La caccia al capriolo maschio nel periodo degli amori richiede al cacciatore la conoscenza delle abitudini degli animali insidiati anche in rapporto ad altri individui della stessa specie. Saper prevedere il comportamento di un soggetto alla presenza di propri simili può infatti essere di grande aiuto per concludere positivamente l’azione di caccia.
Molti appassionati della caccia di selezione, tra cui il sottoscritto, considerano la caccia al capriolo maschio nel periodo degli amori una pratica dal fascino ineguagliabile, pari forse soltanto alla caccia al cervo in bramito. Riuscire ad avvicinare gli imprevedibili folletti a brevissime distanze, goderseli durante le scorribande amorose e magari riuscire a ottenere un trofeo prestigioso costituiscono un premio straordinario per ogni cacciatore.
Caccia al capriolo maschio in amore: sì, con disciplina
Si tratta però di una pratica venatoria che va programmata e disciplinata con rigore dal punto di vista gestionale, per evitare un impatto eccessivo sulla specie in un periodo di particolare vulnerabilità biologica per il piccolo cervide. Per questo motivo, in molte aree del nostro Paese, il periodo riproduttivo viene rispettato e la caccia ai maschi è autorizzata fino a giugno per riprendere a settembre.
È importante, però, sapere che anche nel periodo immediatamente successivo i maschi non hanno ancora spezzato totalmente il legame con le femmine, per cui capiterà molto spesso di incontrare maschi accompagnati da uno o più esemplari del sesso opposto e questa presenza deve essere tenuta in massima considerazione, perché può costituire un problema ma anche un inatteso aiuto durante la caccia.
Un bellissimo fine settimana di caccia sulle colline del Montefeltro, nell’azienda faunistico-venatoria di cui l’amico Giovanni è tecnico faunistico e socio, è stata l’occasione per confermare per ben due volte questa realtà.
A caccia nei calanchi dell’Urbinate
L’appuntamento con Giovanni è, come sempre, a poche centinaia di metri dall’agriturismo dove alloggio ben prima dell’alba. Trovo con piacere anche Nino, cacciatore e collega, anche lui alla ricerca di un buon maschio. Il piano strategico prende forma. Nino e Giovanni si sposteranno in una bella zona di coltivi in cui lo scorso anno ho prelevato un bel puntuto con un avvicinamento emozionantissimo. Io e mio padre, invece, ci sposteremo su un altro versante in cui un piccolo appostamento fisso domina alcuni lunghi prati coltivati a erba medica.
Conosco bene questa zona e in poco più di mezz’ora siamo sul posto, in silenzio, nella speranza di vedere apparire un’inconfondibile silhouette color ruggine.
L’attesa si protrae parecchio; anche quando la luce è ormai buona sembra non muoversi nulla finché, a giorno fatto, butto un occhio alla nostra destra, in tempo per vedere un piccolo movimento a bordo bosco. Il binocolo mi restituisce l’immagine di un bel maschio, con il palco aperto e dalle punte bianche. Il tacito accordo tra me e Gianni è che il primo tiro spetta a lui, per cui attendo che si posizioni e continuo a tenere d’occhio il capriolo. Il telemetro segna 240 metri; non una distanza eccessiva, ma la carabina è tarata a 200, quindi sarà opportuno tenere il reticolo un po’ alto, vicino al filo della schiena.
Continuo a guardare il capriolo, finché Gianni mi dice di essere pronto; pochi attimi e il boato del 7×65 R scuote il bosco.
Un’occasione persa, ma tanti caprioli
Il capriolo fa un salto in avanti, corre per una ventina di metri verso l’alto, si gira guardando verso di noi per un paio dei secondi e poi sparisce scendendo nel fitto.
Sono praticamente sicuro che non sia ferito; innanzitutto per il comportamento dopo il tiro, sorpreso ma piuttosto tranquillo, e soprattutto per l’evidente fumata di polvere che ho visto sotto la pancia dell’animale al momento della fucilata. Mio padre mi conferma che, nella concitazione, non ha alzato il reticolo, per cui con tutta probabilità la palla è andata bassa tra le zampe del capriolo.
Ne avrò poi conferma sia da un lento passaggio a filo bosco, in cui non troveremo alcun segno di caccia né traccia di sangue, sia da una successiva verifica con il cane. Pazienza, ci può stare. L’emozione, nella caccia, è il vero nemico da vincere; ma se non ci fosse, andremmo ancora a caccia?
Cambiamo zona
È ancora presto, quindi decidiamo di cambiare decisamente zona. Ci avviciniamo con circospezione a un lungo coltivo che termina in un fosso molto infrascato, teatro di molti avvistamenti anche negli anni passati. Sono molto fiducioso e infatti sporgendomi verso i prati individuo subito una macchiolina rossa dalla parte opposta. È una grossa femmina che bruca tranquillamente tra i rovi. Appena sotto, dal bosco ne esce un’altra, più esile, forse una sottile.
