Editoriale
Il grande cuore dei cacciatori
Mentre scrivo queste note la Nazione sta ancora combattendo per il contenimento dei contagi da coronavirus e per fermare la progressione della malattia. Le ultime settimane sono state drammatiche. Il conto serale di deceduti e positivi è stata la realtà con la quale ci siamo dovuti confrontare. La caccia, la nostra passione, è diventato un esercizio della mente per uscire dall’angustia delle quattro mura cui siamo stati confinati da decreti e senso di responsabilità. Però non abbiamo smesso di sognare perché la speranza è la nostra benzina, il carburante che ci permette di guardare oltre il contingente e immaginare un nuovo futuro. Perché sì, questa maledetta epidemia lascerà tanti lutti e imporrà nuove abitudini, però prima o poi recupereremo una qualche forma di normalità e dovremo farci trovare pronti. Più poveri certo – e non parlo solo di risorse economiche – ma anche più consapevoli.
Le limitazioni che hanno riguardato la caccia avranno conseguenze sulla prossima annata venatoria. Non abbiamo ancora dati per identificarle ma abbiamo fatto uno sforzo di immaginazione per cercare di prevederle. La gestione faunistica opera tutto l’anno ed è impensabile che il lockdown non faccia sentire i suoi effetti. L’inchiesta di apertura di questo numero di Caccia Magazine cerca proprio di prefigurare il futuro della caccia.
Di questo ultimo mese di riflessioni, spesso inconcludenti, voglio prendere il buono che c’è stato. Mi riferisco allo sforzo dei cacciatori che si sono impegnati in prima persona, ciascuno da casa propria, a fare quello che gli riesce meglio: partecipare alla vita della propria comunità locale con generosità. Si sono organizzati tutti: dalle associazioni venatorie nazionali alle sezioni locali, dagli enti di gestione alle squadre di cinghialai, dai singoli ai gruppi nati e cresciuti nei social media. In questa gara di solidarietà sono stati raccolti fondi e sangue, sono state donate ore di lavoro per combattere il virus: il denaro è stato destinato a quei presidi di cui tanto si è sentita la mancanza e a finanziare la ricerca, il volontariato si è concentrato nel dare assistenza a chi è rimasto isolato dal mondo, impedito per età o condizione sanitaria a espletare quelle azioni quotidiane che nessuno credeva fossero una routine da riconquistare.
Tra piccole e grandi operazioni di solidarietà dei cacciatori, il nostro mondo ha riversato un flusso di denaro nelle casse della varie Agenzie in prima linea nella gestione dell’emergenza. Questo flusso di denaro è quantificabile grazie al contributo di Una onlus, che ha mantenuto una contabilità degli sforzi di tutti noi. Il totale è in continuo aggiornamento ed è consultabile sul sito dell’associazione. Di solito questi dati non si sbandierano ma, in periodi eccezionali, diventa utile farlo. Non per questioni di marketing, sia chiaro, ma perché tutti gli atteggiamenti virtuosi portano nuovi frutti e rischiarano le tenebre. Per una volta della caccia non si parla per demonizzarla, per una volta i cacciatori non sono stati i capri espiatori di un popolo alla costante ricerca di un colpevole.
A guardare l’altro lato della barricata, quello delle associazioni ambientaliste estreme, si potrebbe riassumere il loro impegno con un lapidario “non pervenuto”. Si tratta forse di un’affermazione che qualcuno potrà giudicare ingenerosa – non sono mancate le eccezioni locali – ma l’attivismo del mondo venatorio è stato tutt’altra cosa. Corale, diffuso, istintivo. Un’occasione per dimostrare che la grande famiglia dei cacciatori italiani sarà pure litigiosa ma, al momento del bisogno, sa stringersi sui valori fondamentali e dimostrare l’umanità che contraddistingue il suo sentire. Se da un’esperienza come questa si può trarre un bilancio positivo, ebbene il nostro comune sentire può davvero essere un esempio per l’Italia che contribuiremo a ricostruire.
Matteo Brogi