Editoriale
L’onda lunga del referendum
Tra i nemici più infidi che la caccia deve affrontare c’è l’affermarsi di nuove filosofie che fanno presa su parte dell’opinione pubblica semplicemente perché vengono presentate come buone e virtuose. Fino a diventare una sorta di religione pagana, in contrapposizione a quella teocentrica che ha dominato gli ultimi millenni. Oggi non è più l’ispirazione alle Sacre Scritture a guidare le azioni dei più ma generici buoni sentimenti senza alcuna ispirazione che sia superiore alla nostra modesta visione immanente. Non è una questione religiosa, a mio avviso, ma spirituale. Non si tratta di essere cristiani – o ebrei, musulmani – quanto di possedere o meno una visione che ispiri l’agire a un bene supremo e non meramente al qui e ora.
Indugiavo su queste riflessioni nei giorni scorsi dopo aver osservato un adesivo su un semaforo. Vi campeggiava la scritta “Libertà per i prigionieri non umani”. A rafforzare il concetto, il disegno stilizzato di una mucca dietro le sbarre di una prigione. Una mucca, sì, è l’animale prescelto dal Movimento antispecista per denunciare lo sfruttamento dell’uomo nei confronti del mondo animale.
Di antispecismo ho già parlato: si tratta di un movimento che si oppone alla convinzione secondo cui la specie umana è superiore sostenendo che quindi l’essere umano non può disporre né della vita né della libertà delle altre. È un movimento che si colloca all’interno della visione filosofica del biocentrismo, di cui è conseguenza, anch’essa nata negli anni Settanta del secolo scorso, secondo cui l’uomo è solo uno degli elementi dell’universo. E, a giudicare dalle azioni dei suoi seguaci, forse addirittura il meno importante. Esso afferma che tutti gli esseri viventi hanno “lo stesso diritto a esistere, a svilupparsi e a esprimersi con autonomia” e rifiuta pertanto tanto il teocentrismo quanto l’antropocentrismo spingendo piuttosto su concetti come interazione, co-evoluzione, non discriminazione tra le specie.
A rafforzare il concetto, nel momento del divampare delle solite polemiche che accompagnano l’apertura della caccia, ho letto sul Fatto quotidiano che “in una società sana, in equilibrio e armonia con la natura, non ci sarebbe bisogno di nessuna iniziativa referendaria contro abomini come la caccia, la vivisezione, gli allevamenti intensivi, gli zoo, i circhi, i delfinari e simili degenerazioni del nostro rapporto con il resto degli esseri viventi”. La caccia, appunto.
Tutti i progetti che mirano a contrastare l’attività venatoria sulla base di queste nuove filosofie (la definizione di “società sana” è il punto) sono inquietanti. Mi spiego meglio: ho il massimo rispetto per chi aborrisce l’uccisione di qualsiasi essere e viva coerentemente. Il mio bersaglio non è il vegetariano che agisce con convinzione profonda quanto piuttosto chi tenta di decostruire la nozione di umanità per eliminare, a livello intellettuale, il confine tra uomo e animale. Sono inquietanti le filosofie che tentano di imporre all’intera comunità, attraverso l’obbligo e il divieto, regole politiche e morali basate non sulla legge naturale accessibile a tutti attraverso la ragione o valori spirituali condivisi ma sull’ideologia.
Parliamo di un processo comune a tutte le manifestazioni totalitarie, la vittoria assoluta di un razionalismo nichilista e misantropico che ricorda tristissime pagine della storia del Novecento. Come definire altrimenti l’ossessione della cancel culture che contraddistingue i nostri giorni? Le sue prossime vittime potremmo essere noi, appassionati di caccia e – più o meno incidentalmente – di armi. Come si dice in questi casi, è sempre chi impugna l’arma o esegue un prelievo a caccia che definisce lo strumento, che in sé non ha e non può avere caratteri morali, ancor meno negativi. Ma questo, per alcuni, non conta.
In merito ai quesiti referendari, nella loro formulazione non posso che osservare ancora una volta come siano basati su ignoranza, pressappochismo e una visione confusa dell’ambiente e della sua protezione. Se mai raggiungessero lo scopo, ci lascerebbero un ambiente impoverito, alla mercé di chi non ha scrupoli. Vanno quindi contrastati anche perché sono lo strumento attualmente impiegato per soddisfare il morboso desiderio di vederci inginocchiati davanti all’altare di una nuova religione atea da parte di chi non ci ama. Confido nell’esempio che sapremo dare e nelle persone che ancora pensano, e non mancano, perché anche stavolta il buonsenso prevalga.
Matteo Brogi