L’apertura si avvicina e impone un bilancio su che cosa sia oggi la caccia con il cane da ferma, su che cosa è stata e su che cosa sarà, in un intreccio di incognite, passione e resilienza.
È una mattina estiva come tante. Siamo nel pieno della stagione dei forasacchi e muovere i cani è problematico. Credo fermamente che i cacciatori siano gli unici che amino l’autunno più dell’estate. Autunno significa possibilità di sganciare i cani senza temere un colpo di calore, significa sparizione dei forasacchi e soprattutto significa apertura. Già, apertura, ma bisogna arrivarci prima e non perdere la fede chiedendosi perché si voglia arrivare proprio lì. Da qualche anno io inizio a chiedermelo.
Caccia con il cane da ferma: cambiamenti
La mia caccia, quella che ho iniziato quasi vent’anni fa, non esiste più e con lei se ne sono andati compagni di caccia e conoscenti con cui si trascorreva qualche mattinata per monti e valli. È cambiato tanto, in alcune zone è cambiato praticamente tutto e io mi ostino a restare attaccata al vecchio come un lenzuolo steso ad asciugare, che sfida il vento trattenuto da una molletta. Sicuramente è un mio problema, ma credo non solo mio.
Qualche giorno fa parlavo con uno dei miei primi compagni di caccia, ci siamo un po’ persi di vista perché lui caccia in un’altra regione, ma la situazione è pressoché identica. Il suo Atc riesce persino a costare più del mio, da lui la situazione della stanziale è discreta grazie alle pernici rosse, ma il ricambio generazionale è minimo.
Facciamo insieme un bilancio e parecchi di coloro che cacciavano con noi se ne sono andati (il Covid ha dato una mano) o hanno appeso il fucile al chiodo. Mi racconta di un giovane cacciatore ventitreenne, l’unico interessato alla caccia con il cane da ferma, tutti gli altri pensano al cinghiale e alla caccia di selezione. Oggi chi caccia con il cane da ferma caccia quasi sempre in solitaria, il compagno di caccia esiste ancora, ma è una figura sempre più rara e non sempre disponibile per tutte le uscite.
Adattarsi alla stanziale
Tornando al divario tra monti e valli, in pianura la situazione della stanziale è meno rosea, del resto il territorio è quello che è, non si possono biasimare quei selvatici che scelgono di vivere altrove. Proprio per questioni di territorio mi sono sempre tenuta un Atc collinare, molto più congeniale al setter inglese, ma il prezzo degli ambiti è salito. È stata una decisione poco popolare, ha scontentato molti e temo non abbia aggiunto introiti alle casse degli Atc. In tanti hanno rinunciato a tenerne più di uno.
Dalle mie parti si mormora che sia il ripopolamento della lepre a rendere le cifre importanti e su questo si potrebbero aprire proposte e riflessioni. Non mi dilungo sul ripensare la gestione faunistica ottimizzando i ripopolamenti, in senso autentico, a sfavore dei lanci.
Ma perché magari non prevedere un Atc à la carte, a seconda di quello che si vuole cacciare? Probabilmente è infattibile perché è difficile controllare il territorio, ma d’altra parte il cacciatore potrebbe scegliere se specializzarsi o meno, potrebbe decidere che cosa fare senza subire decisioni altrui legate esclusivamente a dei bilanci. Non si tratta di piangersi addosso, ma oggi cacciare con il cane da ferma è una scelta che sfiora la follia. Siamo – passatemi il termine – gli sfigati della categoria, se poi abbiamo un inglese e viviamo in zone altamente urbanizzate, siamo degli sfigati di lusso.
Cani in campo: aria di novità
Torniamo ad oggi, che è ancora estate, senza proiettarci nel post apertura. Sono stata in zona C, la stessa zona C che frequentavo prima ancora di prendere la licenza. Il campo è il medesimo e persino il gestore, ma sono cambiati i volti degli utilizzatori e soprattutto sono cambiati i cani. Tra i cacciatori sono sempre di meno quelli che mi avevano visto iniziare e sono sempre di meno i locali. Se la zona è affollata e continua a funzionare, è perché altre realtà simili hanno chiuso, obbligando la gente a spostarsi.
