Caccia e coefficiente balistico

coefficiente balistico
© Matteo Brogi

Il coefficiente balistico incide sulla traiettoria delle munizioni, ma alle distanze canoniche una differenza di pochi punti è impercettibile.

Quanto sarebbe più semplice se al posto di un’arma da fuoco utilizzassimo un futuristico attrezzo a raggio laser: perfettamente teso, insensibile al vento e il cui proietto arriva sul bersaglio con la velocità della luce. Invece dobbiamo convivere con un proiettile di struttura complessa, che compie una traiettoria curva su entrambi gli assi cartesiani e lo fa pure con andamento alterno. Infatti l’effetto della caduta è invariabile (almeno per quella cartuccia). In fondo si basa su questioni di fisica pura e semplice: peso, velocità, coefficiente di forma dell’ogiva (coefficiente balistico) e pochissime variabili. Lo spostamento laterale invece è assolutamente mutevole, assoggettato alle volubili intenzioni di Eolo.

La traiettoria che compie una palla dal momento in cui si stacca dalla volata a quello in cui raggiunge il bersaglio è quanto di più importante ci sia nella balistica pratica venatoria: se riusciremo a prevedere tutte le variabili e annullarle, piazzeremo perfettamente il colpo. E quando riusciamo a farlo tutto il resto sarà in discesa.

Il senso dei calcoli

Quando esce dalla volata, la palla comincia a perdere velocità. E questo è un fatto. La conseguenza pura e semplice è che da quel momento inizia ad andare verso il basso per via di due effetti fisici: la costante perdita di velocità, influenzata dal coefficiente balistico, e l’attrazione della forza di gravità (e qui c’entra l’angolo di sito). Il primo punto è piuttosto importante per un motivo semplice, comprensibile con un esempio: se taro la carabina a 200 metri, a 100 la palla impatterà 6-7 centimetri sopra il punto mirato mentre a 150 metri lo farà di 9-10 cm. Questo non vuol dire che la palla vada in alto (altrimenti vorrebbe dire che l’ogiva dovrebbe prendere velocità, e ciò è impossibile): è solo una coincidenza della curva. In pratica, perché la palla possa arrivare a destinazione corretta a 200 metri è necessaria un’ulteriore correzione.

Se avessi tarato la carabina a 100 metri, la palla sarebbe andata in basso a 150 e ancora più in basso a 200 metri. Se si considera anche l’altezza dell’ottica rispetto all’asse della canna, il punto d’impatto tra i 50 e i 200 metri sarà quasi coincidente. Bisogna quindi porre molta attenzione: se il selvatico cui spariamo sarà molto vicino, tra i 30 e i 50 metri, possiamo tranquillamente mirare dove vogliamo che la palla vada a impattare senza fare calcoli. Ma le cose si complicano quando la traiettoria si allunga oltre i 200 metri. Negli anni ho elaborato e verificato una tabella balistica da utilizzare come spunto di riflessione sulla caduta: riguarda la carica a lungo testata in una carabina .300 Weatherby Magnum che spedisce una Barnes Lrx da 175 grani (.508 il coefficiente balistico dichiarato) a 1.020 m/s (carica un po’ sopra le righe ma decisamente funzionale).

La velocità cala

La velocità cala piuttosto drasticamente: nonostante che sia stellare alla volata, a 400 metri è equivalente a quella di un .308 Winchester alla bocca. Quindi, a seconda del punto di vista: se è sicuramente vero che un .300 Weatherby è letale su un cervo a 400 metri, se ne deduce che a una distanza più consona (diciamo 150 metri) lo è altrettanto il più mite e preciso .308 Winchester. È chiaro che gli amanti dei magnum hanno le loro ragioni, ma anche chi preferisce i calibri più morbidi, soprattutto se spara entro i 200 metri, è tutt’altro che sprovveduto.

Con un azzeramento a 200 metri si ha un calo (teorico) di 16 centimetri a 300 metri, di 46 centimetri a 400 metri e di 93 centimetri a 500 metri. 93 centimetri sono quasi un metro: senza una corretta compensazione della traiettoria si rischia una sonora padella o il ferimento del capo. Questo fenomeno va avanti in maniera esponenziale: si pensi che a 1.000 metri (si parla di balistica, non di caccia) il calo si aggira intorno ai 9 metri.

