Caccia al cinghiale: è possibile migliorare l’efficienza della caccia collettiva al cinghiale? Un gruppo di ricercatori francesi, analizzando quattro anni di statistiche di caccia al cinghiale, suggerisce le mosse vincenti per rendere più fruttuose le braccate.
È noto come il cinghiale negli ultimi decenni abbia ricolonizzato parecchie parti d’Europa e sia quasi ovunque in costante aumento. Distribuzione sempre più ampia e densità elevate hanno spesso reso preoccupante l’impatto sugli ecosistemi naturali e sulle attività umane, con conseguenze negative sulle popolazioni di uccelli che nidificano a terra, collisioni con auto, danni alle colture agricole e infiltrazione negli ambienti periurbani.
Di qui la necessità di tenere su livelli di densità più ragionevoli la specie con il ricorso alla caccia. Ma nonostante l’impegno in tutta Europa di numerosissimi cacciatori con l’obiettivo di ridurre o quanto meno di stabilizzare le popolazioni, il cinghiale non sembra accusare alcun decremento significativo in nessuna parte del continente.
Serve maggiore efficienza nella caccia al cinghiale
L’incapacità di ridurre le popolazioni ha diverse ragioni. Talvolta sono state sottovalutate le consistenze e sono state quindi fissate quote d’abbattimento troppo basse. Talvolta sono state tollerate immissioni o foraggiamenti illegali. Ma spesso c’è stata una difficoltà obiettiva nell’approntare uno sforzo di caccia adeguato, nel rendere efficiente la pressione di caccia.
Il problema è diventato ancor più allarmante in questi ultimi anni data la graduale diffusione in Europa della peste suina africana, che invece si vorrebbe fermare aumentando la pressione venatoria. Alcuni Paesi hanno reagito proponendo di erigere muri o recinzioni ai confini. Ma in realtà il blocco del contagio è più probabile se si riescono a realizzare sul fronte di espansione aree a densità tendente a zero, obiettivo raggiungibile soltanto in presenza di sforzi venatori enormi in grado di incidere profondamente sulle consistenze numeriche.
Come si può fare per migliorare l’efficienza di caccia per incrementare i carnieri? Può la scienza contribuire a ottimizzare i risultati del prelievo? Un gruppo di ricercatori francesi ha cercato di scoprire i fattori alla base del successo di caccia delle braccate. Se si riescono a individuare, sulla base di dati numerici obiettivi e probabilità statistiche, gli elementi che determinano un maggior carniere, si può poi cercare di fare tesoro dei risultati e riproporli al meglio in altre zone.
Lo studio francese
Sonia Saïd dell’Office National de la Chasse et de la Faune Sauvage (oggi Ofb ndr) e altri sei studiosi hanno esaminato i risultati di 361 uscite di braccata durante quattro stagioni venatorie consecutive, dal 2009-10 al 2012-13 all’interno del vasto complesso forestale di Châteauvillain-Arc-en-Barrois (8.500 ettari), nella Francia nord-orientale.
È un’area di ricerca molto importante, in cui da parecchi anni gli scienziati studiano la struttura e la dinamica di popolazione del cinghiale e l’incidenza della caccia. Qui l’ente gestore, l’Office National des Forêsts, dà in concessione la gestione venatoria a un privato che invita a pagamento squadre di cinghialai da ottobre a febbraio. Alcuni tecnici determinano le superfici di braccata e le assegnano alle squadre.
Come si svolgono le braccate
Le braccate si svolgono esattamente come in Italia, con battitori con cani e cacciatori sistemati sul perimetro dell’area di braccata nelle cosiddette poste. Le braccate possono essere effettuate due giorni alla settimana, di sabato e domenica, e ogni giorno se ne possono programmare fino a cinque. Nel periodo considerato due terzi delle braccate avvenivano di mattina, mentre un terzo nel pomeriggio.
Le squadre avevano in media 66 partecipanti per braccata, dei quali 47 alle poste e 19 come battitori/bracchieri o canai. Il numero medio di cani era intorno a 14, ma con grande variabilità (da soli tre a 30). Anche il perimetro delle aree di braccata era molto variabile, da 2,2 a 8,6 km, con superfici comprese tra 30 e 300 ettari.
In totale le 361 braccate hanno permesso l’abbattimento di 2407 cinghiali, cioè 6.7 per braccata.
Il numero di cacciatori alle poste
A questo punto gli scienziati hanno trattato i dati raccolti utilizzando tecniche di “modellistica statistica” per scegliere la combinazione di variabili che meglio spiegano i risultati di caccia o più semplicemente per individuare i fattori che influiscono maggiormente sull’efficacia del prelievo.
