Caccia Magazine n. 6 giugno 2021

Editoriale

Non veneriamo gli idoli

La morte del principe Filippo ha riportato al centro della cronaca la vita turbolenta della famiglia reale inglese. Stavolta a far discutere non sono state le bravate di un giovane rampollo della Casata né i mal di pancia di un lontano erede al trono quanto la composta dignità della regina Elisabetta nel seppellire il compagno di una vita. E non sono mancate le memorie che hanno dipinto il principe come uno straordinario gaffeur. Allergico a certi aspetti del rigido protocollo di corte, è stato capace di infrangerlo con sagacia e simpatia grazie a un carattere diretto, a tratti brusco, difficilmente inquadrabile.

Tra le polemiche postume che si sono inevitabilmente innescate voglio ricordare quelle relative alla sua storia di cacciatore. Alcuni le relegano al passato, altri sottolineano – come peraltro testimoniato da numerose fotografie del principe in età avanzata, anche in compagnia della regale consorte – che ha praticato l’attività venatoria finché le condizioni di salute glielo hanno consentito.

Fulco Pratesi, già cacciatore, cofondatore del Wwf Italia di cui oggi è presidente onorario, lo definisce “un cacciatore pentito” portando a riprova della sua tesi un’antica frequentazione e il comune interesse per alcuni progetti di conservazione. E il fatto che Filippo di Edimburgo fu tra i padri fondatori del Wwf internazionale e suo presidente tra il 1981 e il 1996 oltre che presidente emerito fino alla morte. Fatte le debite differenze, il percorso dei due ha dei tratti in comune.

Le due anime del Wwf

Pratesi, e con lui il Wwf italiano, è però arrivato alla demonizzazione della caccia tout court. Un percorso che invece non ha seguito il Wwf internazionale che, anzi, limita la sua contrarietà alle sole attività in grado di mettere in pericolo la sopravvivenza delle specie cacciate e non “sostiene” la caccia agli animali ridotti a meri portatori di trofeo. Aprendo quindi allo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali in un’ottica generale di conservazione.

Non bisogna necessariamente essere degli esegeti per capire che si tratta di posizioni molto differenti. Pratesi è libero di rinnegare il suo passato di cacciatore, di rifiutarsi di uccidere addirittura le zanzare, di proporre il paradosso di non costruire più cimiteri e di non fare la doccia, come ha dichiarato in una recente intervista al Corriere della Sera, ma la sua e quella del Wwf italiano è una posizione addirittura eretica se guardiamo al movimento ambientalista che si riconosce nel World wide fund for nature; vide la luce nel 1961, proprio negli anni in cui il principe Filippo – cui si dice avessero riservato il soprannome di Trigger happy Prince – cacciava tigri in India e altri grandi mammiferi altrove.

A lui è addirittura dedicato il più alto premio di conservazione del Wwf, il Duke of Edinburgh conservation award, che riconosce i risultati più significativi nel campo della protezione dell’ambiente. Non va inoltre dimenticato che, al momento della morte, il principe era anche patron della British association for shooting and conservation.

Il principe Filippo

Il tema se Filippo fosse ancora un praticante della caccia o meno non mi appassiona. Certo, vederlo con la doppietta imbracciata a oltre 80 anni e osservare il feretro trasportato dal suo vecchio Defender verde mi ha fatto piacere, non posso negarlo. Ma andare a cercare sponsor, testimonial e idoli tra coloro che contano non credo sia proficuo. Tirare per la giacchetta chi non può più rispondere e forse mai l’avrebbe fatto per rispetto del ruolo istituzionale non è utile e lascio ad altri questa attività. Sono energie spese male.

Mi rendo conto però di quanto il confronto con coloro che combattono la liceità della caccia sia serrato. Pochi giorni prima di chiudere questo numero ho ricevuto il comunicato stampa del Movimento politico Ora – Rispetto per tutti gli animali che propone cinque referendum in materia animalista e ambientale. Tra questi se ne contano due finalizzati all’abolizione della caccia.

Ebbene, nel testo del comunicato è scritto che “I nostri veri […] nemici sono i cacciatori” denotando un metodo, un approccio, un’aggressività e un’arroganza nei confronti del mondo venatorio che questo generalmente non riversa nei confronti dell’universo ambientalista, animalista, abrogazionista, proibizionista eccetera. Noi non abbiamo nemici ma avversari. Perché riteniamo che le opinioni avverse alle nostre si combattano con la dialettica e con idee più forti e documentate scientificamente. È quindi fondamentale continuare a insistere sulla formazione del cacciatore e sulla strategia con la quale esporsi al mondo. Non andiamo alla ricerca di idoli; piuttosto, concentriamo la nostra attenzione sul modello di conservazione che intendiamo proporre.

Matteo Brogi