Caccia al fagiano con il cane da ferma

Fagiano

Un’analisi della meravigliosa pratica della caccia al fagiano selvatico. Una caccia faticosa, cui si paga lo scotto di un doveroso praticantato.

Sempre con la volontà di offrire nuovi spunti per esplorare l’eccezionale ventaglio di possibilità concesse ai cinofili dalla pratica della caccia con il cane da ferma, voglio analizzare attraverso il racconto della mia esperienza la meravigliosa pratica della caccia al fagiano selvatico. Una caccia che non è per tutti, altamente faticosa e alla quale si paga lo scotto di un doveroso praticantato.

Mi chiede il conoscente: «Ma è vero che parti?» «Sì, vado in Romania a caccia, mi porto i cani giovani». «A beccacce, vero?» «No, a fagiani. Fagiani maschi, perché lì a gennaio e a febbraio si cacciano solo quelli». «Ah, e ti porti pure i cani giovani…»

E se ne va scuotendo la testa, sempre più convinto che io di caccia e di cani non capisca assolutamente niente. La cosa buffa è che io sorrido tra me e me pensando la stessa cosa di lui.

A ognuno il suo

Andate tutti a beccacce, voi! Sparate in tutti i modi e in tutte le lande vantandovi di trofei e carnieri a spese di animali sempre più rari e preziosi, e magari malamente perseguiti coi vostri cani con il satellitare, per poi poterli ostentare come genitali in una gara a decimetri. E andate a rincorrere starne in Serbia dove qualsiasi cane, anche il più ignobile, può inciampare in decine di coppie senza la minima abilità nel reperimento (che altro non è che la capacità di cacciare) per poi tornare a casa felici e convinti di avere un fenomeno, sui frumenti verdi e senza fucile in spalla. A ognuno il suo.

Io, durante la stagione venatoria, caccio fagiani fino a novembre e voglio un cane che mi trovi quelle bestie lì, le fermi, le guidi e me le faccia sparare. Mi servono cani che si facciano accarezzare dagli spini dei pruni selvatici, da quelli del rovo, da quelli dei cardi. Il prato con l’erbetta di quindici centimetri non ci riguarda. Mi diverto come un matto a cercare questi pennuti che corrono tra coltivi e bosco, nei fossi, nei roveti.

All’inizio della stagione ne frego diversi, a fine stagione quasi nessuno. Sorrido ogni volta che ne usciamo sconfitti, io e il mio cane, rimandando la sfida alla prossima uscita. E quando a gennaio mi capita di ritrovarli nei posti in cui cerco qualche beccaccia, li saluto abbassando il fucile e col pensiero rivolto alla stagione riproduttiva ormai prossima, alle belle nidiate che spero nasceranno e che mi faranno divertire durante gli allenamenti estivi. Per poter ricominciare, finché morte non ci separi. Il matrimonio meglio riuscito che io conosca.

Comincia il viaggio

Una trasferta di caccia inizia quando hai fissato la data di partenza e cominci a lavorarci sopra. Organizzi il lavoro in modo da essere libero da impegni per quel periodo. Metti da parte i soldi per non pesare sulla famiglia. Oppure i soldi ce li hai già da parte, ma pensi che la tua assenza creerà impicci a chi resta e così cerchi di sistemare anche quelle cose lì.

E la testa comincia a partire, a fantasticare. Gli amici che ti accompagneranno, chi resterà a casa, gli imprevisti, i cani da portare, i giovani promettenti e i giovani coglioni, il vecchio esperto da lasciare a casa – incazzatissimo – quello più giovane ma scafato che lo sostituirà perché, portandolo, diventerà ancora più bravo, perché senza caccia e senza selvaggina bravi non si diventa.

Il giovane deve imparare in fretta

Ci sono già stato altre volte a Ulmeni, nel distretto di Maramures, con Gigi Gambassi e Marco Carletti a dirigere le danze. Io e Michele con tre coppie di fratelli. Tobia e Menta che hanno due anni e mezzo. Nando e Nafta che hanno dieci mesi. Olga e Ombra che hanno otto mesi e mezzo. Sul furgone con noi c’è anche Giancarlo con due setter adulti e i cani di Marco, che occupano gli ultimi posti delle gabbie, una pointer e un breton.

I terreni di caccia sono morbidi da calpestare e i declivi sinuosi, mai ripidi. Diventano difficili in presenza di pioggia e di neve, ma questo fa parte del gioco. La campagna è sconfinata, con lunghe e strette strisce di stoppie di mais oltre a campi di mais in piedi non mietuti, campi arati e altri seminati a grano che appena spunta dal terreno. A volte si trovano anche cannucciaie estese. Poi fossi e siepi, tante spalle alberate, tanti boschetti misti.