I volti nuovi non sono né vecchi né giovani, si trovano esattamente in quella fascia di età che ha intrapreso la caccia con il cane da ferma quando questa caccia iniziava a sfiorire. Però erano ancora bei tempi e c’era ancora spazio, in senso letterale, per tutti. La riduzione degli spazi e il cambiamento degli ambienti sono evidenziati dalle razze presenti. Oltre alle mie setter, di inglesi c’è solo la cagna del figlio del gestore. È un tripudio di drahthaar, seguiti da kurzhaar e breton e, sorpresa, ci sono anche degli spaniel, springer e cocker. Questa aria di novità, per giunta, è portata da chi fino a un paio di stagioni fa aveva cacciato con il cane da ferma.
Dalla ferma alla cerca
Quei cagnetti toppati mi fanno venire in mente le chiacchierate con un’amica appassionatissima di spaniel: li prepara e li conduce a caccia e in prova e, nel corso della stagione venatoria, fa molte più uscite di me. Non perché abbia più tempo, ma perché lo spaniel dove lo metti sta; la sua gestione sul terreno impegna molto meno di quella di un setter.
A questi cani serve veramente poco per farti divertire a caccia: un pezzettino di terreno, di qualunque foggia, coperto da qualsiasi tipo di vegetazione è un qualsivoglia selvatico di piccole dimensioni. Li puoi usare alla cerca, ma anche per i riporti dal capanno. Che cosa volere di più? Che siano cani ben spendibili lo conferma anche il neo-spanielista che spiega che li puoi mollare praticamente dietro casa, che sono eccellenti nelle aree golenali e che ti fanno divertire un sacco, senza farti ammattire. Questa è la situazione, per lo meno in Pianura Padana.
Più continentali sui terreni di caccia
Ho parlato di scaltrezza, non di opportunità. Se si è alla ricerca di gloriosi momenti venatori, bisogna abbandonare le vecchie abitudini. L’incremento di utilizzo dei cani da ferma continentali, in questa chiave, può essere visto come una sorta di transizione. Ritengo questa affermazione valida sia per il breton, scelto se non altro perché di taglia piccola, sia per i continentali tedeschi. Che cosa fa ricadere la scelta su questi ultimi? Due elementi, l’addestrabilità e la versatilità. Kurzhaar e drahthaar sono indubbiamente cani addestrabili. Ne vedo almeno un paio, a stagione chiusa, galoppicchiare lungo stradelli sterrati stando a pochi metri dal proprietario. Provate ad ottenere lo stesso comportamento da un pointer!
Poi, seconda carta vincente, la versatilità. Possono essere lunghi o corti a seconda del contesto e fanno tutto, dalla ferma al beccaccino alla traccia del cinghiale. Come detto, la situazione della stanziale cacciabile con il cane da ferma non sempre è rosea. Un tedesco di mole permette di divertirsi anche agli acquatici e può assisterci nella caccia di selezione. Se l’aumento degli ungulati in aree collinari e montane è stato lento e lineare, la loro comparsa in pianura sembra essersi realizzata nell’arco di una notte. Prima non c’erano e adesso sono qui, dove creano problemi alla circolazione e alle coltivazioni.
Dai fagiani agli ungulati
Ed è proprio a causa di questi problemi che Parchi e Atc hanno organizzato, con modalità differenti da luogo a luogo, i piani di abbattimento dei cinghiali. Se negli anni Sessanta si usciva di casa a piedi per andare a caccia di starne e fagiani, oggi è il cinghiale, talvolta insieme al capriolo, a essere il nostro dirimpettaio e chi ha la caccia nel sangue non declina la sfida. La caccia al cinghiale in squadra, con tutto il suo retroterra culturale, non è praticabile ovunque e, dove non si può, si interviene con la girata o più frequentemente con la caccia da appostamento.
Gli appassionati della caccia con il cane da ferma oggi sono le cenerentole dell’ars venandi. Vanno avanti per passione senza temere giornate incolori ma, se la loro passione si riversa sui continentali tedeschi, si sentono spesso inclini anche alla pratica della caccia di selezione, facendosi affiancare dai loro cani (che abilitano) per i recuperi. Non è questa la tradizione della caccia in Italia, ma lo sta diventando, in un’ottica di gestione e di resilienza: non c’è nulla di male nell’adattarsi alle circostanze e nel dare vita a nuove tradizioni.
I cacciatori con il cane da ferma puristi
Però ci sono anche gli irriducibili, quelli che non si fanno attirare dalle sirene della caccia agli ungulati, praticabile anche nel periodo estivo. Solitamente possiedono un cane da ferma inglese, in qualche caso un bracco o uno spinone, e sono essi stessi consapevoli di essere una specie sull’orlo dell’estinzione. Potrebbero forse essere salvati da una migliore gestione faunistica, dalla riqualificazione del territorio, dalla cinofilia venatoria agonistica. Potrebbero essere salvati sì, ma sembra esserci uno stallo.
