Chi pratica la caccia da appostamento fisso deve avere le idee chiare su tante materie compresa la botanica: per un allestimento ottimale alcune essenze arboree e arbustive sono infatti migliori di altre.
La caccia da appostamento fisso richiede un grande impegno gestionale, allo scopo di manutenere al meglio il sito e di migliorarne l’attrattività e la ricettività per l’avifauna. Non sfugge a nessuno che questi obiettivi richiedono investimenti costanti in risorse umane ed economiche, anche se molto dipende dalle condizioni iniziali della struttura e dei dintorni. Se subentriamo ad altro titolare che abbandona anzitempo l’autorizzazione oppure non ne chiede il rinnovo una volta decaduta, possiamo presumere che il capanno e l’intorno siano già in condizioni perlomeno buone, se non perfette.
In tal caso i nostri interventi saranno limitati alla manutenzione e a qualche piccolo ritocco che dipende sempre dalle conoscenze specifiche del titolare dell’appostamento e dal suo gusto estetico. Se invece partiamo da zero con un appostamento nuovo oppure se abbiamo scelto un luogo dove magari un capanno c’era stato in un passato ormai remoto, la mole delle attività da svolgere sarà ben maggiore. Avremo però il vantaggio di modellare il sito un po’ a nostra immagine.
Caccia da appostamento fisso: utili nozioni di botanica
La botanica di base è molto utile a chi pratica la caccia da appostamento che deve infatti saper riconoscere le specie arboree e arbustive principali e la loro consociazione con le diverse specie di ornitofauna. Se si parla di capanni su terraferma, pertanto sostanzialmente rivolti ai turdidi, bisogna rivolgere la prima valutazione alle caratteristiche ambientali e climatiche della zona: tipologia di habitat, altitudine, esposizione (anche ai venti dominanti), indice di piovosità.
Naturalmente un grande aiuto ce lo fornisce la situazione esistente, che dobbiamo saper leggere. Se siamo in collina o bassa montagna e in loco ci sono essenze arboree come roverella (Quercus pubescens), carpino bianco (Carpinus betulus) o nero (Ostria carpinifolia), orniello (Fraxinus ornus), significa che si tratta di un versante termofilo, cioè caldo e soleggiato, con terreno povero e acido; sarà quindi del tutto inadatto alla piantumazione di essenze come la betulla pelosa (Betula pubescens), che richiede terreni paludosi e di torbiera, o il frassino maggiore (Fraxinus excelsior) e il castagno (Castanea sativa) che prediligono terreni freschi e ricchi di humus.
Se sappiamo osservare e abbiamo un minimo di competenza per capire ciò che vediamo, ragioneremo nella stessa maniera nel caso in cui il capanno si trovi più in quota, per esempio su un versante o un poggio più in ombra, magari rivolti a nord o nord-ovest; qua il frassino a quota inferiore e il faggio (Fagus sylvatica) a quota superiore potrebbero farla da padroni; e pertanto qua non piantumeremo mai le essenze idonee alla situazione inversa citata prima.
Capanni in quota
Nei capanni ai turdidi posizionati alle maggiori altitudini, ai margini della foresta appena prima che cominci il prato-pascolo d’alta quota, le essenze arboree dominanti saranno le conifere, soprattutto l’abete rosso (Picea abies) ed eventualmente l’abete bianco (Abies alba), con qualche esemplare isolato di faggio. Si tratta di appostamenti attivi sul passo puro; l’elevata altitudine cui si trovano fa sì che gli uccelli li frequentino per semplici soste nel corso della migrazione, senza però fermarsi nei dintorni troppo a lungo, né tantomeno per svernare. Sono capanni di grande fascino per la posizione spesso spettacolare e panoramica, ma di limitata efficacia nel tempo.
Si consideri inoltre che le latifoglie offrono miglior presa per i passeriformi che intendono posarsi e che pertanto le preferiscono alle aghifoglie, meno attrattive e quindi meno proficue dal punto di vista del capannista. Un’altra differenza sostanziale fra caducifoglie e aghifoglie è data dal fatto che le prime si possono governare a ceduo o fustaia, le seconde solo a fustaia. Le conifere crescono infatti solo dalla punta e le loro ceppaie non ricacciano mai. Ciò significa che una quercia o un faggio capitozzati, magari per motivi di salute, ricacceranno nuovi rami finché ne avranno la forza; pini e abeti trattati in tal modo cessano invece di accrescersi in altezza e non ricacciano alcuna nuova branca vicino al punto di taglio. È superfluo evidenziare che interventi così importanti sulle alberature possono essere compiuti solo dai proprietari o da chi sia stato personalmente autorizzato.