Qui il cane giovane deve imparare a rimontare le passate in fretta, anche quelle più vecchie e ad abbassare il naso per capire direzione e velocità del fuggitivo, altrimenti non si vede penna volare. Sperare nell’incontro con l’emanazione diretta è come scommettere su un numero solo alla roulette: a volte ci pigli, ma è rarissimo.

Quello selvatico non è per tutti

Il fagiano selvatico non è per tutti. È caccia altamente faticosa, alla quale si paga lo scotto di un doveroso praticantato. Lascia un po’ sgomenti ripassare un terreno già percorso da giovani inesperti: è incredibile la quantità di animali che i cuccioloni trascurano per inesperienza e incapacità. Un fagiano che corre in un bosco pulito in inverno inoltrato lascia una pesta così flebile che solo i nasi più raffinati ed esperti sanno identificare e rimontare.

La cosa bella con il giovinastro è la possibilità di incontri relativamente frequenti con le femmine di fagiano, molto più facili da trattare rispetto ai maschi. Le femmine di fagiano solitamente pedinano di meno, hanno tragitti più semplici e spesso si fanno fermare bene e a lungo dopo che il cane ne ha risalito la passata o le ha guidate tenacemente fino in fondo al fosso, alla macchia o al granoturco.

Coi fagiani maschi è diverso

Coi maschi invece no, è diverso: qui si scende nella strada e si fa a cazzotti, mica pugilato, ma lotta allo stato puro. I maschi corrono sempre e non conoscono ostacoli. Possono arrivare in cima al forteto, fare dietrofront e ritornare al punto da cui erano partiti, col cane sempre dietro in guidata espressiva. A volte frullano lontanissimi, appena ti presenti sul terreno da battere. Altre volte – poche – frullano davanti o in prossimità del cane che si è esibito in un rosario di ferme mobili. Non cantano mai. Non ho mai sentito scoconare un fagiano che frullava davanti al cane, mentre invece li senti benissimo la sera o la mattina quando si imbroccano o scendono in pastura.

È gratificante vedere come il giovane, che il primo giorno incontrava poco, il secondo aumenti la percentuale dei reperimenti fino a sembrare un cane quasi maturo il terzo giorno, mettendo al suo attivo svariate ferme correttamente concluse. Ma solo quelli bravi hanno questa curva di crescita.

Un cane da ferma è cane da penna

Quando vola la femmina spari per aria, quando c’è il maschio spari alla sagoma con tutta la voglia trattenuta in precedenza. E poi capita che il cane ti fermi la lepre o che faccia conoscenza coi caprioli – abbondanti ovunque, a gruppi o isolati – cosa che ti permette di valutare eventuali inclinazioni eterodosse dell’esaminando.

Un cane da ferma è cane da penna: tra fagiano e capriolo sceglie il colchide, tra rosse e lepri la rufa, tra chukar e conigli selvatici l’alectoris. Solo il pistatore stolido contrabbandato da cane da ferma, ha da obiettare, ma noi lo lasciamo ai raffinati democratici possibilisti, a quelli che pensano che il ragionier Fantozzi possa diventare Renato Vallanzasca. Le nostre scelte sono assolutamente dittatoriali e non prevedono i tre gradi di giudizio. A volte si può sbagliare nell’escludere il puledro magari acerbo ma, se le lezioni sono state assidue e gli esami rigorosi, è difficile prendere cantonate marchiane sui prescelti.

Tre giorni di caccia volano

Tre giorni di caccia volano e mettere a turno tre cani cacciando tutto il giorno risulta essere oltremodo faticoso, specialmente se hai sessant’anni. Che sei stravolto te ne accorgi la sera quando rientri alla casa di caccia pensando solo alla triade doccia-cibo-letto. Invece no. Hai ancora i cani da sistemare. Devi ripulirli dalle lappe terribili, rifocillarli con cibo caldo e farli uscire di nuovo per una nuova abbeverata. Il freddo della notte rumena ti stacca le orecchie. Quando hai cenato sogni il letto e ripensi alla giornata trascorsa. Imprechi col cane che cincischia annusando nel prato e non si sbriga vuotare la vescica.

Poi pensi che tre giorni sono pochi, che la prossima volta saranno di più e che faremo le cose con più calma. Non pranzeremo con banane, mandarini e biscotti, non faremo milleseicento chilometri d’un fiato, non cacceremo da buio a buio. Chissà se la prossima volta saremo così bravi e faremo una vacanza più lunga. Chissà se la prossima volta avremo cuccioloni così elettrizzanti da farci dimenticare la fatica e il digiuno. Chissà se ci sarà una prossima volta. Intanto questa volta c’è stata. Fanculo tutto il resto.

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