Caccia al camoscio oltre i nostri confini: un’ottima occasione per confrontarsi con realtà nuove e stimolanti che contribuiscono ad accrescere esperienza e consapevolezza.
Sulla caccia al camoscio sono stati scritti fiumi di inchiostro, a volte enfatizzando – forse a dismisura – le peculiarità del selvatico e dell’azione venatoria. Ecco allora fiorire racconti di animali vecchissimi, imprendibili e scaltri, di montagne inaccessibili, di baratri vertiginosi, praticabili solo da cacciatori dai garretti d’acciaio e a rischio della vita.
Depurata dalle estremizzazioni tipiche dei racconti di caccia e pesca, questa pratica venatoria rimane una delle più specialistiche, che raramente non lascia un segno nell’anima e nei ricordi del cacciatore. Ricordo bene un anziano, ma prestante cacciatore di montagna riflettere ad alta voce su quante aperture al camoscio potesse ancora aspettarsi dalla vita.
Chi ha la fortuna, come me, di avere le montagne “a portata di mano”, cacciare il camoscio è sempre il fantastico avverarsi di un bel sogno. Viceversa, per coloro che dovessero rimanere folgorati dalla “febbre da camoscio”, ma per motivi logistici non possono accedere a una realtà territoriale vocata, rimane la possibilità di insidiare questo fantastico ungulato nei rari comprensori alpini, riserve di diritto o aziende faunistiche che cedono quote di abbattimento anche a cacciatori foranei oppure orientarsi verso destinazioni estere.
Nuove, bellissime scoperte
Scelta, quest’ultima, che non va assolutamente interpretata come un ripiego. Il camoscio è ampiamente diffuso negli ambienti alpini della Mitteleuropa e qui viene gestito molto spesso in maniera impeccabile, garantendo al cacciatore un’esperienza di altissimo livello in ambienti da sogno. Chi abbia cacciato almeno una volta sulle Alpi austriache o slovene, accompagnato da guide professioniste attente al minimo dettaglio e fedeli alle tradizioni e a riti venatori secolari, difficilmente resiste alla tentazione di ripetere l’esperienza.
Inoltre, spingendosi al di fuori dagli ambienti tipicamente alpini a noi più familiari, è possibile insidiare il camoscio, nelle sue diverse sottospecie, anche in realtà molto diverse da quelle italiane: dalle alte vette dei Carpazi a quelle di vocazione più “mediterranea” della Spagna settentrionale, alle pietraie a picco sul mare della Croazia. Varietà di ambienti, di situazioni climatiche e di forme di caccia che necessitano di specifica preparazione e conoscenza di ciò che si affronta, ma forse anche per questo sempre molto stimolanti.
Senza dimenticare che la caccia all’estero al camoscio può rappresentare anche un piacevolissimo “fuori programma” per il cacciatore alpino che voglia cimentarsi con periodi di caccia e ambienti diversi da quelli abituali. Un classico esempio è la caccia estiva, concessa in poche realtà gestionali italiane ma largamente praticata, ad esempio, nelle vicine Slovenia e Austria, come dimostra l’esperienza che vado a raccontare.
Caccia al camoscio: un’insolita apertura estiva
È il primo di luglio: per molti si avvicina la pausa estiva, tempo di vacanze, viaggi e mare, ma per me (e pochi altri irrimediabilmente “contagiati” dalla caccia alpina) può essere anche tempo di caccia al camoscio.
Il tempo di preparare zaino e carabina, e in poche ore dal confine italiano raggiungo la bellissima e ormai assai familiare riserva nella smisurata foresta a pochi chilometri da Innsbruck. Qui, come anche in altre riserve austriache, viene concesso un piano di abbattimento di pochi animali giovani (fino a due-tre anni) già da luglio, per limitare l’impatto sulle aree di rimboschimento. Conosco questa zona da molti anni, per avervi cacciato camosci e forcelli in alcune uscite davvero indimenticabili.
A tarda sera arrivo, accaldato, nella bellissima baita dove gli amici Nerino e Loretta mi attendono per una buona cena a base di salumi e formaggi e un sonno ristoratore. Ma l’attesa per l’imminente uscita si fa sentire, quindi rimaniamo a chiacchierare di caccia ancora a lungo e dopo poche ore, quasi insonni, siamo pronti per una nuova “apertura”.
Risaliamo in fuoristrada gli ampi tornanti della strada forestale a strapiombo sulla valle sottostante. Una fantastica notte stellata sembra riflettersi nelle rade luci dei paesi laggiù in fondo. Poi veniamo inghiottiti dal buio del bosco, fino a fuoriuscire ai margini di un’ampia radura.
