Beccacce che Passione n. 6 novembre-dicembre 2019

Editoriale

Scienza e coscienza

…Sara ed io entriamo in punta di piedi nel labirinto, stando attenti a non disturbare il cane in ferma. Con il fiato spezzato dalla forte emozione, cerco di spiegare a mia moglie l’atteggiamento del setter e le probabili mosse della beccaccia. Dopo alcuni secondi Sara si accorge di un lieve rumore tra i rovi, si tratta della beccaccia che, furtiva, se ne sta andando di pedina. Il setter inizia ad avanzare lentamente per poi fermare di nuovo. Poco dopo la regina del bosco decide di involarsi, lenta e splendida in tutto il suo essere selvatico. Nessun colpo, nessun riporto da parte del mio cane. Il fucile è a riposo a casa, i nostri occhi sono ripagati dal bellissimo spettacolo e il nostro cuore è pieno di gioia nel vedere la beccaccia nel suo ripasso primaverile, rendendoci fiduciosi di rincontrarla il prossimo autunno… Così scrive Claudio, descrivendo l’emozione che ha provato nello svolgere l’attività di monitoraggio della beccaccia con il cane da ferma. Lui, la sua compagna e il suo cane.

Senza fucile, ma armati di passione infinita per quello che rappresenta la beccaccia: il bosco silenzioso, l’essenza della wilderness e l’incredibile mistero che la natura custodisce. Il fascino dell’ignoto, che è il fascino della beccaccia, domina tutto. E non si può adorare che l’ignoto.

… Dopo tre ore di cammino – prosegue Claudio – ci soffermiamo presso la casera dell’amico cacciatore Piero. Raccontiamo del positivo incontro e poi ritorniamo all’auto, coscienti di aver contribuito con la nostra uscita e con l’inserimento delle informazioni raccolte nel sito Beccapp.it allo studio di questo stupendo animale…

Uso le parole di Claudio (e lo ringrazio per avermele prestate) per esprimere un pensiero che mi preme condividere con voi.

Il ritornello cantato da tanti cacciatori che recita “bisogna raccogliere i dati sulla beccaccia per evitare ricorsi ai calendari venatori e per dimostrare che la migrazione pre-nuziale comincia a febbraio” è quasi un tormentone. Ma è un ritornello stonato, perché non è questo il senso e l’obiettivo dell’attività di monitoraggio della fauna selvatica. Che nessun cacciatore, sottolineo, è obbligato a svolgere se non ha la giusta motivazione.

La scienza non stabilisce nulla a priori. Non è corretto avere certezze su quello che ci restituisce un dato. Non sappiamo se la fotografia dello status di una specie consentirà di allungare i periodi di prelievo. I dati che raccoglie un singolo monitoratore (due, tre, quattro che siano) non hanno nessun valore scientifico. Nessun monitoratore può quindi dare un’interpretazione scientifica e oggettiva di quello che vede. E i dati raccolti, grazie (e questo va doverosamente ricordato) al contributo volontario dei cacciatori che impegnano il proprio tempo per formarsi, per addestrare il proprio cane e per lavorare sul campo, vanno letti, confrontati, studiati da chi ne ha le competenze. L’attività di monitoraggio della fauna selvatica, a cui siamo invitati a partecipare, va condotta con onestà intellettuale nella consapevolezza del ruolo che un cacciatore può svolgere, che è quello di operatore e non certo di ricercatore.

Claudio, dunque, ben rappresenta chi esegue questo lavoro motivato da una grande passione e nella piena coscienza del suo ruolo, che non è quello di tecnico faunistico, zoologo o etologo. E ha anche colto nel segno uno degli aspetti più importanti dell’essere cacciatore seriamente impegnato sul campo: cioè essere bandiera del valore culturale della caccia, che oggi aiuta senza dubbio a recuperare quel rapporto autentico con la natura che purtroppo si è perso e che attualmente ha preso anche strade che conducono a un estremismo fuorviante.

… Durante questi monitoraggi – scrive infatti Claudio – ho potuto condividere la mia passione con mia moglie e spiegare alle persone che incontravo il perché facevo i censimenti e chi fosse la regina del bosco. Infine, ho potuto annotare alcuni dei possibili e futuri interventi necessari per mantenere puliti i vecchi sentieri e limitare la crescita dei rovi, da effettuare insieme ad altri beccacciai e agli amici segugisti, perché secondo me i cacciatori sono una grande famiglia…

Invece di sperticarsi in considerazioni pseudo-scientifiche, queste parole (e questi fatti) sono, secondo la mia modestissima opinione, il primo valore aggiunto delle attività che, spesso silenziosamente, molti cacciatori svolgono con dedizione, amore e passione, e che sono una preziosa testimonianza del solido bagaglio valoriale che la caccia vera porta sulle spalle. Attività che sono prova della moderna e corretta cultura ambientale di cui la caccia è portavoce.

Aggiungo un’ultima riflessione. Se si sollecita un approccio diverso a chi si presta a contribuire con il lavoro sul campo a raccogliere dati utili per mettere a punto una serie di azioni volte a gestire correttamente la fauna, la stessa onestà intellettuale nel svolgere il proprio ruolo va sollecitata anche al mondo della scienza. Perché il possesso della conoscenza non deve uccidere il senso di meraviglia e mistero, e non deve essere limitato da pregiudizi. E chi non ammette l’insondabile mistero – parole di Albert Einstein e non mie – non può essere neanche uno scienziato. Ma questa è un’altra storia.

Viviana Bertocchi