Il fattore che si è rivelato più importante nell’assicurare un carniere più abbondante è stato il numero di cacciatori alle poste. Se, per esempio, si immaginano 26 cacciatori alle poste su una piccola area di braccata, il modello statistico messo a punto dagli studiosi francesi prevede nel periodo ottobre-gennaio un prelievo di due-quattro animali, mentre per 57 cacciatori uno di sei-nove cinghiali.
Una maggiore copertura dello sviluppo perimetrale da parte dei cacciatori, aumentando il numero di fucili, consente quindi di massimizzare gli abbattimenti. Gli studiosi non hanno trovato alcun “effetto saturazione”, cioè non esiste un numero limite massimo oltre il quale non aumenta più il carniere: ciò significa che buoni risultati si ottengono puntando molto sul numero degli operatori coinvolti.
La superficie battuta
Il secondo elemento che contribuisce a migliorare il carniere è la superficie battuta (o il suo perimetro). Quei 57 cacciatori che su un’area di braccata abbattono sei-nove cinghiali, se impiegati su un perimetro più grande nel modello statistico passano a prelevare otto-11 animali. Evidentemente inglobare un tratto di foresta più ampio significa intercettare un maggior numero di aree di rifugio potenziali, alzando così le probabilità che i battitori spostino degli animali dalle rimesse.
Il periodo di caccia
Anche il periodo di caccia può influire sui risultati del prelievo. I primi tre mesi risultano più fruttuosi rispetto a febbraio. Se 48 cacciatori su una piccola area tra ottobre e gennaio riescono ad abbattere cinque-sette cinghiali per braccata, questi si riducono nel modello a tre-cinque durante il mese di febbraio. Alla fine di tre mesi di regolare attività di prelievo, a febbraio i cinghiali sopravvissuti sono in numero minore e maggiormente in grado di mettere in campo tattiche per evitare l’azione di caccia.
Il numero dei cani non è un fattore significativo
Lo stesso modello ha anche permesso di escludere che altri elementi della braccata abbiano un qualche influsso sul risultato del prelievo. In particolare si è visto che, a differenza di quanto qualcuno potrebbe pensare, il numero di battitori e quello dei cani non sembra avere importanza nel migliorare i carnieri. E questo nonostante molti tratti di foresta siano caratterizzati da fitto sottobosco e quindi ci si potrebbe aspettare un ruolo decisivo del numero di battitori e cani.
Inoltre, si è potuto verificare che non esistono differenze se la braccata è svolta di mattina o di pomeriggio. Per animali ad attività prevalentemente notturna e a riposo diurno, la mattina vale il pomeriggio.
Il punto debole della caccia al cinghiale in braccata
Il fatto che un semplice modello statistico con tre sole misure di sforzo di caccia (numero delle poste, area di battuta e periodo) riesca a spiegare piuttosto bene i risultati del prelievo ci fa capire che il segreto del successo di una braccata non sta nella fortuna o in qualche elemento misterioso, ma nell’ottimizzare quei tre fattori.
Per inciso, anche cercando di portare al massimo la sua produttività, la caccia al cinghiale in braccata non riesce a modificare di molto il suo punto debole. Se anche 57 cacciatori alle poste prelevano 11 cinghiali invece di sette, questo comunque significa appena un animale abbattuto ogni cinque cacciatori. Ma questo fa parte del gioco e tutti i partecipanti si sentono remunerati dallo sforzo collettivo e dalla giornata passata insieme.
Una lezione anche per l’Italia
L’analisi delle statistiche venatorie in un complesso forestale francese ha consentito di individuare quei tre elementi che possono rendere una braccata più produttiva: numero di cacciatori alle poste, estensione dell’area di battuta e periodo.
È possibile trasferire l’esperienza francese alla nostra realtà italiana? Certamente sì: molte delle caratteristiche descritte dai colleghi d’oltralpe sembrano ricalcare le braccate della nostra Penisola.
In ambienti boscati compatti bisognerebbe organizzare la caccia al cinghiale in braccata coprendo superfici ampie e utilizzando il maggior numero possibile di cacciatori. In una fase storica caratterizzata dall’invecchiamento dei cacciatori e quindi dal loro progressivo decremento, la necessità di intervenire su aree grandi con molte poste potrebbe anche voler dire concordare l’intervento contemporaneo di due squadre limitrofe e spingere perché due squadre si fondano a formarne una sola, misure che in realtà già si stanno sperimentando in diverse zone del Paese.
Lo sforzo di caccia delle braccate dovrebbe essere particolarmente concentrato nelle prime settimane di attività, che si sono rivelate le più produttive.
In ambienti boscati più frammentati, con prati e colture confinanti, braccate classiche anche piccole, girate e prelievi selettivi continuano ad essere opzioni possibili.