Le condizioni di visibilità nella caccia di selezione sono fondamentali. Nebbia, nuvole basse, atmosfera limpida presentano criticità che possono influenzare l’azione di caccia.
Per la caccia di selezione una visibilità buona, o almeno discreta, è considerata da molti uno dei requisiti necessari, in particolare per la caccia di selezione alla cerca. Naturalmente è indubbio che una giornata di nebbia fissa e persistente, che limiti l’azione a poche decine di metri, impedisca di per sé anche solo un avvistamento a distanza del selvatico e a maggior ragione un tiro in sicurezza. L’unica forma di caccia che può salvarsi, in tali circostanze, è la cerca nel bosco, nella quale l’obiettivo è di norma quello di approcciare il selvatico a distanze brevi o brevissime, con l’ulteriore vantaggio dato dal terreno umido e quindi meno rumoroso in fase di avvicinamento. Tuttavia, come sempre, la verità sta nel mezzo.
Non di rado una nebbia alternata a schiarite costituisce un’autentica arma in più per il cacciatore e, soprattutto se anche il vento è favorevole, consente avvicinamenti altrimenti impensabili in aree prive di ostacoli naturali. Viceversa, giornate totalmente limpide e serene possono creare difficoltà, soprattutto negli ambienti aperti. Non dimentichiamo che se siamo in grado di osservare un selvatico vale anche l’opposto.
Le brevi cronache che seguono riassumono due situazioni completamente opposte che confermano quanto detto, con il solo filo conduttore di una fortunata conclusione dell’azione di caccia.
L’emozione dell’apertura della caccia di selezione in vetta
Primo giorno di caccia al camoscio. L’alba che attendo da quasi un anno. Ho il piano di tiro per una femmina adulta e non sto nella pelle. L’appuntamento è a casa di Giulio molto prima del necessario, ma come sempre la voglia di salire in quota alla ricerca dei diavoli neri è tanta. Il tempo sembrerebbe buono, ma il cielo si vela rapidamente, rendendomi inquieto.
Percorriamo in auto una decina di chilometri fino al piccolo borgo di case addormentate, da cui parte una ripida mulattiera. In poco meno di un’ora di salita in bosco raggiungiamo la malga e da qui proseguiamo nel bosco di latifoglie, che prima si scioglie lentamente in macchie di ontani e pini mughi, poi, finalmente, si apre verso le pietraie.
Conosco bene il punto in cui si esce dal bosco. Qui ho partecipato a diversi piacevoli censimenti estivi. Ma questa volta temo che mi potrò scordare di avvistare camosci a distanza: è appena grigio, ma una fitta coltre di nebbia ci avvolge all’istante. Ci sediamo a bere un sorso, un po’ scoraggiati: ricordo con disappunto l’apertura dell’anno passato, letteralmente sprecata in un nebbione epocale.
Immersi in un sipario bianco
Ormai, dopo due ore di marcia, tanto vale giocarsela. Giulio e Serafino mi salutano e decidono di tirare dritto verso il laghetto incassato più in alto, alla ricerca del loro maschio, sperando in un miglioramento del meteo. Io proseguirò in pari per qualche centinaio di metri, attraverserò il piccolo rio che scende dal lago per portarmi in un lungo e stretto vallone laterale, teatro di alcuni fortunati incontri in passato.
Ma la nebbia non cede. Giunto ai piedi del piccolo colletto erboso che mi dovrebbe dare una buona panoramica sul vallone, la visibilità è meno di venti metri. Mi fermo su una grossa roccia, faccio rifornimento di acqua,e attendo. Comincio a convincermi di aver percepito qualche cenno di schiarita, ma è solo un’illusione dettata dall’impazienza e rimango avvolto in questa ovatta bianca.
Dopo almeno un’ora, uno squarcio nella nebbia mi permette quantomeno di vedere chiaramente il colle. Parto quasi di corsa e lo raggiungo in pochi minuti. Anche il vallone ora è visibile, per cui mi siedo e inizio a scandagliare con il binocolo. Speravo di trovare già qui qualche segno di vita; è un buon punto di passaggio dei camosci, in cui spesso ho visto gruppi piuttosto numerosi di femmine e piccoli. Ricordo una bella cacciata di più di dieci anni fa in Alta Valle Susa, in cui l’aiuto provvidenziale della nebbia mi consentì di prelevare una bella capra avvicinandola a meno di 80 metri. Ma purtroppo oggi tutto tace e le rade macchie di rododendri sono desolatamente deserte.
