La caccia alla beccaccia rischierà di rimanere un idolo nel deserto se la caccia col cane da ferma non tenderà a recuperare la sua meravigliosa varietà.
Tutti sappiamo quanto la caccia alla beccaccia sia diventata il principale oggetto di interesse nell’ambito della caccia col cane da ferma per molteplici quanto concreti motivi. A tal proposito mi chiedo spesso quali possano essere le implicazioni e le conseguenze di una trasformazione di tale portata, in atto nel corso degli ultimi decenni. È ovvio che la caccia tutta sia in una fase particolare e delicata a causa di pressioni di ogni genere. In queste righe però cercherò di non toccare tali problematiche, concentrando invece la riflessione sul divenire degli equilibri e dei rapporti tra le varie forme di caccia dedicate a tutti i selvatici utili al cane da ferma.
Sempre più un deserto
Generalizzando, l’attuale generazione di 50-60enni annovera tra le proprie fila gli ultimi di coloro che, forse, hanno conosciuto e praticato la caccia alla starna autoctona, mentre le generazioni successive ne hanno solo sentito parlare, salvo sporadiche e fortunate eccezioni. Alcuni, ma sono pochi, praticano ancora la caccia in montagna a cotorni e tetraonidi.
Le quaglie sono sempre più incostanti e spesso insidiate con mezzi che testimoniano l’incapacità di chi li utilizza. I beccaccini sono l’obiettivo di una disciplina talmente tecnica e specialistica da essere in definitiva poco diffusamente praticata al di fuori dei luoghi dove ha antiche e profonde tradizioni. La caccia alla stanziale, ai fagiani selvatici e, laddove si stanno diffondendo, alle rosse, ha sovente una durata limitata alle prime giornate. Lo stesso vale per la pernice sarda in virtù della tutela cui è giustamente sottoposta. In ultimo, la caccia col cane da ferma negli ambienti palustri è pure in via di estinzione, seppure emozionante e altamente tecnica in virtù della sua varietà.
A questo punto la domanda è: quale conoscenza e cultura venatoria si sta generando attraverso il fenomeno della specializzazione più o meno forzata che sempre più si sta affermando? È questa un’evoluzione inarrestabile, stante la continua trasformazione non solo ambientale, ma anche sociale?
Beccacciai forzati
Quando parlo di specializzazione forzata mi riferisco all’evidente fenomeno per cui il cacciatore è sostanzialmente costretto a rivolgersi all’unica selvaggina a disposizione in tanti ambienti per un congruo periodo, la beccaccia nella fattispecie, tanto che spesso, senza saperlo, poiché poco consci delle alternative, siamo quasi forzati a diventare beccacciai. E sul povero scolopacide si addensano nubi che producono fin troppa pioggia di parole.
Confessino i lettori quante volte hanno provato una noia strisciante allorché si sono trovati ad ascoltare i mille racconti di avventure mirabolanti che molti pare abbiano compiuto. Un ripetersi interminabile dei soliti discorsi, ormai stereotipati, quasi una macchietta; e se qualcuno confesserà, almeno non mi sentirò solitario nel provare tale uggia. Da qui la sensazione che, se la caccia col cane da ferma non tenderà a recuperare la sua meravigliosa varietà, la caccia alla beccaccia rischierà di rimanere un idolo nel deserto.
Il valore cinegetico e culturale della caccia alla beccaccia
Detto ciò, prima di procedere, è doverosa una premessa a evitare ogni fraintendimento. Senza dubbio la caccia alla beccaccia è una forma venatoria tra le più affascinanti e soddisfacenti, tanto che non è un caso che anche molti cacciatori di altri tempi, che avevano a disposizione tutta la selvaggina, la apprezzavano assai o addirittura la prediligevano. Tale caccia, grazie alle atmosfere magiche, alla valenza misteriosa del selvatico e ai duelli venatori che talvolta ci chiama a compiere, è stata di ispirazione a innumerevoli pagine tra le più belle e poetiche di tutta la letteratura venatoria di ogni tempo.
Per questo, personalmente, ho vissuto una lunga fase della mia vita di cacciatore col cane da ferma con l’interesse quasi monomaniacale per la beccaccia, pur avendo a disposizione altre ottime possibilità. Dall’apertura, iniziavo quasi con ansia la prima parte della stagione nel desiderio di arrivare prima possibile a percepire quei cambiamenti nel tempo e nella vegetazione che mi facessero riprovare le atmosfere autunnali.