Lasciamo qui l’auto e ci incamminiamo fuori sentiero, in direzione di alcuni pascoli dove si allungano le ultime propaggini di mughi e larici. È ancora molto presto e la nostra intenzione è attendere l’alba su una piccola hochsitz (altana) panoramica su cui in passato ci accadde di avvistare i branchi di camosci in cresta. Ricordo che proprio da qui mio padre prelevò il suo primo, memorabile, camoscio.
L’attesa si prolunga piacevolmente, nonostante il debito di sonno, tra i primi chiarori che filtrano tra i larici e i richiami perentori delle nocciolaie.
Caccia al camoscio fra cervi e larici
A giorno quasi fatto, ancora nulla si muove. In effetti la temperatura inizia a essere tipicamente estiva ed è probabile che i selvatici preferiscano nutrirsi e riposarsi in zone più alte e fresche.
Incrociamo un bel sentiero che prosegue in leggera salita verso alcuni ampi costoni erbosi e rocciosi, anch’essi teatro di precedenti uscite. Qui la prima sorpresa. A margine di una striscia boscosa, una femmina di cervo con due piccoli si ferma a osservarci a pochi metri, quasi indifferente al nostro passaggio. Incredibile! Nerino mi che qui il cervo è ampiamente cacciato anche per tutelare il patrimonio forestale. Incontrarli così facilmente è assolutamente raro in stagione di caccia, il che ci suggerisce che forse la loro intelligenza li ha portati a riconoscere luoghi e stagioni in cui non corrono rischi.
Proseguiamo ancora in pari nel bosco, in una bellissima pirsch che dura quasi un’ora. Prima di uscire nei prati, vediamo una piccolo movimento sotto di noi. Due camosci già in allarme si allontanano rapidamente tra gli alberi. Non riesco a inquadrarli nel binocolo, ma prima che spariscano Nerino mi conferma che sono due animali maturi, non prelevabili.
Ora il sentiero ricomincia a salire ripido verso un’ampia conca di rododendri e mughi, appena sotto la cresta che segna il confine della riserva. Ormai è piuttosto tardi, il sole è alto e temiamo che i camosci stiano già rientrando per riposare al fresco, ma decidiamo di tentare lo stesso.
L’ambiente è strepitoso: le gemme verdissime dei pini e i rododendri in piena fioritura creano un effetto ottico quasi ipnotico e il panorama spazia fino alle cime oltre i tremila, che dominano sull’immenso fondovalle.
Ci dirigiamo verso lo spartiacque di confine, da cui parte un sentiero che conosco bene e che ci porterebbe ad aggirare un piccolo rilievo erboso, ma all’improvviso notiamo un piccolo movimento sopra di noi e ci immobilizziamo immediatamente dietro ad alcuni piccoli arbusti. Camoscio!
Un altro grande dono della montagna
Al momento riusciamo a vedere solo i quarti posteriori dell’animale parzialmente coperto dalla vegetazione. Ne approfittiamo per tirare fuori i lunghi e metterci in osservazione. Quando solleva la testa ci accorgiamo che è senza dubbio un giovane maschio di due-tre anni poco promettente. Nerino mi conferma che è prelevabile e mi dà il via libera per il tiro.
Tutt’altro che semplice. L’emozione si fa sentire, il camoscio continua a spostarsi verso la frescura del bosco e qui, dietro questo piccolo mugo, sono privo di qualsiasi appoggio per la carabina. L’unica chance è spostarmi al pulito, cercando di non essere avvertito dell’animale, e appoggiarmi sullo zaino approfittando di alcune provvidenziali zolle erbose.
Mi muovo al rallentatore, bloccandomi più volte quando il camoscio alza la testa per guardarsi intorno.
Con un pizzico di fortuna riesco effettivamente a sdraiarmi e mettere nell’ottica il maschio, che però continua ad allontanarsi mostrandomi il posteriore.
Alla fine, però, è lui a decidere, inconsciamente, il suo destino. Supera un paio di piccoli pini ed esce allo scoperto perfettamente a cartolina, guardando verso di noi. Ma in quel momento ho già armato lo stecher e la fucilata del 7×64 parte pulita facendo rotolare il mio camoscio in un piccolo avvallamento.
Come spesso mi accade (e sarebbe probabilmente male se così non fosse), dopo il tiro comincio ad accusare il calo di tensione e devo sedermi un attimo sul morbido cuscino di rododendri.
Dopo una calorosa stretta di mano con Nerino, arriviamo sull’animale che giace nell’erba. Prima della pulizia lo ricompongo, offrendogli come ultimo pasto un rododendro fiorito. Un altro sogno che si avvera, un altro ricordo di caccia al camoscio. Di certo non l’ultimo. Weidmannsheil!