I codiaioli puri, che continuano ad amare follemente la caccia con il cane da ferma, annaspano per stare a galla eppure ci provano con caparbietà. Tra di loro c’è chi ha l’immensa fortuna di vivere in Zona Alpi dove è possibile godere ancora di selvaggina autentica, anche se a piccole gocce. E gli altri? Gli altri si inventano qualcosa. I fedelissimi alla starna e al fagiano affiancano alle uscite in Atc qualche giornata in azienda, se non altro per far contento il cane, ma la maggioranza degli appassionati di cani da ferma si è convertita alla beccaccia. Negli ultimi anni ha guadagnato popolarità anche il beccaccino; ho iniziato a interessarmene in passato, da buona lettrice e allieva di Griziotti.
Beccaccia: il selvatico di tendenza
Però, nonostante l’incremento di fotografie di cani in risaia postate sui social, il vero selvatico di tendenza resta la regina del bosco. Credo si sia fatta di una necessità una passione. Si sente ripetere spesso che la beccaccia è habitat e gli habitat adatti ci sono. È una migratrice ed è una zingara, resta se il territorio le è consono e il clima le aggrada. In caso contrario si sposta più a sud, rendendo felici altri cacciatori. È un animale duro da cacciare e, forse, proprio per questo la sua caccia è esaltante. È autentica e fa divertire il cane, in condizioni faunistico-venatorie ideali probabilmente non sarebbe il selvatico di prima scelta, ma le condizioni in cui il cacciatore opera oggi sono molto reali e poco ideali.
Nelle scorse settimane mi sono interfacciata con cacciatori americani, canadesi e norvegesi per capire come vivono e interpretano la caccia alla beccaccia ed è stato un tuffo al cuore, anzi, un tuffo nel passato. In tutti e tre questi Paesi la caccia alla beccaccia è un’occasione o una scelta, non una necessità. Mi è stato raccontato, infatti, che la beccaccia la si incontra quando si caccia la stanziale, questo perché esiste ancora una stanziale.
Qualche cacciatore, influenzato dalla passione degli europei (italiani e francesi soprattutto), è stato contagiato dal morbo della beccaccia e dedica parte della stagione a questo selvatico, ma si tratta di una minoranza. Mi ha molto colpito la descrizione degli ambienti di caccia, ancora incontaminati e selvaggi, nonché la possibilità di spaziare sui territori senza particolari vincoli. Credo fosse così anche da noi un tempo e credo che sia proprio la ricerca di autenticità, di libertà e di natura vera a spingere molti di noi a risparmiare per mesi per poter affrontare una vacanza di caccia all’estero.
L’estate è una grande sfida
L’estate è una grande sfida per tutti. Il nostro clima rende difficile tenere in forma i cani, mm ci proveremo. E poi? Poi ciascuno di noi dovrebbe fare il punto su che cosa aspettarsi dalla caccia e su come pianificare la stagione per ottenere il massimo, a seconda delle proprie inclinazioni. Addestramento cani da metà agosto, poi pre-apertura dove si può e se ci piace, quindi apertura da affrontare come una torta fatta di mille fette diverse: è lecito assaggiarle tutte!
Abbiamo l’Atc, abbiamo aziende agrituristico-venatorie e faunistico-venatorie e ad autunno inoltrato si comincia con la la beccaccia che riaccende il gusto della sfida più autentica. Noi cacciatori cinofili siamo dei puristi, ma dovremmo essere meno restii a provare cose nuove. Se un amico ci invita al capanno o agli acquatici, quella è l’occasione per godere del lavoro di altri cani impiegati in altri compiti. Lo stesso può accadere avvicinandoci alla braccata al cinghiale o alla caccia di selezione: sono cacce che non riusciamo a sentire intimamente nostre, ma sono attuali, autentiche e con potenziali risvolti cinofili, come ben sanno coloro che sono passati ai continentali tedeschi.
Un selvatico non sempre riesce ad adattarsi al territorio, un selvatico è il territorio. Vogliamo fagiani, starne, pernici rosse? Vogliamo quella stanziale che tanto amiamo? Non potremo mai averla senza intervenire sull’ambiente. La riqualificazione ambientale è una meta, ma nel frattempo possiamo percorrere il viaggio con resilienza, adattando noi stessi a ciò che il territorio riesce a offrirci.
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