quali la scarsità di selvaggina rende l’esercizio venatorio meno “divertente” sono quelle che mi lasciano più interdetto; quelle che mi danno ogni volta conferma che ci sono ancora cacciatori che travisano il senso della caccia e, più che farne uno stile di vita, la riducono a un passatempo un po’ sanguinario. Una visione di questo tipo non finisce di fare danni e non è un male se la fascia di cacciatori che la condivide si sente demotivata e abbandona l’esercizio venatorio. L’ambiente se ne avvantaggerà e noi avremo sconfitto un temibilissimo nemico, quello interno. La permanenza della caccia passa infatti dalla nostra capacità di seguire il cambiamento e di rinnovarci.
Nel corso degli scorsi mesi, la scienza ufficiale ci ha fornito una serie di pilastri su cui sostenere le nostre tesi, in particolare la conferma che il prelievo venatorio – se esercitato in maniera sostenibile – è funzionale al mantenimento della biodiversità che tutti abbiamo a cuore. Uno studio condotto dalla Norwegian university of science and tecnology (Ntnu) insieme al Norwegian institute for nature research (Nina) ha posto l’accento sul fatto che i dati raccolti dai cacciatori a seguito dei loro prelievi è il più importante database utilizzabile per monitorare lo stato di salute e la densità di tutte le specie di interesse venatorio. Dove c’è caccia, insomma, è più facile fare gestione. Lo studio, intitolato “Hunters as citizen scientists: contributions to biodiversity monitoring in Europe” è stato sponsorizzato da Elsevier – un’attività globale di analisi delle informazioni specializzata in scienza e salute – e diffuso alla comunità scientifica internazionale da Science direct, il portale che offre accesso in abbonamento a un ampio database di ricerca scientifica e medica. Ospita oltre 12 milioni di contenuti tratti da 3.500 riviste accademiche e numerosissime pubblicazioni.
Interessanti, in questo contesto, anche gli sforzi di Cic e Face. La prima associazione sta predisponendo una serie di poster di taglio scientifico per sfatare i miti negativi che influiscono sulla reputazione della caccia; con Debunking the Myths, Cic diffonde informazioni – supportate da una seria documentazione scientifica indipendente, resa disponibile sul sito – che servono a sostenere addirittura l’utilità della caccia nel recupero di specie precedentemente considerate in pericolo e il suo ruolo nel garantire diversità genetica e salute a lungo termine delle specie oggetto di gestione venatoria. Osservazioni che valgono sia per i nostri ungulati sia per i selvatici africani, che tante anime belle anche tra noi cacciatori vorrebbero eleggere a totem intoccabili.
Face ha invece presentato il suo Manifesto della biodiversità – Edizione 2020, uno strumento che raccoglie attualmente 442 progetti di conservazione della natura che vedono attivamente impegnati i cacciatori, a dimostrare il coinvolgimento della comunità europea di appassionati (che conta oltre 7 milioni di persone) nella tutela dell’ambiente e nella salvaguardia della biodiversità.
Anche nel mare magnum del web e dei social, dove a volte la buona informazione sembra soccombere sotto l’attacco di quella falsa e tendenziosa, possiamo quindi reperire strumenti per valorizzare l’attività venatoria.
Matteo Brogi