Il nostro volano
Un’altra considerazione è che la caccia alla beccaccia ha saputo condensare intorno a sé i migliori sforzi del mondo venatorio nella promozione di una cultura venatoria sempre più in linea con la contemporaneità, rispettosa del selvatico e dell’ambiente, combattendo con forza pratiche non più giustificabili, cercando così di fare i conti con le tradizioni deteriori che tardano a morire, annidate e celate come sono in una anacronistica subcultura venatoria.
In altri termini, la caccia alla beccaccia si è saputa porre come la punta di diamante della nostra cultura venatoria e si è prestata a simbolizzare il necessario percorso di cambiamento da una caccia che fu verso una caccia centrata sulla forte ispirazione biologica, tecnica e persino etica. E questo è un merito importante che giustifica pienamente tutto il parlare, scrivere e discutere che se ne fa.
I grandi autori
Tornando al tema e fatte le doverose premesse, sono andato a curiosare tra le pagine, a tutti note, di alcuni tra i più celebri autori di letteratura cinofilo-venatoria, cercando di capire quale fosse il posto occupato dalla caccia alla beccaccia in relazione a tutta la loro attività venatoria.
Eugenio Niccolini, nelle sue Giornate di Caccia, accenna frequentemente alla sua passione per la beccaccia, ma poco si dilunga nel descrivere particolari. Ben maggiore è lo spazio dedicato alla caccia di palude ad anatre e beccaccini o alle starne in collina, ma soprattutto alla caccia al cinghiale. Unica simpatica quanto significativa notazione fu quando, allorché si trovava nell’autunno a caccia di camosci sulle Alpi, una volta informato dell’arrivo consistente delle beccacce nella sua zona di caccia maremmana, precipitosamente aveva lasciato le montagne a favore delle macchie toscane; si intuisce qui la sua passione per la caccia alla beccaccia, senza che però questa fosse diventata esclusiva.
Felice Delfino, grande cinofilo, ma prima ancora eccezionale cacciatore col cane da ferma, nel suo Addestramento del cane da ferma dedica alla beccaccia poche righe di tecnica cinofilo-venatoria se confrontate alle varie pagine scritte sulla starna. «È un selvatico suggestivo che esercita una speciale attrattiva sul cacciatore e sul cane da ferma. Tiene il bosco più fitto e più spinoso, i recessi più scuri, più selvaggi e misteriosi. Anche le sue abitudini hanno qualche cosa di misterioso». Dopo tale incipit il Delfino aggiunge poche altre righe sulle doti specifiche del cane da beccacce, mentre racconta diffusamente delle proprie avventure beccacciaie nelle pagine da lui dedicate a illustrare le sue giornate di caccia.
E anche Gramignani
In Tra cime, boschi e paludi, di Giorgio Gramignani, lo spazio rivolto alla beccaccia è maggiore, tanto che egli dedica un’intera prefazione e quindi numerosi racconti a questa selvaggina. «Dopo le dure, sudatissime cacce alle starne ed alle coturnici, in cui l’elemento fondamentale per il successo, oltre al necessario corredo di cognizioni, di esperienza specifica e tecnica e di ottimi cani, è costituito essenzialmente dalle doti fisiche e di fondo del cacciatore e del cane, cacce che pur tante soddisfazioni esaltanti concedono a chi le sappia esercitare, la caccia alla beccaccia ha sempre rappresentato per me una gioia purissima, permeata di alta spiritualità, direi quasi distensiva e riposante (…)
La caccia alla starna e, soprattutto ai cotorni, è una lotta rude e violenta per superare i duri ostacoli ambientali (…) Il successo, viceversa, nella caccia alla beccaccia si basa essenzialmente sulla tecnica più sottile e consumata (…) e sul perfetto affiatamento del binomio cane-cacciatore». Emerge che anche il Gramignani, grande estimatore della caccia alla beccaccia, necessariamente deve mettere in relazione questa attività con le altre rivolte a diversa selvaggina.
Un affare complesso
Non mi dilungo oltre nel riportare quanto scritto da illustri cacciatori di un passato tutto sommato non così lontano. Da quanto evidenziato emerge chiaramente quanto la caccia alla beccaccia fosse stimata e amata per le sue intrinseche qualità e caratteristiche, ma mai idolatrata e posta al centro dell’universo cinofilo-venatorio.