Capanni in pianura
Per gli appostamenti sulla terraferma in pianura va positivamente considerata anche l’alloctona robinia (Robinia pseudoacacia); innanzitutto per la sua amplissima diffusione che la rende pressoché ubiquitaria in gran parte delle regioni; poi perché raggiunge anche altezze considerevoli, perciò congeniali a specie che si posano in alto come sasselli e cesene; infine perché la chioma mai fittissima è ideale per la posa dei volatili e contemporaneamente per il tiro del cacciatore. Si consideri che, per quanto sulle cime si posizionino i famosi secchi che stimolano i volatili a sceglierli per l’appollo, la presenza di una chioma arborea naturale più abbordabile rimane un elemento rilevante per la funzionalità dell’impianto.
Un cenno più dettagliato lo riserviamo a un albero di grande valore venatorio ma anche paesaggistico e botanico, ossia il bagolaro (Celtis australis). Coltivato per l’impiego nelle alberature dei centri abitati e nei parchi urbani, il bagolaro produce delle drupe tondeggianti nerastre a maturazione fortemente appetite da molte specie: bottaccio, merlo, storno, colombaccio, ghiandaia, numerosi piccoli passeriformi. È un’essenza robusta e rustica, in grado di colonizzare senza difficoltà terreni pietrosi, ghiaiosi e asciutti grazie a un apparato radicale che scende molto in profondità (non per nulla, è pure conosciuto come spaccasassi). Il solo difetto che presenta è l’accrescimento piuttosto lento. Tuttavia, decidere di impiantarne qualcuno attorno al capanno è sempre un’ottima idea, sia al piano sia in collina; la sua efficacia ripagherà l’appassionato dell’attesa della sua crescita, la cui durata si può comunque abbreviare mettendo a dimora delle piante già sufficientemente accresciute.
L’edera, un valido supporto
Altro outsider è la notissima edera (Hedera helix), che al capanno è sempre di grande utilità. Le bacche scure e globose, a grappoli, maturano solitamente tra fine autunno e inverno e restano sulla pianta fin quasi a primavera; e si sa come numerose specie di avifauna se ne cibino assai volentieri; l’edera assolve inoltre egregiamente la funzione di rifugio e riparo da freddo e pioggia. Insomma, pur essendo un’essenza parassita che col trascorrere degli anni arreca danni all’albero ospite, l’edera è valido supporto del cacciatore di migratoria e sarebbe insensato tagliarla, almeno finché non lo voglia il proprietario degli alberi infestati.
Caccia da appostamento fisso: uno sguardo più in basso
Più in basso la composizione dello strato è quella in cui il cacciatore sapiente può sbizzarrirsi di più. Le principali essenze baccifere appartengono tutte a questa fascia vegetazionale; sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), ligustro (Ligustrum vulgare), ciavardello (Sorbus torminalis) possono assumere al massimo l’aspetto di alberelli di qualche metro di altezza; sanguinello (Cornus sanguinea), biancospino (Crataegus monogyna) e prugnolo (Prunus spinosa) compongono classicamente le siepi vere e proprie, da quote di pianura fino alla mezza montagna.
Purtroppo queste ultime in grande maggioranza sono state spazzate via dalla meccanizzazione in agricoltura, in particolare nelle aree pianeggiante e pedecollinari; risultano infatti d’ingombro alle manovre dei giganteschi macchinari agricoli e fonte di ombreggiamento e di insetti, inclusi quelli potenzialmente dannosi, per i coltivi. Tuttavia dove ancora resistono le siepi mostrano immediatamente la loro importanza assoluta per l’avifauna. Fungono infatti da rifugio e da fonte di cibo, anche in virtù del fatto che le bacche o drupe prodotte dalle essenze che le formano sono tutte a maturazione tardo estiva-autunnale o persino invernale; in un sol colpo rendono pertanto disponibile cibo e riparo proprio nelle stagioni in cui più occorrono per sopravvivere.
Caccia da appostamento fisso e miglioramenti per l’habitat
In effetti, l’impianto di siepi è azione meritoria che il capannista può compiere per la riqualificazione ambientale in senso lato. Non per nulla, tutti i piani di sviluppo rurale delle Regioni italiane menzionano la ricostituzione di siepi e filari alberati tra gli interventi gestionali finanziabili alle imprese agricole e per i quali le risorse attivabili possono essere tutt’altro che indifferenti. È quanto ci piacerebbe molto che facessero gli Atc invece di gettare denaro nella fornace dei ripopolamenti usa e getta, ma tant’è; pare che non se ne esca.
Fuori d’ogni ipocrisia, l’azione del capannista è certamente guidata dall’obiettivo di accrescere l’efficacia venatoria del sito; tuttavia il beneficio di questa gestione ricade indubbiamente anche sul paesaggio e sulla generale condizione rurale, Si consideri inoltre che la caccia si pratica per pochi mesi, ma che l’habitat se ne giova per tutto l’anno e sostiene la la fauna nel corso del suo intero ciclo vitale.
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