Una spiegazione per tutto

Nella teoria, il fenomeno del calo è abbastanza ben quantificabile e prevedibile a patto di avere a disposizione tutti i dati necessari (e corretti): calibro e peso della palla (facile), velocità (misurabile), ‘altezza dell’ottica rispetto all’asse della canna (misurabile), coefficiente balistico dell’ogiva. Quest’ultimo dato, assolutamente indispensabile, è molto simile al coefficiente aerodinamico delle vetture (il cosiddetto Cx) ed è piuttosto complicato da calcolare. Quindi di solito ci si affida ai dati forniti dalle aziende che nella maggior parte dei casi sono abbastanza ottimistici. Bisogna infatti tenere presente che, visto che è un dato ricavato empiricamente dalla perdita di velocità alle varie distanze, è abbastanza facile avere delle discrepanze. Tanto più che sulle distanze canoniche (entro i 300 metri) una differenza di pochi punti nel coefficiente balistico è abbastanza risibile se non addirittura impercettibile.

Ancora un esempio

Altro esempio pratico: se spinte alla medesima velocità, tra una palla con un coefficiente balistico di .500 e una con un coefficiente balistico di .520 ci saranno circa 5 millimetri di differenza nella traiettoria (e quindi nel punto di impatto) a 300 metri. Alla stessa distanza, una carabina da caccia molto precisa riesce a esprimersi in rosate da 1/3 di moa e quindi fustella gruppi da 3 centimetri. Le rosate teoriche tra le due ogive quindi sarebbero ancora ampiamente sovrapposte. È per questo che è veramente difficile capire se il dato del coefficiente balistico è realistico o ottimistico. Il coefficiente balistico è in realtà influenzato anche dalla velocità d’uscita della palla: più è elevata e più cresce, in quanto cambia la curva di decelerazione dell’ogiva. Tutto ciò ha comunque senso solo alle distanze veramente rilevanti: oltre i 500 metri, per intenderci, e dunque non a caccia.

Ritorno alla tabella balistica. Vista la tensione della combinazione calibro-carica, ho optato per un azzeramento leggermente superiore ai 200 metri (intorno ai 220-230 metri). Ciò semplicemente perché, alle brutte, mi consente di colpire ancora molto bene l’animale entro i 250-260 metri senza apportare nessuna correzione. Questa caratteristica mi fa stare molto più tranquillo nel caso in cui dovessi ribattere un selvatico attinto ma che si sta allontanando ferito.

Teoria e pratica

Così si spiegano i soli 3 click necessari per passare dai 200 ai 300 metri. Nonostante questo, si vede che già a 400 metri questo vantaggio viene recuperato (i click teorici e quelli pratici coincidono) e a 500 metri bisogna invece darne uno in più di quelli preventivati. A dimostrazione del discorso fatto poc’anzi: la differenza c’è ed è reale, ma dal punto di vista pratico è veramente poca (un click a 500 metri è in fondo poco, corrisponde a circa 5 centimetri). Segnala però la necessarietà di verificare personalmente lo scostamento tra teoria e pratica.

Un fattore abbastanza difficile da calcolare (anche se i migliori programmi balistici lo prevedono) è l’altitudine: con la rarefazione dell’aria infatti diminuisce la resistenza che l’ogiva subisce al suo attraversamento. Può sembrare poco, ma per i cacciatori di montagna è un parametro fondamentale: se si caccia a quote veramente elevate può essere fonte di sonore padelle (gli animali vengono volati).

Anche altri sono i fattori che incidono, come umidità e pressione atmosferica, ma lo fanno in maniera insignificante nella pratica venatoria.

Tabella

Distanza (metri)

Velocità (m/s)

Energia (Joule)

Traiettoria (centimetri)

Click teorici (1/3 di moa)

Click reali (1/3 di moa

Tempo di volo (s)

Drift (cm) con vento a 7 m/s

0

1.020

5.897

-4

-4

0

0

200

886

4.447

0

0

0,21

6,4

300

824

3.845

-16

+5

+3

0,32

15

400

764

3.310

-46

+11

+11

0,45

27

500

707

2.836

-93

+18

+19

0,59

44

Tabella balistica di una munizione Barnes Lrx da 175 grani calibro .300 Weatherby Magnum

A cura di Obora Hunting Academy “Danilo Liboi”

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