E dato che ho voluto riproporre alcuni spaccati di una caccia che fu mi pare doveroso rivolgermi a coloro che, sempre meno, iniziano invece a muovere i loro primi passi sulla nostra scena contemporanea. Sono certo che non faremmo loro alcuna buona scuola permettendogli di esaltare e idealizzare una sola disciplina, che in realtà appartiene al più ampio ambito della caccia col cane da ferma.
Sono infatti convinto che, per dare valore a una caccia specifica, sia fondamentale anche la conoscenza del panorama nel quale ci muoviamo. Non possiamo amare la beccaccia per ciò che è realmente se non sappiamo qualcosa o del beccaccino o della quaglia o del fagiano, e se pensiamo che la beccaccia sia la caccia per antonomasia in assoluto, costruendo una sorta di graduatoria centrata solo su poche altre conoscenze e quindi in fin dei conti solo su pregiudizi, pur se inconsapevoli e incolpevoli. In definitiva, ogni conoscenza umana assume consistenza e valore solo quando è posta in relazione agli altri saperi.
Caccia e prove per valorizzare il nostro cane
Ulteriore osservazione è che, sul lungo periodo, la prevalenza generalizzata dell’interesse venatorio del cacciatore col cane da ferma quando sia rivolto verso una sola specie di selvatico possa produrre influenze negative anche nel campo della cinofilia e quindi nella selezione di buoni cani a tutto tondo. Ad esempio moltitudini di cacciatori, pur non sapendone molto, criticano, se non disprezzano, tutto il lavoro di selezione che avviene attraverso le varie prove cinofile, magnificando invece solo il cane del cacciatore.
Ovviamente il mondo delle prove, che comunque ricordiamo avere il compito di essere al servizio della caccia vera, ha ben evidenti molti limiti, soprattutto in certi settori con l’estremizzazione delle prestazioni. Però sempre più mi viene di pensare che, in realtà, non sia tanto o solo la cinofilia a essere partita per la tangente, ma piuttosto che anche la caccia cacciata sia in via di involuzione, con la conseguenza di una sempre più ampia e dannosa divaricazione tra i due ambiti.
In fin dei conti, ci sono circuiti di prove cinofile che si effettuano ancora su selvaggina vera e varia, basti pensare alle prove su selvatici di montagna, a beccaccini, a starne all’estero, a pernici in Sardegna, alla selvaggina naturale, per lo più fagiani che ancora reggono in qualche distretto ben gestito, alle stesse beccacce. Tutte possibilità che ovviamente non saranno facilmente date al medio cacciatore col cane da ferma e che invece sarebbero una formidabile palestra per ogni volenteroso codaiolo.
Il valore della caccia con il cane da ferma
Di contro, coltivare la pretesa che un cane che ci fa catturare beccacce sarà automaticamente un notevole cane da ferma ci fa pensare a un misto di ignoranza e di superbia sorrette dall’erronea convinzione che la beccaccia sia il vertice assoluto. Certo, tale convinzione sarebbe valida solo se si ammettesse definitivamente l’insignificanza di tutta l’altra selvaggina utile. In fondo mi par di sentire i molti che, andando loro quasi esclusivamente a beccacce, poco o niente si interessano se una linea di sangue della loro razza preferita abbia nella genealogia dei soggetti comprovati come validi starnisti o beccaccinisti.
In definitiva, proprio non vorrei che tale fenomeno potesse avere un riflesso negativo quando si procederà alla riproduzione di soggetti forse utili allo specifico della beccaccia, ma privi di un’approfondita valutazione delle tante altre qualità indispensabili al cane da ferma a tutto tondo.
La ricomposizione della pessima divaricazione tra mondo della caccia e quello della cinofilia non deve quindi essere un compito esclusivo della cinofilia stessa, ma anche e forse soprattutto dei cacciatori che dovranno risolversi a uscire, talvolta almeno come semplici spettatori, dai recessi solitari e rassicuranti dei propri boschi per riappropriarsi di ciò che è loro.
Cerchiamo di tenere assolutamente presente, sempre, che la favolosa e maliosa caccia alla beccaccia si deve collocare nel novero delle discipline col cane da ferma tutte. Sottraiamo tale splendido esercizio alla solitudine nella quale l’abbiamo recluso e restituiamogli, quindi, tutta la realtà, splendida e coinvolgente, che le spetta, in una prospettiva di rispetto non solo del selvatico di per sé, ma anche dei contorni che sono propri della sua caccia. Ciò si realizzerà allorché la beccaccia tornerà a non essere più l’esclusivo oggetto del desiderio venatorio.
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