Non può non esserci anche il maschio, che infatti si fa attendere appena dieci minuti e poi esce nei prati. Si tratta però di un animale davvero giovane, due o tre anni, troppo per essere prelevato. Ce li godiamo per qualche minuto, finché il vento, gira, i caprioli alzano il naso e si allontanano abbaiando.
Ora si sta facendo tardi, sono quasi convinto di dare forfait, ma chiamo Giovanni che mi suggerisce di fare un ultimo tentativo in una profonda valletta in ombra, che già altre volte ci aveva portato fortuna. Mi avvicino con attenzione a una piccola vigna da cui dovrei avere una buona visibilità. E, puntuale, come tutte le previsioni di Giovanni, ecco il maschio che pascola tranquillo a filo bosco.
Il maschio della vigna
Non mi accorgo di aver fatto qualche passo di troppo, alzo la testa e vedo una femmina con le orecchie dritte, che mi guarda in pieno sole. Non l’avevo vista nella fretta di avvicinarmi. Rimango di sasso. Il maschio è ancora tranquillo, ma se dovessi mandare via la femmina, sicuramente si allontanerebbe anche lui.
Non so come muovermi; probabilmente la femmina non ha ancora capito esattamente che cosa succede perché inizia a fare alcuni passi con l’atteggiamento del finto pascolo, tipico degli animali incuriositi. Mi accorgo che se solo riuscissi a fare dieci passi, sarei al riparo di due grosse balle di fieno che mi nasconderebbero alla femmina. Alla fine decido: appena la femmina abbassa la testa, faccio qualche metro poi mi fermo; ripeto l’operazione un paio di volte e mi porto al coperto. Mi aspetto di sentire l’abbaio rabbioso del capriolo ma tutto tace. Ce l’ho fatta!
Mi allungo verso il fondo del prato e vedo il maschio, ancora del tutto tranquillo. Sono meno di 150 metri; in pochi secondi appoggio zaino e carabina, attendo che sia posizionato in blatt e lascio partire il colpo, che lo fa scivolare pochi metri più a valle. Solo ora la femmina mi passa davanti e si precipita al riparo del bosco.
Vado subito al recupero e mi trovo di fronte a uno splendido animale: capriolo sicuramente maturo, imponente, con trofeo molto particolare, alto, stretto e mancante di un oculare. Un gran premio colto in extremis e per questo ancora più gratificante.
Emozioni tra le ombre
Dopo una giornata di relax nello splendido scenario di Urbino, programmiamo l’uscita serale. Decido, con il permesso di Giovanni, di fare un aspetto sui prati in cui ho avvistato il maschietto giovane, sperando che siano frequentati anche da altri esemplari più maturi. Mi trovo in postazione con grandissimo anticipo sul tramonto e mi godo il viavai di lepri, volpi, gheppi e ghiandaie.
Finalmente arriva l’ora giusta, ma nonostante ciò tutto tace. I miei timori sembrano avverarsi: i caprioli escono davvero molto tardi. In effetti, quando non c’è quasi più luce utile intravedo una forma in movimento in fondo ai prati. Con il lungo riesco appena a capire che è una femmina. Dietro c’è un altro animale, probabilmente un maschio, ma ormai distinguere le forme a questa distanza è impossibile. Poi, gli eventi precipitano, fortunatamente a mio favore.
La femmina parte di corsa e arriva a poco più di cento metri da me, poi comincia a mangiare l’erba che, evidentemente, in questa parte di prato è più rigogliosa. La mia unica speranza è che il maschio, ancora parzialmente succube degli ormoni estivi, la segua. Ma ormai restano davvero pochi minuti.
Sul filo di lana
In questa calda giornata di settembre evidentemente le divinità della caccia mi sono favorevoli, perché anche il becco parte al galoppo e arriva accanto alla femmina; a questa distanza l’ottica della carabina, al minimo degli ingrandimenti, ha ancora sufficiente luminosità per farmi capire che è un bel maschio adulto, con trofeo a sei punte. Mi posiziono, regolo il respiro e lascio partire la fucilata della mia Blaser R8 in 7×64. Il folletto crolla sul posto, nel suo regno verde e silenzioso.
Durante il recupero sollevo il binocolo e mi rendo conto di essere circondato dai caprioli. Almeno una mezza dozzina di sagome scure si muove nei prati circostanti, facendomi apprezzare l’elusività e il mistero di questo splendido selvatico.
La soddisfazione è davvero alle stelle: un coppiola memorabile ottenuta in quella che ormai non posso non considerare una delle mia patrie venatorie. Weidmannsheil.
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