All’improvviso due camosci
All’improvviso, un inconfondibile fischio dietro di me mi fa sobbalzare. Mi volto appena in tempo per vedere due camosci che tagliano in discesa alla mia sinistra, guardando insistentemente indietro. Butto giù il lungo e li inquadro appena fanno una pausa, ma si tratta di un giovane maschio e un animale che non riesco a leggere bene, probabilmente uno jährling piuttosto promettente. Suppongo che siano stati mossi da Giulio e Serafino durante la loro salita.
Nulla di fatto, ma poco male: la caccia è appena iniziata. Non faccio in tempo a formulare il pensiero e la cappa di nebbia si impadronisce di nuovo della valle, accecandomi letteralmente. Proseguire oltre non avrebbe senso, anche perché per arrivare alle piccole cenge erbose dove spero di trovare i camosci dovrei attraversare un largo costone di sfasciumi e sarebbe assolutamente impossibile muovermi senza far rotolare un bel po’ di pietre, allontanando ogni eventuale animale in zona.
Sono le nove passate, ma so per esperienza che, in situazioni meteo come questa, anche gli animali tendono a essere un po’ disorientati e a muoversi per tutta la giornata. Attendo ancora, godendomi una piccola colazione a base di mocetta di cervo e toma d’alpeggio.
Una capra a sorpresa
Alle dieci, non avendo sentito alcuna fucilata dalla zona in cui dovrebbero esserci Giulio e Serafino, inizio a pensare di dover dare forfait. Ora per la verità ho una visibilità che sfiora i cento metri, ma è troppo poco per poter pensare di individuare qualche selvatico.
Improvvisamente, alla mia destra, dove un ripido pratino termina su una parete quasi verticale, rotolano un paio di sassi. Poi più nulla. E poi, ancora, un distinto rumore di ghiaia. Lentamente, sposto il binocolo verso l’alto appena sopra di me, individuando immediatamente tre grosse sagome scure che tagliano in pari verso il vallone. Tre camosci che sfilano senza avermi minimamente avvertito. Tirare fuori il lungo è fuori discussione, sicuramente li metterei in allarme e poi mi rendo conto di avere solo pochi istanti.
Sposto appena lo zaino, appoggio la carabina, spingo gli ingrandimenti a 12 e inquadro il trenino di camosci. Decido che tirerò solo se sarò assolutamente certo di leggere bene gli animali. Ho la fortuna di vedere i camosci di profilo, e mi accorgo subito della scarsissima uncinatura dei trofei e dell’assenza di pennello. Inoltre non vedo capretti. Non è ancora sufficiente, ma sono già buoni indizi. Mi accorgo che l’ultimo camoscio della fila ha un trofeo leggermente migliore. Nel momento esatto in cui lo inquadro, l’animale si ferma e inizia a urinare nella posizione, assolutamente inconfondibile, di una femmina, decidendo inconsapevolmente il proprio destino.
Un boato nella nebbia
Il boato tondo della Blaser R8 in 7×64 viene quasi totalmente assorbito dalla nebbia. Riesco a restare in punteria e vedo la capra compiere un balzo in avanti e precedere le altre due in una folle corsa, dopodiché le perdo tutte di vista nel momento in cui girano verso valle dietro una aguzza guglia di roccia. Decido di attendere qualche minuto, il che si rivela una scelta giusta, perché in un attimo di tregua della nebbia, avvisto i camosci che attraversano in fondo al vallone, allontanandosi. Ma sono solo due.
Pochi minuti, il tempo di smaltire l’adrenalina, e vado al recupero. Sono quasi certo di trovare il camoscio alla base delle roccia che stava aggirando. Ripercorrendo un paio di volte a zig zag lo stretto canalino, intravedo una piccola gobba bruna nell’erba autunnale, che si rivela essere la schiena della capra che giace un po’ più in alto di quanto l’avevo stimata, apparendo quasi addormentata. È una giovane femmina di tre anni, dal trofeo piuttosto stretto, ma ciò che più importa non accompagnata e priva di latte, il che costituisce un prelievo corretto. Prelievo ed emozioni per i quali devo paradossalmente ringraziare una brutta giornata di nebbia.
Caccia di selezione al camoscio toccando il cielo
Quasi due mesi dopo, sempre a camosci, questa volta alla ricerca di uno jährling. Siamo in una zona di bassa valle, intorno ai 1.400 metri, dove Giulio possiede una bellissima baita in mezzo ai camosci e dove tutti gli anni ci concediamo una giornata di caccia lontano da tutto e da tutti. Ma la situazione ambientale è completamente diversa.
Sono i primi di novembre e le temperature iniziano a farsi rigide anche qui. Le pietraie in ombra hanno un sottile strato di ghiaccio che rende difficile e scivoloso ogni passo. Non c’è una nuvola e, complice il freddo, l’aria è assolutamente tersa e cristallina. Nei colori rosati dell’alba si distinguono le montagne della valle che considero casa mia: la Lera, la Torre d’Ovarda e la Croce Rossa. Più lontano, lo sguardo spazia per decine di chilometri e arriva fino al Gran Paradiso sotto un cielo azzurro che fa quasi male agli occhi.
Ma l’albeggio non è stato fruttuoso. Risalendo verso cresta abbiamo visto un bel po’ di camosci, osservati a lungo e attentamente, ma nulla di prelevabile; alcuni maschi corpulenti già in preda alle prima frenesie amorose, diverse femmine, accompagnate da capretti e alcuni giovani, ma nessun binello. Strano, perché Giulio ne ha avvistati alcuni solo pochi giorni fa.
Continuiamo la salita e giungiamo in cresta, dove il panorama è, se possibile, ancora più bello; le valli laterali, la immensa pianura di Torino e più in là le colline di Superga fino a intuire alcune cime del Cuneese, in direzione del mare.
Gli animali sono a non più di cento metri
Ci fermiamo in mezzo ad alcune enormi rocce ferrose, che costituiscono nello stesso tempo un buon riparo e un valido appoggio in caso di tiro. Ci muoviamo con molta circospezione e sporgendoci con cautela dalle rocce vediamo immediatamente cinque animali che pascolano a non più di cento metri. Già dal binocolo ci accorgiamo che sono due adulti e tre animali più minuti; potrebbe davvero esserci uno jährling.
L’appoggio dello zaino e del lungo su queste pietre scabrose e appuntite è tutt’altro che semplice, ma dopo qualche minuto di osservazione giungo alla conclusione che sono due femmine e tre piccoli; uno dei capretti è indubbiamente un po’ più massiccio, ma senza l’aspetto di un camoscio di un anno compiuto. La prima tentazione è di tornare in baita e riprovare nel pomeriggio, ma continuiamo a binocolare e dopo un po’ individuiamo una dozzina di macchie brune nelle pietraie sottostanti, a oltre 600 metri; sicuramente altri camosci.
Con lo spektive, complice anche l’aria calda che sale, non sono ben riconoscibili, ma almeno due sono di taglia nettamente inferiore, facendoci ben sperare. Visto l’ambiente circostante, ricco di ostacoli, l’avvicinamento sarebbe anche fattibile. Resta il problema di come muoverci; se iniziassimo ad avvicinarci, sicuramente metteremmo in allarme gli animali più vicini, con il concreto rischio, vista la visibilità ad amplissimo raggio, che mandino via anche il branco più lontano.
Ormai è mattina inoltrata, per cui speriamo che i cinque camosci davanti a noi smettano di pascolare e si allontanino per cercare l’ombra. Ma nulla di tutto questo: le capre i piccoli, si avvicinano l’un l’altro e si coricano davanti a noi. Non poteva andare peggio.
Lo jährling fantasma
Decido di tentare un azzardo. Inizio a far rotolare dei piccoli sassi e a battere i piedi per terra, sperando, che i camosci, allarmati da questi rumori, ma non spaventati, si allontanino senza creare troppo scompiglio. Nulla da fare. Forse anche a causa del vento buono, non si scompongono e restano coricati. Provo a rischiare ancora di più e salgo sulla roccia e comincio a osservare i camosci col binocolo, in pieno sole, rendendomi ben visibile.
Le due capre drizzano immediatamente le orecchie e si alzano, imitate dai capretti. Iniziano subito a sfilare verso valle, ma nel momento in cui realizzo con soddisfazione che non mostrano troppo nervosismo (non hanno fischiato e gli animali non sono partiti di corsa) un sesto animale compare a sinistra, dietro l’ultimo capretto; un camoscio di taglia intermedia, esile, piuttosto scuro, due piccoli uncini sotto le orecchie. In breve, sicuramente uno jährling. Sicuramente è stato coricato tutto questo tempo dietro una roccia e ora si è alzato per seguire gli altri.
Lo mostro freneticamente a Giulio e nel frattempo prendo la carabina, cerco un appoggio stabile e seguo il trenino di camosci. Fortunatamente, mentre le due femmine sono già sparite dietro un dosso, il binello continua a essere l’ultimo della fila e riesco a inquadrarlo subito. Quando è perfettamente a cartolina, un mio breve fischio lo ferma e quasi immediatamente la fucilata lo fa rotolare. Per un attimo non lo vedo più, ma poi scorgo uno zoccolo che si solleva in aria, appena sotto un grosso rododendro. Mi avvicino subito. È una bella jährling femmina, molto scura e sottile, davvero un ottimo risultato ottenuto quasi a mezzogiorno in un ambiente da sogno.
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